Sono passati alcuni giorni dallo storico successo di Jannik Sinner nel singolare maschile di Wimbledon. Dopo avere vissuto momenti di entusiasmo collettivo che non si vedeva dai tempi di Alberto Tomba per sport che non fossero il calcio, ora è il tempo di analizzare con maggiore razionalità quanto accaduto.

Un successo senza precedenti

Sinner ha raggiunto traguardi mai conquistati da nessun italiano prima di lui. Negli ultimi anni si erano già registrati successi nei Major, come quello di Flavia Pennetta agli US Open 2015, mentre Jannik aveva brillato agli ultimi Australian Open e a New York. Tuttavia, nessun azzurro era mai riuscito a vincere il titolo sull’erba londinese.

Le difficoltà storiche degli italiani sull’erba derivano da molteplici fattori. La tradizione tennistica italiana è sempre stata legata al rosso della terra battuta, sia per le caratteristiche fisiche e tecniche dei nostri campioni (da Panatta e Pietrangeli fino a Schiavone, Errani, Seppi, Volandri e Fognini), sia per le difficoltà ambientali e climatiche nel mantenere campi in erba in Italia.

Inoltre, va sottolineato che tutti i principali tornei italiani si disputano sulla terra: dagli Internazionali di Roma al Foro Italico, un Master 1000, fino ai meno noti tornei di Palermo e Cagliari. I giovani crescono giocando sulla terra, così come gli amatori e le scuole tennistiche italiane. È quindi naturale che le opportunità di sviluppare abilità specifiche per l’erba londinese siano molto limitate. Di conseguenza, ogni volta che si approcciava il torneo di Wimbledon, i nostri portacolori faticavano a superare i primi turni, figuriamoci arrivare alla seconda settimana.

Questo è vero, basta guardare la storia di Wimbledon. Ma la storia non conta per un talento come Jannik Sinner. Dopo aver conquistato la vetta del ranking ATP grazie a un 2024 straordinario, soprattutto su cemento e sintetico indoor, nel 2025 Sinner ha definitivamente dimostrato di poter vincere su qualsiasi superficie, indipendentemente dal terreno di gioco.

Il torneo di Wimbledon

Come tutte le grandi storie degne di essere ricordate, anche quella di Sinner a Londra non è stata lineare. Il nostro atleta altoatesino arrivava dalla dura delusione al Roland Garros, il major parigino che precede la breve stagione sull’erba, dove aveva perso una finale quasi già vinta. Il contraccolpo psicologico era palpabile, soprattutto dopo la sconfitta contro un Aleksandr Bublik in giornata di grazia a Halle.

I primi turni, invece, sono stati agevoli: Sinner è rimasto in campo il minimo indispensabile per dominare tutti gli avversari. Arrivato agli ottavi di finale, il tabellone lo ha opposto al bulgaro Grigor Dimitrov. I precedenti erano a favore di Sinner per 4-1, con l’ultima vittoria di Dimitrov risalente al lontano 2020. Una sfida apparentemente facile, ma Dimitrov è un atleta di talento e, complice un colpo al gomito subito da Sinner all’inizio del match, si è portato sul 2-0. Sinner sembrava vicino al ritiro, ma ha resistito fino all’imprevedibile e drammatico infortunio dell’avversario (il quinto ritiro consecutivo nei major, una sfortuna senza precedenti), vincendo così per forfait.

Da quel momento è iniziata la sua cavalcata verso la finale, lasciando solo briciole ai rivali successivi, compreso un brillante Novak Djokovic, con la sensazione che il grande traguardo fosse finalmente alla portata.

La finale

Al match decisivo per il titolo arrivano, come ampiamente previsto, Carlos Alcaraz e Jannik Sinner, ripetendo lo scenario dell’ultimo Roland Garros e probabilmente di molte future sfide.
Lo spagnolo si presenta in finale favorito grazie a un’aggressività agonistica fondamentale quando la posta in gioco è alta, alla fiducia maturata con due vittorie consecutive a Wimbledon (imbattuto in 20 match) e a uno stile di gioco che Sinner difficilmente è riuscito a contrastare efficacemente.

Foto dal profilo Facebook di Jannick Sinner

Dall’altra parte, l’italiano può vantare una costanza di rendimento, ottime sensazioni e risultati nei turni precedenti, oltre a un evidente miglioramento nelle variazioni di gioco, nella capacità di restare concentrato nei momenti chiave e in un servizio solido. Non va dimenticato che, sebbene a Parigi avesse vinto Alcaraz, in nove casi su dieci quella finale sarebbe finita a favore di Sinner; solo un picco di rendimento straordinario dello spagnolo aveva ribaltato il risultato. È certo che, rielaborando quella sconfitta, lo staff di Sinner abbia tratto preziosi insegnamenti.

“Se sei arrivato due set a zero su terra contro Alcaraz, significa che, al di là del risultato, puoi batterlo sempre, l’importante è non farsi sopraffare dalle sfuriate dell’iberico e continuare a martellare seguendo il proprio piano.” Non sappiamo se queste parole o simili siano state pronunciate da Darren Cahill o Simone Vagnozzi, ma è certo che Sinner sia sceso in campo con l’atteggiamento giusto.

Il successo

Nel primo set il match è teso, meno spettacolare rispetto alla finale del Roland Garros del mese precedente. Entrambi i tennisti mettono in campo la tattica concordata, alternando momenti di studio in cui Sinner sembra avere il controllo, ma commette qualche errore di misura che mantiene vivo Alcaraz. Poi arriva il break di Sinner, frutto più di un passaggio a vuoto dell’avversario che di suoi veri meriti. Su erba, un break vale più di mezzo set, anche se qualcuno potrebbe obiettare che l’erba di Wimbledon non è più quella veloce di una volta. Tuttavia, il vero problema per l’italiano è un altro: Alcaraz si attiva in modalità istinto di sopravvivenza e, grazie a pura carica agonistica e talento, inanella una sequenza di due break consecutivi che lo portano in vantaggio 1-0.

Come a Parigi, potrebbe pensare qualcuno. In realtà, Sinner si è dimostrato più solido di quanto i tifosi da divano immaginassero e, pur adottando uno stile meno animale rispetto all’iberico, più vicino al British style, anche lui è entrato in modalità sopravvivenza. Ne è nata una battaglia di tre set che, senza dubbio, ha portato Alcaraz a svuotarsi progressivamente, cedendo campo e partita a Sinner. Usura, logoramento lento: forse sono le espressioni che meglio descrivono quanto accaduto in finale. Sinner ha sfiancato l’avversario punto dopo punto, mantenendo una concentrazione estrema su tutto ciò che garantisce efficienza sul campo da tennis, senza concedere mai un attimo di distrazione. Ha rischiato in modo calcolato, senza lasciarsi sopraffare da emozioni negative.

Foto dal profilo Facebook di Jannick Sinner

Sinner- Alcaraz come Federer-Djokovic?

Sinner ha dunque trovato la chiave per battere Alcaraz? È possibile, anzi probabile. La ricetta, però, non è semplice. La sensazione è che in questa rivalità si stia riproponendo, con protagonisti diversi, quanto avvenuto tra Roger Federer e Djokovic: all’inizio Federer dominava con classe e talento, ma poi ha faticato sempre di più di fronte alla forza mentale, tattica e tecnica del serbo. Una differenza? Sinner non ha l’istrionismo di Djokovic e non ricorre a momenti di teatralità per destabilizzare l’avversario. Per questo l’italiano deve trovare altre risorse per emergere. Queste risorse riguardano esclusivamente l’approccio mentale e lo sviluppo tecnico del suo gioco. Uno spettacolo più apprezzabile dagli esperti che dai tifosi meno esperti dello sport.

I dati salienti della finale

Uno dei dati statistici su cui anche il sconfitto Alcaraz ha posto l’accento è stata la bassa percentuale di prime palle messe in campo, pari al 53%, un dato indubbiamente negativo. Sappiamo quanto sia importante un buon servizio sull’erba, ma limitarsi a interpretare questo numero porta a una conclusione semplicistica: Alcaraz avrebbe vinto se avesse servito meglio. Questa lettura appare poco approfondita e trascura un elemento fondamentale. Alcaraz ha dovuto forzare il proprio servizio per cercare di contrastare la supremazia di Sinner nel gioco. Lo spagnolo è rimasto in partita grazie a un primo set giocato con puro talento e, nei successivi, grazie a capacità di fondo campo e difesa straordinarie, ma non ha mai dato l’impressione di controllare il gioco. Da qui la necessità di spingere di più con il servizio.

Sinner e Alcaraz. Foto dal profilo Facebook di Jannick Sinner

La battuta è stata un elemento cruciale per Sinner. Fin dai primi scambi, si è avuta la sensazione che l’italiano non spingesse al massimo con la prima di servizio (solo sette ace in totale), ma che puntasse maggiormente sulla seconda, assumendosi rischi calcolati. Il 62% di prime in campo conferma questa impressione, ma è soprattutto la percentuale di punti vinti con la seconda di servizio (58%) a fare la differenza, rispetto al 49% registrato a Parigi. Limitare il “leone” Alcaraz, impedendogli di esprimere la sua esuberanza nei primi scambi, è stata la chiave della partita; togliere carburante all’agonismo dell’iberico ha influito anche sulla sua lucidità tattica. Si è discusso a lungo del ridotto utilizzo della palla corta, che aveva dato grandi vantaggi ad Alcaraz a Parigi. A prescindere dalla differente superficie, questa finale ha dimostrato una superiorità tattica netta del binomio staff-atleta a favore di Sinner.

Infine, un dato significativo: nonostante le differenze di stile, Sinner ha quasi raddoppiato Alcaraz nel numero di punti lunghi (oltre nove scambi) vinti, con un totale di 13 a 7, invertendo così la tendenza vista al Roland Garros. In generale, anche se non in modo plateale, Sinner è stato superiore ad Alcaraz in quasi tutti gli aspetti del gioco.

Lo scenario a breve

I matematici e gli appassionati di numeri sono già al lavoro per calcolare e prevedere quanto potrà durare il primato di Sinner nel ranking, soprattutto considerando i tre mesi di squalifica.
È certo che manterrà la vetta almeno fino all’ultimo major stagionale a Flushing Meadow, ma non è da escludere che l’italiano possa ripetere i successi su cemento della scorsa stagione, confermando la sua leadership.

È improbabile che lo staff di Sinner modifichi la programmazione esclusivamente per difendere la posizione, seppur prestigiosa. Più realistico un cambio al vertice verso fine stagione, nel caso in cui Sinner non replicasse il dominio dello scorso anno e Alcaraz migliorasse notevolmente rispetto alla mini crisi dell’autunno scorso. Resta da vedere se lo spagnolo riuscirà a ritrovare la forma come ha fatto Sinner tra Parigi e Londra.
In ogni caso, la rivalità attuale resterà viva a lungo e, per ora, non si intravedono avversari all’altezza, se non forse il giovane brasiliano Joao Fonseca, promettente ma ancora troppo acerbo per una top five.

Dove può arrivare Sinner

Foto dal profilo Facebook di Jannick Sinner

Al di là dell’esito della stagione e dei risultati sul cemento nelle prossime settimane, per Sinner si apre un periodo di scelte importanti. Bisognerà individuare un nuovo preparatore atletico e un nuovo fisioterapista, dopo il licenziamento dei precedenti alla vigilia di Wimbledon per una mancata totale sintonia.

Va inoltre definita la posizione di Cahill, che dovrebbe restare al fianco di Jannik nonostante il richiamo della famiglia e il desiderio di una pensione serena. Il legame tra Sinner e il suo coach è evidente ogni giorno, e negli ultimi mesi si è rafforzato ulteriormente, dimostrando reciproco affetto e stima. Cahill si diverte lavorando con Sinner e continuerà a guidarlo insieme a Vagnozzi, la cui importanza è spesso sottovalutata rispetto ai suoi evidenti meriti.

Sarà necessario un terzo collaboratore a supporto di Sinner durante le assenze di Cahill? Sul tavolo ci sono nomi noti e di peso come Ivan Ljubicic e Carlos Moya, ma la sensazione è che il nostro portacolori possa sorprendere scegliendo strade inaspettate. Il nome del nuovo supporto ci racconterà molto sugli obiettivi di crescita che l’altoatesino intende raggiungere nel futuro.

Sinner il nuovo re d’Italia

Nel frattempo, in Italia, Sinner è diventato un vero e proprio eroe nazionale, superando persino Julio Velasco, che dopo l’oro olimpico con la Nazionale femminile di volley era al centro dell’attenzione.

Ovunque: nelle pubblicità, nelle conversazioni tra amici, sui cartelloni in città, Sinner è ovunque. Questo successo ha fatto esplodere l’interesse per il tennis, con un aumento di praticanti senza precedenti. Mai prima d’ora si era visto un ranking ATP con due italiani in top 10 (Lorenzo Musetti al 7) e un altro in top 20 (Flavio Cobolli al 19). Tre giovani talentuosi, tre esempi positivi che fanno bene alla promozione dello sport, anche se ormai si rischia di esagerare con la loro esposizione mediatica.

Il ritiro di Fognini

Wimbledon ha segnato l’ultima tappa della carriera di Fabio Fognini, uno dei grandi what if del tennis contemporaneo. Talento straordinario, soprattutto sulla terra battuta, carattere intenso e un atteggiamento in campo spesso difficile da gestire, l’atleta sanremese ha vinto meno di quanto il suo potenziale avrebbe meritato. Migliore tra i tennisti italiani di una generazione piuttosto modesta, Fabio non è riuscito a controllare i propri impulsi e le emozioni, forse anche perché cresciuto in un’epoca in cui l’aspetto mentale riceveva meno attenzione rispetto a oggi. Solo in rare occasioni ha saputo esprimere il meglio del suo talento, dotato di un tocco che pochi nel circuito possono vantare.

Fognini ha concluso la sua carriera da campione dopo aver portato al quinto set Alcaraz al primo turno, dimostrando come si possa giocare a tennis sull’erba senza un servizio dominante. Ha perso sul campo, ma nel suo ultimo giorno da professionista ha vinto la sua sfida personale, regalando al pubblico e ai suoi tifosi una partita indimenticabile. Un epilogo che ha amplificato il rammarico per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.

Foto dal profilo Facebook di Fabio Fognini

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