Jannik Sinner da lunedì 10 giugno sarà il primo tennista italiano al vertice della classifica Atp. Questa è la notizia che si palesa in pieno svolgimento del torneo del Roland Garros, seconda prova del Grande Slam e sede di svolgimento del torneo olimpico degli imminenti giochi di Parigi 2024.

Fiumi di inchiostro sono già stati scritti su questo traguardo e momento storico e altrettanti se ne scriveranno in futuro per celebrare l’eccezionalità di un giocatore come mai se n’erano visti in Italia prima, con buona pace dei vari Nicola Pietrangeli, Andriano Panatta e compagnia. Campioni, anzi campionissimi nella loro epoca, ma che mai si sono elevati sino alle vette raggiunte dall’altoatesino.

Il fenomeno Jannik, oltre che per i fatti di cronaca sportiva, va osservato e analizzato in maniera più ampia. La sensazione è che ci si trovi di fronte ad un bivio della storia contemporanea non solo del tutto eccezionale per il tennis italiano, che cercava da decenni il proprio campione, ma anche per una imminente rivoluzione culturale, comportamentale e di immagine. Proviamo a tracciare un quadro.

Lo sport precursore dei tempi

La storia delle discipline sportive dal Dopoguerra ad oggi ha sempre palesato un naturale e fisiologico intreccio con le vicende politiche e sociali. I casi sono tanti, dai fatti più famosi, e talvolta tragici, di una Nadia Comaneci e Nico Ceausescu, all’attentato perpetrato alle Olimpiadi di Monaco 1972 o, per rimanere in tema olimpico, al boicottaggio di Los Angeles 1984.

Si potrebbe poi proseguire con il doping di Stato nelle ex repubbliche sovietiche e nella ex DDR o, più ai giorni nostri, con il tentativo di alcuni stati arabi di accreditarsi ai tavoli internazionali grazie ad ingenti investimenti nello sport, nel calcio in primis. Gli esempi sarebbero infiniti.

Oltre, però, a questi evidenti intrecci tra politica, sport e società civile che appaiono, appunto, fisiologici in quanto lo sport è a tutti gli effetti parte del vivere di una comunità, c’è di più.
Spesso, infatti, lo sport è precursore dei cambi di epoca, arriva prima o in contemporanea con i cambiamenti. E Sinner sembra essere proprio uno di quei segnali premonitori di una rivoluzione. Se sia solo una speranza, viceversa, lo capiremo nel tempo.

Gli esempi italiani

Prendiamo alcuni sportivi tra i più famosi e blasonati della nostra storia italiana. Gino Bartali, con quell’espressione sofferta e da buono nel profondo, ma mai dimesso, con un fisico forgiato dalle fatiche della Guerra e della bicicletta, è stato degno rappresentante di un’Italia che combatteva, che resisteva, dall’animo nobile e dai valori forti e di matrice cristiana, quelli che poi hanno contribuito alla Costituzione. La nostra Carta arrivò dopo Gino, perchè Bartali aveva già dentro di sè quei valori e la precedette, così come tanti altri cittadini meno famosi.

Adriano Panatta, per rimanere al tennis, ha invece rappresentato quell’Italia emancipata, lontana ormai dalla ricostruzione, un po’ sessantottina e un po’ “dolcevita”, ricca di talento e creatività, meno incline al rigore e alle regole, pronta a godere, prima ancora che a sacrificarsi.

Poi, giusto per portare degli esempi più moderni, si arrivò “agli” Alberto Tomba, agli anni della Milano dove tutto appariva possibile, dove i soldi giustificavano la sbruffonaggine e l’arroganza, tempi culminati poi con le Notti Magiche, e a seguire “ai” Bobo Vieri, campioni sul campo ma altrettanto “campioni” nel manifestare l’opulenza del mondo sportivo di successo, tra una discoteca, una velina e uno stipendio milionario.

Certo, è una approssimazione, perché ognuno degli sportivi citati è stato prima di tutto un vero atleta, ha sostenuto sacrifici, ha subito pressioni, è caduto e si è rialzato. Rimane però innegabile che per ogni periodo storico l’Italia abbia avuto il proprio modello di sportivo ideale. Tomba non era Thoeni, Bartali non era Pantani, Mennea non era Jacobs. Certo, le epoche cambiano e con esse gli attori. Normale che sia così.

Foto di Matthias David da Unsplash

Sinner, campione in antitesi con l’epoca che stiamo vivendo

Torniamo allora al fenomeno Jannik Sinner. Il ragazzo è, appare e si comporta in completa antitesi con il tempo che stiamo vivendo. Potrebbe per ciò essere davvero un precursore di una nuova epoca, di un nuovo modello di sport e di stile. Uomo già di successo planetario a 23 anni, non incarna l’uomo di successo, non si atteggia come tale, assolutamente dissimile da tutti i suoi predecessori baciati da talento e qualità sportiva. Eppure convive con fama e notorietà. Per analizzarlo più nel dettaglio andiamo a delineare le parole chiave che ruotano attorno al giocatore altoatesino.

Rispetto

Il tennista altoatesino è un esempio di rispetto. Prima di tutto verso di sé, attento al fisico in modo maniacale, ma anche verso chi lo circonda: la famiglia, lo staff, i tifosi o verso gli avversari. Il ragazzo ha dentro i valori del rispetto e non manca mai di dimostrarlo in ogni circostanza si proponga l’occasione.

Nessuna polemica contro l’arrogante avversario Holger Rune, mai un gesto fuori ordinanza, sempre animato da uno spirito di fair play non intaccato nemmeno in occasione di arbitraggi sciagurati (si legga alla voce Montecarlo 2024), o di programmazioni incaute dei match che lo riguardano. Pure dopo il divorzio dal suo storico allenatore Riccardo Piatti non ha trovato motivo di mancare di rispetto a chi si era prodigato per la sua crescita negli anni precedenti. Insomma, dopo diversi anni nel circuito maggiore non ha mai avuto una caduta di stile, mai.

Consapevolezza

Jannik Sinner è un campione dentro, soprattutto perché ha dimostrato in diverse circostanze di saper convivere con i propri spettri, le proprie paure. Questo perché è pienamente consapevole dei suoi mezzi, delle proprie forze e anche dei suoi limiti. Non è facile, in queste generazioni che maturano tardi, trovare un ragazzo così consapevole fin dalla tenera età.

Jannik lo ha sempre dimostrato, in primis nella lucidità con cui ha commentato le proprie prestazioni, sia nelle vittorie, che nelle sconfitte. La consapevolezza è un talento che va allenato, ma rimane primariamente una qualità propria del singolo e in questo il nostro campione è davvero nell’élite mondiale.

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Coerenza

Da quando Jannik Sinner si è fatto conoscere al largo pubblico, è rimasto sempre fedele a sé stesso, al suo modo di essere, ai suoi valori. Non c’è una sua dichiarazione fuori norma, fuori dal suo stile, e nei modi e nel contenuto. Incredibile se pensiamo alla sua età, periodo della vita che dovrebbe essere quello in cui pulsioni, emozioni, esuberanze non sono facili da controllare e, a volte, emergono fragorosamente causando errori o inciampi nel percorso agonistico dell’atleta.

Sinner ha superato di slancio, quasi con un periodico 6-0, tutto questo e ora, da numero uno, si appresta ad entrare nel suo prime di carriera. Come dice Filippo Volandri, coach di Davis, dobbiamo ancora vedere il meglio del Sinner tennista. Certo, lo abbiamo già conosciuto come uomo. È questo, né di più, né di meno.

Coraggio

Il neo numero uno delle classifiche Atp è un modello lontano anni luce dai suoi più classici coetanei anche per coraggio. In un tempo in cui al giovane quasi mai si chiede di scegliere, di prendere parte, di esprimere una opinione, Sinner ha preso decisioni difficili in autonomia sin dalla tenera età.

Tutti rammentiamo il passaggio dalla guida tecnica Piatti a quella di Vagnozzi-Cahill, ma non possiamo non ritornare a quella di abbandonare lo sci per il tennis. Pensiamo a cosa accadrebbe in una famiglia media italiana se un figlio, campione italiano giovanile di slalom gigante, dovesse decidere di mollare tutto e uscire di casa per giocare a tennis.

Quanti genitori tra i lettori avvallerebbero questa decisione lasciando autonomia al figlio e supportandolo nel suo percorso senza mettergli pressione? Senza dubbio, molto pochi.
Sinner e la sua famiglia sono un modello anche per questo. Un figlio responsabile, capace di prendere decisioni con consapevolezza e una famiglia che lascia autonomia, che non impone, che non esaspera, che asseconda l’inclinazione. L’una cosa è conseguenza dell’altra.

Ambizione

Negli ultimi decenni in qualsiasi ambito della vita civile è stato promosso il successo come unico scopo di vita. Successo di potere, di soldi, di visibilità, di scalata sociale. L’ambizione individuale, quindi, è stata declinata unicamente verso questa direzione. In Sinner si nota una diversa impostazione.

L’ambizione è un termine collegato a doppia mandata con impegno e con divertimento. L’ambizione è quella del miglioramento, dell’essere un uomo e un atleta migliore, fedele (coerente) ai suoi principi, ma via via sempre migliore. L’ambizione è la crescita, non il primeggiare sull’altro. Si vuole crescere e, crescendo, si diventa migliori, magari anche dell’altro. Sembra irrilevante, ma questo approccio è una rivoluzione copernicana rispetto ai valori caratterizzanti l’inizio del nuovo millennio. Se dovesse diventare d’esempio per la società del futuro a Jannik dovremmo dedicare una statua in ogni piazza, nemmeno fosse un Lenin col tricolore.

Foto da Unsplash di Renith R

Il futuro

Godiamoci questa nuova era Sinner, per le giocate, per le attese delle grandi finali, per quel suo essere un agonista gentile, ne avevamo bisogno. Godiamocelo fin che dura. La sensazione è che il ragazzo abbia chiari i suoi obiettivi e che sappia perfettamente quando staccare la spina.

In lui non c’è la dipendenza da tennis che caratterizzava l’era dei big three, non c’è la volontà di diventare il migliore della storia. Jannik, mettiamocela via, si ritirerà quando sarà ancora al vertice, quando si renderà conto che nessun altro proprio obiettivo risulterà perseguibile. Quando non si divertirà più a sufficienza. La vita, la vera vita non è quella dello sportivo e lui lo sa. Farà come un Michel Platini o un Pirmin Zurbriggen, uscendo di scena quando meno ce lo aspetteremo.

Godiamocelo con la speranza che sia davvero un innovatore non solo nel rettangolo di gioco, che possa essere un esempio per tutti i ragazzi delle nuove generazioni.

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