Il Gran Premio del Brasile – ultima gara della stagione – sembrava, alla vigilia, non aver granché da dare all’esito finale del campionato. Con i titoli titoli piloti e costruttori già assegnati rispettivamente a Lewis Hamilton e alla Mercedes, e con il secondo posto oramai consolidato da Valtteri Bottas, rimaneva solo da stabilire l’assegnazione della medaglia di bronzo del mondiale piloti, che vedeva in corsa Verstappen e i due ferraristi Vettel e Leclerc.

Il pilota della Red Bull Max Verstappen

Il verdetto, anche se non ancora matematico – lo sarà solamente in occasione della prossima e ultima gara stagionale prevista sul circuito di Abu Dhabi – propende per il giovane pilota olandese, autore in terra carioca di uno strepitoso week end, conclusosi con la conquista della vittoria finale. Max Verstappen, alla guida della sua Red Bull, è tornato ai livelli visti nei gran premi estivi, dominando la qualifica e correndo una gara da leader senza mai essere veramente insidiato da alcuno. La performance è stata ottima anche per l’altra vettura vettura austriaca, con il compagno Alexander Albon che senza il tamponamento subito nel finale da Hamilton (il pilota inglese è stato poi penalizzato dai commissari nel dopo gara) avrebbe sicuramente potuto conquistare il podio. Un vero peccato, per il giovane pilota inglese, autore di un’ottima stagione al suo esordio nella Formula Uno.

Tornando alla corsa, la si può riassumere in due distinte fasi: quella più lunga, fino al 60esimo giro dei 71 in programma, è stata decisamente avara di emozioni. Il silente equilibrio si è infranto con l’entrata in pista della safety car, resasi necessaria in seguito al ritiro a bordo pista di Bottas per un danno al motore – evento assai raro per le Mercedes in questa nuova era ibrida – cha ha ricompattato il gruppo, rianimando il Gran Premio e regalando agli spettatori una serie di sorpassi e colpi di scena come non si vedeva da tempo. L’emozione più forte l’ha regalata il clamoroso podio di Pierre Gasly su Toro Rosso e Carlos Sainz su McLaren, che hanno entrambi tratto un vantaggio insperato dai ritiri e dalle penalizzazioni delle vetture di vertice. La loro bravura è stata senza dubbio quella di trovarsi al posto giusto nel momento opportuno.

Non meno eclatante è stata anche la doppia eliminazione delle Ferrari di Sebastian Vettel e Charles Leclerc, autori di uno scontro fatale mentre erano entrambi in lotta per il quarto (quarto!) posto in gara, a cinque giri dalla fine. Stabilire di chi sia la principale responsabilità non è così facile anche se i più vedono in Vettel il principale “colpevole”, per il fatto di aver stretto troppo il compagno nella parte finale del sorpasso, finendogli addosso. Ad ogni modo questo episodio segna il culmine di una tensione più o meno palpabile che è andata via via aumentando nel corso della stagione. Da un lato il campione affermato, veterano in Ferrari (questo weekend ha festeggiato i 100 gp con la Rossa ndr) e ancora a caccia della consacrazione sulla vettura del Cavallino, dall’altro il giovanissimo talento monegasco, considerato un predestinato, che ha conseguito subito risultati importanti al primo anno a Maranello e che, soprattutto, non ha alcun timore reverenziale nei confronti del più esperto compagno e non accetta gerarchie di sorta. La miscela era inevitabilmente destinata prima o poi a esplodere. Una scena già vista in passato in  Formula 1, ogni volta che un top team ha deciso di arruolare due prime guide.

Gli ex piloti Nigel Mansell e Nelson Piquet

La memoria, in questo caso, va inevitabilmente ai grandi nomi che hanno fatto la storia di questo sport, anche grazie alla rivalità interna che ciascuno di loro ha vissuto col proprio compagno di squadra. I binomi Senna-Prost in McLaren o Piquet-Mansell in Williams, ad esempio, hanno caratterizzato la fine degli anni Ottanta. Scontri a volte acerrimi che comunque non hanno impedito alle rispettive scuderie di dominare la scena. Ciò era possibile sicuramente per la superiorità tecnica delle vetture a disposizione ma anche per la capacità di personaggi come Ron Dennis e Frank Williams di gestire gli animi di questi piloti straordinari, tutto a vantaggio del risultato finale.  

Per la Ferrari in questi frangenti la storia è sempre stata diversa, almeno in epoca moderna. I campionissimi sulla Rossa, quelli che hanno vinto tanto, come Lauda e Schumacher, hanno sempre avuto al loro fianco dei sostanziali comprimari, come Regazzoni per il pilota austriaco o Barrichello per il campione tedesco. Di fatto costoro sono stati utili alla causa del leader come lo scudiero alla corte del signore. L’unica volta che Maranello fecero scelte diverse, come nel 1990 con la coppia Prost-Mansell, non furono, poi, in grado di gestire la tensione che si creò tra i due piloti e che, alla fine, contribuì in maniera determinate alla disfatta mondiale, in una stagione dove vedeva la Ferrari in possesso della vettura per vincere. Il problema si ripresenta ora con Vettel e Leclerc. I toni, almeno per ora, sembrano assumere una connotazione più contenuta, visto che ci troviamo già ai titoli di coda di un campionato mondiale decisamente avaro di soddisfazioni. La questione, tuttavia, si sposta sulla prossima stagione. Cosa potrebbe succedere se fosse proprio la Ferrari la vettura da battere? Ogni esito, anche se clamoroso, potrebbe essere a questo punto possibile. E la vittoria finale, naturalmente, sarebbe tutt’altro che scontata.