Il 12 luglio si è concluso il Bridge Film Festival, la rassegna che ha donato alla città di Verona cinque giorni di corti e lungometraggi, musica, danza e riflessioni sul tema del conflitto interno ed esterno nel contesto dell’Antica Dogana, a bordo fiume Adige.

Il titolo della selezione di quest’anno, Is there anybody out there?, ispirato alla celebre canzone dei Pink Floyd, vuole riflettere sul mondo che ci circonda e quello interiore, con le sue crisi e divisioni. Oggi far parte di una comunità significa conoscerne le giustizie e le ingiustizie, e scegliere consapevolmente se appartenervi o allontanarsene.

Tre esempi in particolare tra i numerosi film e cortometraggi hanno esplorato questo concetto, tramite un pezzo dell’album The Wall in cui il muro rappresenta la separazione tra noi e loro, la soglia da superare per incontrarsi e la richiesta d’aiuto ripetuta: “c’è qualcuno là fuori?”.

Tra solitudine e crisi esistenziale

Il film di Čejen Černič Čanak dal titolo originale Zecji Nasip” (o “Sandbag Dam” in inglese), parla di questo urlo sordo che ciascuno di noi sente nei momenti di solitudine o di crisi esistenziale. Ha debuttato alla Berlinale 2025 nella sezione Generation14+ ed è stato premiato al Wicked Queer di Boston, al Crossing Europe Film Festival di Linz, all’Outshine Miami e al Zinegoak di Bilbao.

Marko (interpretato da Lav Novosel), giovane croato di un villaggio semplice e rurale, è inizialmente sereno e apparentemente un adolescente modello: si allena col padre per le gare di braccio di ferro, ha una ragazza e un gruppo di amici, una madre che lo ama e un fratello con la sindrome di Down con il quale ha un rapporto dolce e profondo. Il suo equilibrio interiore è però destinato a cedere di lì a poco, come le anse dei due fiumi al confine del villaggio, che vengono rinforzate da barricate di sacchi di sabbia (da cui il titolo del film) dai suoi abitanti. La causa è il ritorno di Slaven (Andrija Žunac), l’amico d’infanzia e primo amore di Marko, che era stato esiliato a Berlino proprio per la loro relazione.

Il rientro dalla Germania per la morte del padre riporta a galla le tensioni tra le famiglie, ma anche l’amore tra i due che straripa lentamente ma inesorabilmente come la piena del fiume. I “sacchi di sabbia” del giudizio sociale non bastano per indirizzare la virilità di Marko: né le aspettative di performatività machista nello sport, né la rabbia e la violenza della madre, né l’abbandono della fidanzata; l’unico sprazzo di amore incondizionato viene dal fratello che lo accetta e lo consola in un commovente abbraccio. 

La scrittura del film e la ricerca di un/una regista ha impiegato 12 anni, periodo in cui per la Croazia il film è diventato ancora più importante nella sua ricerca di libertà. Al Bridge Film Festival la regista ammette di aver avuto dubbi inizialmente sul contributo che poteva dare, ma di essere rimasta innamorata dei personaggi e della scrittura e di aver impiegato sei anni per mantenerne l’emozionalità.

Identità nascosta

Il pubblico del Bridge Festival 2025 – Foto dal profilo Facebook della manifestazione

L’identità nascosta e spezzata si ritrova anche nello struggente eppure esteticamente perfetto cortometraggio Upshot” della regista palestinese Maha Haj, ambientato in una fattoria nella quale marito e moglie si sono rifugiati. I vestiti neri in contrasto con i colori brillanti del muro arancione e degli ulivi preannunciano una tragedia, ma i due vivono di discussioni sui cinque figli, raccolta delle olive, riposi e lavori domestici.

L’arrivo di un giornalista, vecchio amico del figlio maggiore, arriva a svelare la tragedia, portando con sé una tempesta di verità e di ricordi: i ragazzi che vengono descritti dal dialogo dei genitori sono in realtà martiri di una bomba israeliana caduta sulla casa dieci anni prima.

La realtà viene riportata alla luce da un’intervista indesiderata e invadente, ma il velo di illusione e pace viene ricucito dai genitori in lutto che provano a sopravvivere al dolore.

Un corto di trenta minuti che pesa come una vita intera: quella spezzata dei cinque bambini innocenti e di due adulti che non hanno strumenti di fuga reale, solo quella immaginaria. Prodotto tra Palestina, Italia e Francia, è stato presentato nel 2024 al Festival di Locarno, ha vinto il Pardino d’Oro, il Golden Star al El Gouna Film Festival e il premio del pubblico al Festival di Clemont-Ferrand.

La Russia dall’invasione dell’Ucraina

Se l’appartenenza a una comunità vuol dire fedeltà, il film di David Borenstein e Pavel Talankin “Mr. Nobody against Putin” (2025 Denmark/Czech Republic) ne rappresenta la fuga consapevole e determinata. Il documentario girato dall’insegnante Pasha all’interno della sua scuola a Karabash nel “villaggio più inquinato al mondo”, fornisce uno spaccato fondamentale della realtà russa dall’invasione dell’Ucraina. Responsabile degli eventi della scuola e videomaker per passione, il giovane professore gira per le classi, corridoi, cortile e mensa mostrando senza peli sulla lingua la propaganda decisa da Putin e inflitta ai ragazzini.

E così le marce con la bandiera, il discorso pro-invasione scritto per i professori con l’obbligo che venga pronunciato e filmato, le risposte di storia e geografia filo-governative per gli studenti, fino ad arrivare al la leva militare obbligatoria, sono tutti sintomi della dittatura in corso che vengono ripresi al dettaglio.

La fuga finale del professore (sofferta e che sa di abbandono) risulta obbligatoria per la produzione del film, ma lo spettatore riconosce che i giovani che ha imparato ad amare restano in questa dinamica di creazione della guerra: il ragazzo che festeggiava il compleanno con i compagni di classe ora è in prima linea e Pasha si chiede se tornerà mai.

L’altra faccia dell’invasione in Ucraina che non può essere mostrata è la solitudine di un paese che non ha scelto di andare in guerra e si chiede come uscirne. Il documentario ha vinto il Premio speciale della giuria al Sundance 2024, il Docs Barcelona 2025, il Zagrebdox 2025 e tanti altri.

Nei tre film descritti (di cui due in collaborazione con il Circolo del Cinema di Verona) la paura del vuoto, della solitudine ma soprattutto del conflitto portano i protagonisti a trovare dei metodi di sopravvivenza (il silenzio, la negazione, la fuga) alla realtà brutale del proprio destino.

In tutti e tre i casi è la fedeltà a se stessi che li salva, quasi a dire che più che “C’è qualcuno lì fuori?” ci si debba chiedere “C’è qualcuno qui dentro?”.

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