Segni oltre la finestra: una lettera tra due donne
Dalle pagine del nuovo romanzo di Sabrina Ginocchio, un messaggio di speranza e di riscatto per un confronto tra libertà e detenzione.

Dalle pagine del nuovo romanzo di Sabrina Ginocchio, un messaggio di speranza e di riscatto per un confronto tra libertà e detenzione.
Compie un anno il romanzo Segni oltre la finestra (Bonaccorso Editore), di Sabrina Ginocchio, scrittrice veronese di adozione, ma di origini genovesi.
Dal 2016 la sua penna ci ha regalato diversi libri per l’infanzia, partendo da Tina e Pina, pubblicato con Zerotre Edizioni, al quale sono poi seguiti Azzurra e Zaccaria e il guazzabuglio.
Barabau e Maramau e Non tutti dormono sono invece frutto della collaborazione con la casa editrice mantovana il Rio, mentre con EdiGiò edizioni Ginocchio pubblica Squadra castori in azione.
In un piacevole incontro alla scoperta del suo mondo letterario, da scrittrice e appassionata lettrice, Sabrina ci svela i Segni che l’hanno condotta alla stesura di questo primo romanzo per adulti, nel quale vengono sapientemente dosati diversi ingredienti: due donne, la vita in carcere, uno scambio epistolare.
La lettera infatti, simbolo di un passato neanche troppo lontano, rappresenta quel ponte comunicativo tra Margherita, ragazza ventenne che in cella sta scontando una pena per spaccio di stupefacenti, e Silvia, maestra in pensione che avvia questa corrispondenza con passione ed energia.
Da brava scrittrice per l’infanzia, Sabrina non tralascia di arricchire anche questo libro con alcune illustrazioni, realizzate da Alessandra D’Amico, altra donna veronese di adozione ma siciliana nel cuore, perché “il disegno lascia anche al lettore adulto il tempo di riflettere prima di proseguire”, come l’autrice stessa ci racconta.
A partire dalla copertina, infatti, le finestre di Alessandra ci accompagneranno durante il viaggio tra le pagine, per raggiungere quel messaggio che, in fondo, accomuna tutti gli esseri umani: il diritto ad una seconda opportunità.
Sabrina, come è nata l’idea di Segni oltre la finestra?
«Volevo costruire una storia che ruotasse intorno alla tematica della lettera, che è il punto focale del progetto. Qualche anno fa, trovandomi a passare davanti ad un carcere, ho osservato le finestre e piano piano nella mia mente ha preso vita il progetto epistolare, che vede due protagoniste, Silvia e Margherita, rispettivamente il mittente e il destinatario. È curioso perché prima ho costruito il destinatario e poi il mittente. Mi sono in seguito trovata a discutere con Alessandra D’Amico del personaggio di Margherita, appunto la destinataria delle lettere, che si trova a dover scontare due anni di carcere. L’illustratrice si è quindi immedesimata in quella che poteva essere la vita della ragazza all’interno della sua cella e ciò che ha visto è stata proprio la finestra, uno sguardo sul mondo esterno che lei poteva solo guardare, ma non farne parte. Dall’altro lato abbiamo Silvia, mittente delle lettere, che non riceve da Margherita una risposta scritta, ma dei disegni di finestre, tutte diverse. In quelle finestre Silvia entra metaforicamente e inizia a viaggiare con la fantasia».
Quando hai iniziato a collaborare con l’illustratrice Alessandra D’Amico? Qual è in questo romanzo il valore delle immagini?
«Ho sempre scritto libri per l’infanzia, nei quali la presenza delle illustrazioni è preponderante, ma volevo che anche il mio primo romanzo raccogliesse dei disegni. Ho conosciuto Alessandra in occasione del progetto Arcobaleno per l’associazione Abeo di Verona, che ha coinvolto venticinque autori. È iniziata così la nostra collaborazione, lavorando insieme su Squadra castori in azione e abbiamo poi proseguito con Segni oltre la finestra, idea per la quale ha subito mostrato il suo interesse. È certamente un romanzo per adulti, ma le immagini permettono al lettore di fare una sosta, di osservare e riflettere. Mi piacerebbe che il lettore guardasse il disegno e si lasciasse trasportare prima di iniziare a leggere la pagina successiva. È un’attesa che richiama quella della ricezione di una lettera, a differenza di oggi, che siamo abituati solo a scrivere messaggi ed email, che sono immediati. All’interno del carcere è ancora più difficile ricevere lettere, ci sono dei giorni prestabiliti e quindi l’attesa si dilata ancora di più».
Cosa secondo te accomuna e, nello stesso tempo, distingue le due protagoniste?
«A distinguerle è sicuramente il carattere, Margherita è molto riservata, infatti nel primo periodo di detenzione si chiude nel suo silenzio e non parla nemmeno con le compagne di cella. A fatica decide di rispondere con un disegno alle lettere di Silvia, forse nella speranza che la maestra abbandoni questo hobby. Silvia invece è estroversa, è una donna molto positiva che dimostra di voler portare avanti questa relazione. Emana energia e voglia di vivere, tanto che perfino il postino si trova coinvolto nella storia e in una maniera molto curiosa. Ad accomunarle è forse la prigione, anche se in modo diverso, perché entrambe sono rinchiuse nelle proprie difficoltà».
C’è una figura maschile, il cui ruolo è fondamentale nella narrazione. Come sei riuscita a sviluppare il personaggio della guardia carceraria?
«Per questo personaggio mi sono affidata all’aiuto di una vera guardia che lavora all’interno del carcere, per avere informazioni sullo svolgimento della giornata all’interno, sulle regole per la corrispondenza con l’esterno, su ciò che è permesso fare oppure no.
Ciò che mi ha colpito è la sua narrazione imparziale, priva di pregiudizi verso i detenuti, perché già sono stati giudicati e ora sono lì per scontare la pena. Trovo che la guardia carceraria sia un po’ come un infermiere, che cura i malati senza far loro domande, pronto ad ascoltare e ad affrontare diverse situazioni ogni giorno, sorrisi e tristezza o, peggio, depressione».
Troppo spesso ci dimentichiamo che le persone in carcere, donne o uomini che siano, hanno un’anima, una sensibilità e le difficoltà che devono superare sono molteplici. Come vive tutto questo il personaggio di Margherita?
«Margherita inizialmente è molto arrabbiata e trova ingiusto il trovarsi in carcere. Questo è ciò che pensano quasi tutti i detenuti all’inizio, che non accettano di avere una responsabilità. Il carcere serve a questo, a prendere coscienza dell’errore, più o meno grave che sia, ma sono i giudici ad emettere le sentenze, non certo noi. Soprattutto nei giovani è frequente il coinvolgimento nella tossicodipendenza, così come per il personaggio di Margherita; per la maggior parte di loro la motivazione è spesso legata ad una situazione di disagio familiare. Dopo aver scontato la pena, la difficoltà è quella dell’uscita dal carcere e del reinserimento nella società, perché si sente la paura di ricadere nell’errore e di essere giudicati, quasi come un marchio che distingue dal resto del mondo. Non è però un problema per il personaggio di Silvia, perché già dall’inizio si comprende che non ha pregiudizi».
Quale messaggio hai voluto trasmettere attraverso il personaggio di Silvia?
«Silvia è la portavoce del messaggio di questo libro: le persone, quando sbagliano e si rendono conto di aver sbagliato, hanno diritto ad avere una seconda possibilità. Inoltre, come ci insegnano i classici che tutti dovrebbero leggere, non va mai dimenticato il valore del sacrificio, della collaborazione, del non lasciarsi mai prendere dallo scoraggiamento e della capacità di reagire di fronte alle diverse difficoltà che la vita ci presenta».
Possiamo dire qualcosa dei tuoi progetti futuri?
«Rimango sicuramente ancora legata al mio genere iniziale; dovrebbe uscire a breve un libro fantasy illustrato per bambini dagli 8 ai 10 anni, per il quale ho preso spunto dalla mia grande passione: il mare. La storia del protagonista partirà dalla mia Liguria ai giorni nostri e proseguirà nel 1900 nelle Saline di Trapani, ma non voglio svelare nulla di più».
Marzo, impreziosito dall’imminente Festa della Donna, è un mese ricco di eventi per Sabrina Ginocchio. Ecco le date delle prossime presentazioni del romanzo Segni oltre la finestra:
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