Ci sono momenti in una stagione in cui nulla sembra andare per il verso giusto. In questi momenti in cui i cuscini del divano prendono i pugni diretti al VAR e in cui le maledizioni che si alzano dalla nostra bella città rischiano di rovinare il Natale ortodosso, bisogna saper ingoiare il rospo e guardare avanti, senza cedere alla confusione.

Qual è la situazione dell’Hellas alla fine delle vacanze di Natale? Semplicemente pessima. Nulla sembra andare per il verso giusto. Contro la Salernitana il Verona ha sprecato la chance di abbattere moralmente un avversario diretto e di guadagnare un po’ di ossigeno nella disperata lotta salvezza, mettendo in campo una prestazione infima, capace di cancellare tutti i piccoli passi avanti fatti da Baroni negli ultimi turni.

Neanche il tempo di iniziare il mercato di gennaio che uno dei pezzi “pregiati” (il difensore svedese Hien, uno degli artefici della miracolosa salvezza della scorsa stagione, ndr) era già a Bergamo a brindare al nuovo anno con l’Atalanta. Segno evidente di una certa fretta di salutarsi da parte del giocatore e del club confermata da Baroni in conferenza stampa con un benservito alla categoria dei “non convinti” che sarebbero così tanti da paventare la possibilità di giocare “coi giovani”. Parole al vento, visto che il più promettente dei giovani il giorno dopo ha già la maglia del Milan. Non benissimo.

Impresa sfiorata… due volte.

Nel momento in cui sarebbe stato fondamentale compattare il gruppo, arriva la sfida impossibile contro la corazzata Inter sul campo tabù del Meazza, e cosa ti tira fuori dal cilindro lo sgangherato Hellas di Marco Baroni? Una partita di un’intensità capace di far venire i brividi ai nerazzurri e far saltare i nervi persino alla sala Var. Un Hellas tignoso e senza nulla da perdere ferma l’Inter prima in classifica per 90 minuti. Poi succede di tutto.

Il Verona sente l’impresa nel naso, e ora ha qualcosa da perdere, la conseguenza è immediato panico. Baroni manda Ngonge in panchina senza troppe cerimonie per evitargli un possibile secondo giallo e mette al suo posto il già ceduto Kallon, fino a ieri (e da oggi) completamente estraneo ai piani del tecnico toscano. Cambio anche di modulo, ma quando si difende Alamo i moduli importano poco. Peccato che il Verona si schiacci, si abbassi e perda lucidità. Calcio d’angolo, uscita lenta, gomitata, una, due, tre occasioni. Alla terza è gol. Un gol da annullare ovunque tranne che a San Siro.

Nel calcio dell’impressionismo arbitrale l’arbitro Fabbri concede un rigore – peraltro sacrosanto – in extremis e Henry lo stampa sul palo a Sommer spiazzato. Fischio finale, Inter campione d’inverno e Verona che non può arrabbiarsi con nessuno se non con la sfortuna. E invece qui la sfortuna non c’entra nulla.

Il Var, la buona fede e il destino delle piccole

Partiamo dall’elefante nella stanza: il VAR. Sogliano è andato in conferenza stampa a muso duro coi giornalisti, ha chiesto rispetto per chi conta poco nel grande gioco. Ha ripetuto ancora e ancora “non si tratta di un errore”. Uno strappo clamoroso per un direttore sportivo di Serie A a cui è richiesto di tenere vivo e credibile il circo del pallone. “Non è un errore”. E allora che cos’è?

Il VAR avrebbe dovuto fare chiarezza ed eliminare i legittimi errori arbitrali – soprattutto nelle occasioni più importanti – per garantire credibilità e trasparenza al calcio. E invece, per l’ennesima volta, si è rivelato un boomerang per il palazzo, togliendo il dubbio, l’incertezza, l’alibi. L’arbitro Fabbri – ben posizionato e con lo sguardo puntato nella direzione giusta – non ha visto una gomitata evidente. Ci sta, forse stava seguendo con lo sguardo il pallone in uscita dall’area mentre il guardalinee controllava il fuorigioco prima della prossima palla dentro. È possibile. È sospetto. È comprensibile. Il tifoso si arrabbia e l’addetto ai lavori allarga le braccia.

Con il Var cambia tutto. Ogni gol è passato ai raggi x per controllare nel dettaglio qualsiasi irregolarità dall’inizio dell’azione. Sempre. E allora è chiaro che l’errore del signor Nasca sia un errore di giudizio, non di distrazione. Il signor Nasca ha visto la gomitata di Bastoni da ogni angolazione e a ogni velocità e ha deciso di ignorarla. Il signor Nasca ha preso la conscia decisione che una gomitata data da un interista a un veronese non sia fallo, in barba al regolamento. Così facendo il fischietto barese ha rispettato metà della missione del VAR: la credibilità del calcio è andata a farsi friggere, non c’è dubbio, ma la trasparenza non è mai stata così cristallina, senza il fumo dell’alibi e il dubbio della buona fede.

Problemi di nervi

Eppure, anche contro un sistema che da sempre aiuta le grandi a raggiungere i loro obiettivi sportivi, mediatici e finanziari, il Verona avrebbe potuto sfangarla. Se non c’è riuscito non è stata colpa dell’arbitro o del palazzo, ma dei nervi. I nervi della squadra che cedono prima di una partita importante contro la Salernitana, i nervi di Henry che cedono sul dischetto ai piedi della curva nord del Meazza e quelli di Baroni che mandano la squadra in confusione prima dell’assalto finale.

Che il sistema calcio favorisca le grandi non è certo una novità, qui nessuno cade dal pero. Bene ha fatto Sogliano a sfogarsi di fronte alle telecamere, ma attenzione a non sottovalutare il diesse: certamente la sfuriata è in gran parte genuina, ma è innegabile che prendersela a muso duro con il palazzo sia un metodo infallibile per caricarsi i tifosi sulle spalle e distrarli dalla situazione disperata in cui si trova la squadra.

Al Verona oggi serve chiarezza di progetto e stabilità. Certo non una società traballante e un presidente con le quote sotto sequestro – che si stacca anche quest’anno l’assegno più grasso della serie A – un allenatore che fatica a seguire la via da lui stesso tracciata, una gruppo a cui tremano i polsi e che si permette di sbagliare due occasioni dal dischetto su tre concesse.

Se una squadra piccola come il Verona vuole salvarsi in questo campionato in cui – com’è sempre stato – le grandi maramaldeggiano in campo e nel palazzo, deve mettere assieme un gruppo solido e avere attorno un ambiente sereno, altrimenti la retrocessione è pressoché certa. VAR o non VAR.

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