“So qual è la causa maggiore del tuo male: non sai più chi sei” (Boezio, Phil. Cons. I, 6)
Il monito del filosofo latino, a distanza di quasi due millenni, continua a farci memoria della ragione ultima del nostro male: non sappiamo più chi siamo.
Abitiamo da così tanto tempo fuori di noi, che abbiamo perso la strada verso casa. Ci illudiamo che questo nostro essere slogati, fuori luogo, sia la nostra vera dimensione e che il potere, l’avere, il successo sia ciò di cui necessitiamo per vivere.

Siamo convinti che la nostra identità, l’essenza costitutiva coincida con la forma che abbiamo assunto manifestandoci in questo mondo, ovvero col nostro corpo, l’attività mentale, le sensazioni che proviamo, il pensiero che produciamo, l’emozioni che viviamo.
Siamo dormienti e viviamo sognando.

Esiste la via d’uscita e si chiama ritorno


Ci nutriamo d’effimero, attaccandoci con denti e unghie a tutto ciò che è alla nostra portata, confidando che questo possa sfamare il nostro desiderio di vita autentica.

Si acquisisca pure la più brillante sapienza eruditiva, e poi? Si diventi ricchi e potenti, e poi? Si goda la compagnia di donne dalle forme leggiadre, e poi? Non è certo grazie a tutto questo che il proprio Sé può essere realizzato. (Sankara, Opere brevi. Trattati e Inni. Il sacro biasimo del non-Sé. Sutra 1)

Dopo queste considerazioni, s’impone una domanda. È data una via d’uscita da questa situazione? È dato risvegliarsi da questo sonno mortale? È possibile, in ultima analisi, essere salvati in questa vita?
Sì, certo. È data una via d’uscita: la storia della spiritualità ci offre una teoria di maestri che, come punti luminosi, hanno gettato luce sull’uscita di sicurezza per il risveglio, e dunque per il compimento del proprio cuore, identificandolo con il ritorno.

(Dalla prefazione a cura di Paolo Scquizzato al libro di Raffaella Arrobbio, Fratelli spirituali. Gotama il Buddha, Gesù il Cristo:
due voci, un’unica esperienza spirituale
, Gabrielli editori 2023).

Due vie spirituali molto vicine

Come sono io, così sono questi; come sono questi, così sono io: sé stesso agli altri identificando, non li uccida né li faccia uccidere. (Suttanipāta, 705, in Canone Buddhista, Discorsi brevi, a cura di P. Filippani Ronconi, Utet, Torino, 1967, p. 485)

Amerai il prossimo tuo come te stesso. (Mt, 22,39)

La prima volta che lessi queste parole del Suttanipāta, uno dei testi canonici che portano fino a noi le parole del Buddha così come sono state raccolte dai suoi primi ascoltatori e discepoli, rimasi stupefatta nel constatare la sovrapposizione – che a me apparve subito evidente – con le parole del Vangelo di Matteo che, a sua volta, porta fino a noi l’insegnamento di Gesù di Nazareth.

Ero davvero molto giovane allora e non mi fu facile all’epoca trovare chi – in ambito di dottrina cattolica – si dichiarasse d’accordo al cento per cento sul fatto che queste due Vie spirituali sembravano parlare della stessa esperienza possibile per l’essere umano: un’esperienza di trasformazione nella quale, venendo a cadere le coordinate ordinarie della coscienza abituale, si sarebbe incontrata una nuova modalità di relazione con sé, con gli altri, con il Tutto.

La ricerca della felicità incondizionata

L’essere umano è il medesimo in ogni luogo e tempo, nonostante le differenze culturali che si sovrappongono modificandone l’apparenza: ma al di là dell’apparenza mutevole secondo le epoche storiche e i luoghi geografici, la natura umana fondamentale rimane la stessa, con gli stessi desideri, le stesse paure, le stesse speranze e, soprattutto, lo stesso desiderio di felicità incondizionata.

Per questo motivo, anche l’esperienza interiore di trascendimento della dimensione della coscienza ordinaria non può che essere la medesima in ogni tempo e luogo, esprimendosi, certo, nella forma propria di ogni civiltà ma manifestando essenzialmente gli stessi caratteri ovunque e sempre: pace, amore, saggezza, equanimità… Sono, queste, qualità interiori che hanno naturalmente una controparte esteriore, esprimendo una modalità di relazione nuova, non conflittuale, pacifica, gioiosa, libera dalla tragedia generata dal dualismo.

La via verso l’incontro con la Realtà

[…] Come racconta bene il teologo Paul Knitter nel suo Senza Buddha non potrei essere cristiano, posso senz’altro anch’io affermare che – nel mio personale percorso – l’insegnamento del Buddha ha illuminato l’insegnamento evangelico facendone emergere l’essenza.

Un’essenza che, da un lato, è di formidabile rottura con quel mondo ripetitivo che non smette mai di girare in tondo negli stessi piccoli, miopi giochi egoistici e, d’altra parte, mostra la nuova dimensione a cui può approdare chi decida di abbandonare proprio quel gioco.

L’intuizione dell’essenza dell’insegnamento evangelico mi è apparsa in trasparenza attraverso le parole del Buddhadharma che hanno funzionato come una lente d’ingrandimento che amplifica ed evidenzia: i due insegnamenti entrano reciprocamente in risonanza e l’armonia del loro profondo accordo mostra con semplicità la Via che introduce all’incontro con il fondamento autentico della realtà umana, e della Realtà tutta.

La fobia per la trascendenza

Oggi viviamo in un periodo dominato da una pesante cappa di materialismo, in un mondo afflitto da una sorta di fobia della trascendenza in cui le persone, spesso ridotte inconsapevolmente a consumatori compulsivi, hanno una estrema difficoltà a percepire dentro di sé il desiderio di un significato oltre ciò che ci mostrano i sensi.

Mi sembra perciò che sia di estrema importanza riscoprire in che cosa consista quella esperienza spirituale di cui ci parlano sia Gesù il Cristo che Gotama il Buddha; le stesse indicazioni le hanno trasmesse anche altri grandi maestri in contesti diversi dai loro, tuttavia questo libro si concentra in particolare su quanto è venuto emergendo dall’intuizione e dall’esperienza dell’insegnamento buddhista rispecchiato nelle parole evangeliche, e viceversa.

Santi e risvegliati

La possibilità di trascendere l’ordinaria dimensione di coscienza per approdare all’“Isola Incomparabile” di felicità incondizionata è possibile a chiunque segua seriamente le indicazioni dei due Maestri di cui ci occupiamo qui: questo entrambi ci dicono e, d’altronde questo è dimostrato dall’esperienza di centinaia, se non migliaia, di uomini e donne che sono giunti a realizzare la loro promessa.

Noi li chiamiamo Santi, nel mondo buddhista li chiamiamo Risvegliati o Illuminati: ma essi non devono essere considerati dei casi speciali, irraggiungibili per noi poveri esseri ordinari.

Al contrario, dobbiamo vederli come dei fari che additano quella possibilità che è attualizzabile anche da noi, da chiunque di noi voglia scommettere su di essa.

Tanto più mi sembra importante oggi cercare il modo per ripartire in un viaggio interiore di scoperta dell’autentica essenza, di ciò che noi davvero siamo: in questo momento, forse più che mai la nostra essenza autentica è sommersa, quasi invisibile, tuttavia essa esiste, è ciò che realmente È.

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