La Commedia è un’opera di morti e rinascite.

Il cammino di Dante è il cammino del Cristo nella Settimana Santa. Ma non solo. È il cammino del popolo di Israele in fuga dall’Egitto. È il cammino di ognuno di noi, attraverso i nostri abissi, le nostre trasformazioni, le nostre vertigini.

È un’opera primaverile. Pasquale.

Eppure, anche in questi tempi di feste natalizie noi possiamo vedere il profondo legame che lega Dante al mistero del materno e di Maria.

Maria, maternità storica e archetipica

Della mamma di Dante, Bella degli Abati, sappiamo quasi nulla. Sappiamo che morì, quando Dante era ancora molto piccolo, 5 o 6 anni.

Questa relazione interrotta, mancata, senza scendere in facili psicologismi, Dante in qualche modo la risarcisce nella maternità storica, archetipica, cosmica di Maria.

E come fantolin che ’nver’ la mamma

tende le braccia, poi che ’l latte prese,

per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;

ciascun di quei candori in sù si stese

con la sua cima, sì che l’alto affetto

ch’elli avieno a Maria mi fu palese.

Indi rimaser lì nel mio cospetto,

’Regina celi’ cantando sì dolce,

che mai da me non si partì ’l diletto.

(E come un bambino tende le braccia verso la mamma, dopo essere stato allattato, per il suo affetto che si manifesta anche nei gesti esteriori, così ognuno di quei beati si protese verso l’alto con la sua cima, così che mi fu chiaro l’alto affetto che essi avevano per Maria. Poi restarono lì al mio cospetto, cantando ‘Regina celi’ con tanta dolcezza che tale piacere non mi lasciò mai).

Siamo nell’ottavo cielo, il cielo delle Stelle Fisse, a Dante appaiono i santi, le anime beate, come se fossero fiori di un grande giardino. E tutte le anime, fiammeggianti, si tendono verso Maria, con la gioia del bambino che nutrito tende le braccia verso la mamma.

In Paradiso si dice “mamma”

La cosa interessante è che in un’altra opera, un testo di riflessione linguistica scritto in latino, il De Vulgari Eloquentia, Dante consiglia agli autori di stare attenti, nell’utilizzo del volgare, di lasciare nel loro setaccio solo i termini più nobili e quindi di non collocare in alcun modo “né gli infantili per la loro elementarità, come mamma e babbo, mate e pate, né i femminei per la loro mollezza” (“nec puerilia propter sui simplicitatem, ut mamma et babbo, mate et pate, nec muliebria propter sui mollitiem”).

Eppure, nel momento in cui Dante deve rendere omaggio allo spettacolo grandioso e ardente delle anime innamorate di Maria sceglie proprio quella parola meno nobile, “mamma”, e pure la similitudine è una similitudine domestica, di livello basso, ma nel Paradiso alto e basso arrivano a coincidere e armonizzarsi assieme.

Dio si trasforma attraverso Maria

Maria è la madre temporale di Dio ed è la madre di un dio temporale. In lei ritorniamo ad una religione umana, corporale, sempre in contatto con donne e uomini. Non solo, ma quasi Dio stesso attraverso Maria si trasforma. Si rinnova. Il principio femminile realizza i pensieri divini, dà loro forma e configurazione materiale. E quindi, scandalosamente, Dio si migliora. Lo fa avvicinandosi alla Vergine cosmica ed eterna. Quello che ne risulta non è tanto la creazione di un nuovo mondo, ma di un nuovo Dio.

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Colei che “volse la chiave”

Maria è colei che nobilitò a tal punto l’umanità che Dio volle farsi uomo.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,

per lo cui caldo ne l’etterna pace

così è germinato questo fiore.

E lo stesso Paradiso fiorisce da quel ventre materno, come una pianta nutrita dal caldo amore, facendo fiorire la celeste rosa delle anime beate.

Quasi a dire che il Paradiso, questo Paradiso, questo luogo di felicità eterna, non poteva esistere prima di Maria. Non poteva esistere senza Maria. Un Paradiso che prima era vuoto, privo di foglie, che non poteva crescere. Dall’incontro tra Dio e una donna abbiamo lo svolgersi fecondo e vitale di questo Regno.

Quando Dante nella cornice dei Superbi vede la scena dell’Annunciazione, questo scrive:

L’angel che venne in terra col decreto

de la molt’anni lagrimata pace,

ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,

(…)

Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’;

perché iv’era imaginata quella

ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave.

(L’angelo che venne in Terra col decreto della pace [tra Dio e l’uomo] sospirata per tanti anni, e che aprì il Cielo dopo un lungo divieto, sembrava così reale davanti a noi, scolpito in un gesto soave, che non sembrava un’immagine silenziosa. Si sarebbe giurato che egli dicesse Ave!, perché era raffigurata anche colei [Maria] che girò la chiave per aprire l’alto amore di Dio).

La porta da cui irrompe il divino

Qui abbiamo un doppio movimento di apertura. Da una parte l’apertura è dall’alto, da Dio, per il bisogno di una “lagrimata pace”, di una pace dopo tanta sofferenza, ma dall’altra c’è Maria che apre e si apre all’alto amore. Maria diventa la porta attraverso la quale irrompe il divino nella vita di ognuno e di ognuna di noi.

Maria, la quale racchiude archetipicamente in Dante tutti i femminili, è questo: apertura. Il Femminile Sacro era assieme a Dio quando creò l’Universo, o meglio, quando “s’aperse in nuovi amor l’etterno amore” (Paradiso 29. 18).

Ed ecco quindi che tutte le immagini nutrienti di beatitudine e di luce paradisiache siano proprio immagini legate al latte. La luce diventa fluente, nutrimento per un Dante puer, un Dante che torna bambino in una sorta di balbettio mistico.

Il Paradiso è regno di luce liquida. La luce è una luce di latte, fluvida, ondosa. Questo ha come presupposto filosofico il neoplatonismo cristiano, appunto, dove la luce viene distillata, si infiltra sottilmente nel mondo, penetra attraverso l’universo. E come scrive Bachelard, “ogni bevanda felice è latte materno”. L’acqua celeste si maternizza, “l’elemento liquido appare come un super latte, il latte della madre delle madri”.

I cieli ci aspettano. Finalmente materni.

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