Di donazione pediatrica non se ne parla mai. È un tabù vero, diffuso, che ovviamente si riflette anche sul numero di donazioni e sui conseguenti trapianti di organi e che spesso impedisce a chi ne ha bisogno di trovare una soluzione alle proprie necessità. Anche quando potenzialmente un donatore ci sarebbe. 

Si tratta di una situazione diffusa, ma che in questo momento sta coinvolgendo direttamente una famiglia di Verona, alle prese con un problema cardiaco della piccola di famiglia, Amelia (nome di fantasia) che da circa sei mesi sta vivendo in ospedale e con nessuna possibilità di uscire fino a quando non verrà trovato un donatore adatto. 

Un argomento di cui non si parla mai

Solo che… solo che è un argomento che fa paura e difficilmente se ne parla in condizioni diciamo normali, soprattutto se il tema riguarda i bambini. Quando poi però arriva un decesso, che ovviamente e comprensibilmente getta nello sconforto i genitori e i parenti del piccolo defunto, l’argomento diventa ancora più difficile da affrontare. In un circolo vizioso che non si sblocca mai. O solo in rarissimi casi.

Anche per questo la mamma della piccola Amelia, Giulia, ha deciso di rompere il silenzio e chiedere a gran voce che si getti un faro sulla questione, perché anche solo parlarne, e parlarne il più possibile, può contribuire a risolvere i problemi che in questo momento sta vivendo lei con la sua bambina.  “Ne abbiamo discusso quest’estate con psicologa e cardiologa” ci racconta Giulia. “Mi hanno messo davanti al fatto che in effetti di donazioni in età pediatrica non se ne parla proprio, se non in casi specifici. Anzi, a dirla tutta già se ne parla poco quando il decesso riguarda un soggetto adulto e il fenomeno si acuisce ancor di più quando purtroppo riguarda un bambino. Se però quel decesso può trasformarsi in vita per qualcuno altro si può dare un senso importantissimo a quell’evento tragico. Il fatto è che bisognerebbe però decidere prima di quei difficili momenti, quando non è semplice essere lucidi e possono prevalere tanti altri sentimenti. Per fortuna ci sono pochi bambini che muoiono, ma tanti dei potenziali donatori comunque non lo diventano, perché nel momento della tragedia di primo impatto molti genitori dicono di no”.

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La situazione di Amelia e della sua famiglia è di quelle a dir poco complicate, perché è necessario  attendere che si crei la giusta situazione affinché un cuore adatto possa essere trapiantato al posto di quello della bimba, che è sano e perfetto, ma anatomicamente molto più grande del normale e collassante per il corpicino della piccola, la quale – come detto – non ha speranza di poter uscire dalla struttura ospedaliera fino a quando non avrà trovato un donatore. 

L’attesa più difficile

Fino ad allora potrà solo attendere, con il rischio enorme anche di prendersi qualche batterio in ospedale e rischiare ulteriormente di perdere la propria vita. A tutto questo si aggiunge l’evidente necessità di essere accudita dai propri genitori e anche per questo Giulia e suo marito hanno scelto di rimanere a Verona avendo l’ospedale chiesto se volessero far seguire la piccola qui al posto di Bergamo, proprio per poter proseguire anche con le altre attività della propria vita, a cominciare dal lavoro, dall’accudimento dell’altro figlio della coppia e delle altre attività necessarie per il proprio benessere psicofisico. 

“Se fossi a Bergamo e dovessi stare in ospedale 24 ore su 24” confessa Giulia. “Come potremmo fare? L’INPS copre le spese solo per un genitore, quindi uno dei due deve necessariamente lavorare mentre l’altro rimanere in ospedale con il minore. E posso assicurare che è durissima. Invece così, rimanendo a Verona e occupandomi anche di altro, riesco a non sprofondare nel baratro della paura e dei pensieri negativi tipici dell’attesa. A questo proposito è importantissimo essere seguiti dagli psicologi che ti aiutano a rimanere centrati, lucidi e presenti a se stessi. Aggiungo anche che in queste situazioni è il cerchio di familiari e amici e che si dimostrano davvero vicini a darti un aiuto fondamentale. Si contano, vale per tutti, sulle dita di una mano o, per chi è più fortunato, al massimo due, ma sono un sostegno imprescindibile per chi vive situazioni come la nostra”.

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Giulia, anche attraverso la pagina Instagram Una vita per altre vite vuole sensibilizzare le persone e anche le istituzioni (“non tutti i Comuni chiedono, quando si fanno i documenti, se si vuole essere donatori, come invece è prescritto per legge, e questo per paura di reazioni sbagliate da parte del cittadino”, ci racconta) su un argomento di cui non si parla mai per fare in modo che questa notizia raggiunga il maggior numero di persone possibile e non sia mai più considerato un tabù. Ciascun cittadino, in definitiva, può fare su questo tema la sua parte importante, diffondendo e sensibilizzando la propria cerchia di conoscenze. 

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