Con la proiezione delle opere vincitrici è calato ieri sera il sipario sulla 29esima edizione del Film Festival della Lessinia. La rassegna cinematografica internazionale dedicata a vita, storia e tradizioni nelle montagne del mondo ha assegnato il Lessinia d’Oro per la miglior opera cinematografica in assoluto a Fragments from heaven(Frammenti dal cielo) di Adnane Baraka, mentre il Lessinia d’Argento è stato assegnato per il miglior lungometraggio a Mamá, il film d’esordio di Xun Sero (nome d’arte di Juan Antonio Méndez Rodríguez), e per il miglior cortometraggio a Xiaohui he ta de niu (Xiaohui e le sue mucche) della regista e sceneggiatrice Xinying Lao.

Grande partecipazione di pubblico nel corso di tutte le giornate, che oltre alla proiezione dei 90 film provenienti da tutto il mondo hanno coinvolto i partecipanti con camminate, seminari, laboratori, incontri, concerti e moltissimo altro. Il tema di fondo è sempre quello della montagna e delle terre alte, che hanno fatto da leit-motiv per i dieci giorni di festival. Ne parliamo con il direttore artistico Alessandro Anderloni, regista e attore, che negli anni ha saputo consolidare e rendere il festival un appuntamento fisso per moltissimi appassionati.

Anderloni durante la presentazione di un film all’interno del Teatro Vittoria di Bosco Chiesanuova

Anderloni, questa edizione segna ancora una volta il grande successo di una manifestazione che ha saputo andare oltre le inevitabili difficoltà che un evento di grande portata come questo può vivere nel corso degli anni e diventare un appuntamento consolidato, molto atteso e partecipato, non certo solo per il panorama veronese e della sua provincia…

«Credo che la perseveranza sia uno degli aspetti che ha permesso al festival di esserci e di continuamente rinnovarsi, senza tradire lo spirito iniziale, che è ancora vivo. Significativo constatare che l’idea generatrice del festival dà ancora i suoi frutti. Raccontare la vita in montagna, in tutti i suoi aspetti, è una sfida che non ci stanca mai. Tuttavia crescendo il festival ha collocato all’interno del programma – quest’anno sono ben 122 gli eventi proposti – dei mattoni che hanno contribuito a costruirlo e a renderlo solido. Per fare un paragone con le case della Lessinia, le pietre angolari del festival sono la programmazione cinematografica, la programmazione letteraria – intesa come presentazioni editoriali e incontri con gli autori – la programmazione per i bambini e i ragazzi e, come quarta pietra angolare, l’aspetto sociale…»

Cosa intende per aspetto sociale?

«Un elemento fondamentale, che dividerei in due sotto-aspetti. Il festival tiene insieme tutti, è intergenerazionale, dai bambini di pochi anni ai loro nonni ultranovantenni. Al festival ognuno riesce a trovare la sua collocazione. Che, se ci si pensa, è quello che accadeva con i filò. Erano luoghi comunitari per eccellenza, momenti in cui i nonni stavano con i bambini e gli adolescenti e raccontavano attorno al fuoco le loro storie. Ecco, il festival è come se fosse un grande filò.

Una delle escursioni-trekking organizzate durante il festival

L’altro aspetto che si è consolidato negli ultimi anni, è il team, che accanto ai professionisti e ai volontari riesce a coinvolgere tirocinanti, progetti alternanza scuola-lavoro, persone seguite dalla comunità sociale Panta Rei con disagi psichici, detenuti con permessi tramite l’articolo 21, detenuti che scontano la pena ai domiciliari, persone seguite dai servizi sociali di Bosco Chiesanuova, minori rifugiati dalla SPRAR della cordata e via dicendo. Tutte queste persone insieme riescono a creare un’energia incredibile, vero motore del festival. E il bello è che qui siamo tutti allo stesso livello, dal direttore artistico al più giovane dei ragazzi.

Quello che è davvero incredibile è che tutti percepiscono il valore di questo festival, l’onestà intellettuale che c’è alla sua base. Tutti danno tutto ciò che possono, fino a chiederti se possono raddoppiare i turni pur di rimanere qui e dare una mano ulteriore. Non vogliono mai andare via. Questo elemento rende il festival una condivisione autentica, che poi viene percepita dal pubblico e dai nostri ospiti, attori e registi, che entrano immediatamente in sintonia con l’atmosfera che si viene a creare, ogni anno. Questo permette di condividere appieno le tematiche, i racconti, le storie. Nessuno si sente solo qui. Chi vuole può avere i suoi spazi anche di solitudine, ma se si vuole qui non si è mai davvero soli. In questa “piazza” c’è sempre un grande rispetto reciproco. Si tratta di una piccola magia.»

Una conferenza del FFDL

Veniamo all’edizione appena conclusa…

«Il Lessinia d’Oro è andato in Marocco, mentre il Lessinia d’Argento in Messico e Cina. Un palmares che certifica ancora una volta la copertura internazionale del nostro festival. I premi sono stati poi consegnati in una cerimonia che ha visto collegarsi in diretta le giurie dei carceri di Verona e Venezia, con un momento particolarmente toccante quando c’è stata la diretta – tra Venezia e il Kazakistan – con la partecipazione della regista premiata dalle giurate della Giudecca. Il Festival, inoltre, tiene sui numeri rispetto all’edizione del 2022, che era stata eccezionale da ogni punto di vista. Il festival, quindi, conferma il suo ruolo di promozione della Lessinia permettendo alla stagione turistica di arrivare fino a fine agosto e facendo vivere Bosco Chiesanuova per dieci giorni donandole una visibilità importante a livello nazionale e internazionale.»

Quali sono le difficoltà nel proporre ogni anno una sfumatura nuova sul tema della montagna?

«Intanto non voler necessariamente stravolgere ogni anno il festival, non voler inseguire record, non voler stupire a tutti i costi. C’è, al contrario, grande continuità e perseveranza. In questa continuità entrano naturalmente delle nuove iniziative, che nascono dal lavoro e non da colpi di testa. Quest’anno sono ad esempio nate le “Paroline alte”, con i libri dedicati ai bambini, ma anche i laboratori di cucina, che poteva sembrare una cosa alla masterchef e in realtà è qualcosa di perfettamente connaturato con lo spirito della manifestazione, perché chi insegna a cucinare cibi e le ricette della Lessinia poi racconta anche le storie di questi luoghi e fa delle vere e proprie performance teatrali.

I volontari del FFDL

Ovviamente non è scontato che ogni anno il Festival porti qui 90 film, organizzi più di 120 eventi, etc. Bisogna fare tanta ricerca. Abbiamo responsabili per ogni sezione: escursioni, laboratori, programmazione cinematografica, etc. Queste persone si muovono, leggono, cercano, partecipano ad altri festival, visitano i mercati e in generale fanno tesoro dell’esperienza accumulata, percependo lo spirito di quelle che sono le singole iniziative. Da qui poi la scelta del film o dell’evento che può star bene nel contesto del nostro festival.»

C’è qualcosa che il territorio dovrebbe fare per far fare uno scatto ulteriore al vostro festival?

«Noi abbiamo bandito dal festival la parola territorio. Non la sentirai da nessuno di noi e non la vedrai letta e scritta da nessuna parte. Territorio è un termine di guerra, che indica una terra di conquista, e in generale è abusatissimo. I montanari al contrario dicono bosco, prato, pascolo, siepe, valle, vajo… A prescindere da questo quello che stiamo facendo è coinvolgere Bosco Chiesanuova e il Comune quest’anno è stato coinvolto in maniera splendida e sempre di più rispetto agli altri anni.»

Qual è, invece, il vostro rapporto con il capoluogo di provincia, Verona?

«Buonissimo. Le istituzioni cittadine ci sono, anche se (sorride, ndr) possiamo dire che in generale hanno una sorta di pigrizia. Vivono il festival e lo sostengono, ma se si facessero coinvolgere un po’ di più potrebbero entrare ancora di più dentro lo spirito della nostra manifestazione. Oltre il 50% degli spettatori – lo abbiamo visto con le statistiche del premio del pubblico – sale da Verona e salgono dalla città appositamente, si fanno 40-45 minuti di strada, parcheggiano magari con difficoltà e dopo aver partecipato alle varie proiezioni ed eventi tornano a notte fonda casa. Tutto questo pur di venire al nostro Festival. Non è poco.

Il pubblico del FFDL

Al nostro fianco, poi, ci sono tutte le istituzioni più importanti della città, dalla Fondazione Cariverona alla Fondazione Cattolica passando per la Fondazione Banca Popolare di Verona. Siamo in partnership con l’Università e in generale nei nostri confronti c’è grande attenzione. Ecco, lavoreremo per la trentesima edizione, quella dell’anno prossimo, affinché queste partership siano ancora più forti. In questo senso vorrei sottolineare come la Fondazione Cariverona quest’anno abbia finanziato “Radici e Fronde”, un progetto bellissimo sulle contrade e sulla marginalità, mentre la Fondazione Cattolica abbia finanziato la “trattoria sociale”. Ecco, sono solo esempi per dire che questa è la strada probabilmente da seguire, quella di progetti specifici a cui legare il nome del partner.»

Proiettiamo allora il nostro sguardo al 2024 e alla trentesima edizione, che si terrà dal 23 agosto al 1 settembre. Cosa state preparando per questa ricorrenza particolare?

«Non amo gli anniversari e non amo la nostalgia. Non sarà, quindi, una celebrazione nostalgica, ma sarà l’occasione per vivere il presente della trentesima edizione facendo, ovviamente, tesoro del passato. Una cosa che posso anticipare, però, è che stiamo già adesso invitando le persone che hanno in qualche modo segnato la storia del festival. Non si tratta solo dei vincitori, ma in generale registi, autori, giornalisti. Riuniremo in un evento speciale chi ha percorso insieme a noi questi anni di festival. Sarà una edizione di continuità, che ci permetterà di pensare non tanto a ciò che è stato, ma a ciò che sarà.»

Anderloni, al centro, con un gruppo di giovanissimi partecipanti al festival.

Tutte le foto sono tratte dal profilo Facebook del FFDL

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