L’80esima Mostra del cinema di Venezia si apre quest’anno in modo incredibile al cinema italiano con ben sei film di sei registi tutti nostrani, complice anche lo sciopero di attori e sceneggiatori di Hollywood che ha tenuto lontano una buona parte della produzione americana.

E, tutto sommato, non dispiace questa possibilità di staccarsi almeno un po’ da uno stile totalizzante come quello Made in Usa che spesso ha soffocato il resto del cinema mondiale.

Matteo Garrone, Saverio Costanzo, Stefano Sollima,  Edoardo De Angelis, Giorgio Diritti e il giovane Pietro Castellitto presentano le loro opere con temi e scelte diverse tra loro. Peccato che il gruppo sia tutto e solo maschile…

Ci sono proposte italiane anche in altre sezioni o fuori concorso, da Felicità con esordio alla regia di Micaela Ramazzotti al film fuori concorso del Leone d’oro alla Carriera di Liliana Cavani, poi Alessandro Roia e Giorgio Verdelli con un documentario su Enzo Jannacci. Insomma questa volta il festival parla di piú la nostra lingua…

Anche il film di apertura è tutto nostrano, Comandante di Edoardo De Angelis, un film ambizioso che racconta la storia di Salvatore Todaro, veneto di Chioggia, comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina Militare durante la Seconda Guerra Mondiale. E fin qui nulla di straordinario se non fosse per la scelta di Todaro il quale, durante una notte del 1940 mentre il sommergibile Cappellini naviga in superficie, scorge da lontano una nave mercantile, il Kabalo, che naviga a luci spente. Nonostante la nave batta bandiera belga quindi neutrale, scatta un attacco a fuoco. Todaro risponde e, con maestria, la nave viene abbattuta.

E qui inizia la parte più tosta del film: due scialuppe cariche di marinai arrivano sotto lo scafo del sommergibile e chiedono di esser salvati. La scelta di Todaro sarà determinante, nella legge del mare non si può lasciare nessuno alla deriva, si devono abbattere le navi nemiche ma gli uomini “a mare” vanno salvati, costi quel che costi. Così il sommergibile Cappellini affonda a colpi di cannone il mercantile Kabalo per poi salvarne l’equipaggio e portarlo in salvo nelle Azzorre.

Orgoglio italiano

La figura di Salvatore Todaro è forte e massiccia. Nonostante il fisico provato da un incidente che gli blocca la schiena, la determinazione è ostinata, l’orgoglio di essere italiano dichiarato in ogni battuta, la capacità di essere un militare in guerra ma un militare della Marina ne segna lo stile. 

Todaro è un uomo che combatte e, allo stesso tempo, un cattolico, uno che attacca le navi nemiche ma che rispetta la vita degli uomini, anche dei suoi uomini per i quali nutre un affetto quasi paterno. Insomma, stiamo parlando della figura di un eroe in tempo di guerra, di un “giusto”, che sta dalla parte delle persone.

E il messaggio di fondo appare chiaro: come Todaro accoglie i superstiti nemici, così oggi si dovrebbe fare anche durante gli sbarchi in mare degli immigrati, dei profughi, e invece…

Pierfrancesco Favino traduce in prestanza fisica, sguardo, voce profonda, il carattere di questo uomo, restituendogli quel riconoscimento personale che diventa collettivo. Bravissimi anche gli altri attori, in particolare Massimiliano Rossi, nel ruolo del vice Vittorio Marcon.

Il sottomarino è stato tutto ricostruito in scala reale, portato al porto a Taranto dove sono state girate la maggior parte delle scene. Il budget totale è stato notevole e la produzione ha visto la collaborazione, fra le altre, di Indigo Film e Raicinema.

Una storia da raccontare

«Era una storia che avevo letto già nel 2018 e che mi aveva molto colpito…», spiega De Angelis, che decide così di trasportare la memoria di Todaro – partendo dal carteggio delle lettere con la moglie Rina (interpretata da Silvia D’ Amico, unica figura femminile del cast e vero e proprio unico punto fermo dell’intera vicenda) e da altri documenti – per parlare di umanità vera, legge del mare, giustizia divina e carattere italiano.

Il regista Edoardo De Angelis

Due sono le considerazioni a caldo. La prima è che decidere di fare un film su Todaro significa inevitabilmente fare anche un film sulla guerra. Alcune scene sono formalmente notevoli, ma la guerra ripropone schemi purtroppo sempre violenti. Alcune immagini sono molto efficaci nel proporre il disastro del conflitto, soprattutto in un momento, come il nostro attuale, che ne è toccato, sia pur da lontano. La seconda è il rischio dell’esaltazione della figura del protagonista, un uomo di spessore ma che è comunque implicato in quella stessa guerra. In quest’ottica la parte attuale e portante del film è l’umanità che una persona, uomo o donna che sia, può avere anche nei momenti più tragici della vita e in questo la storia di Todaro risulta particolarmente esempio.

La scrittura del film è di Sandro Veronesi e i dialoghi scorrono insieme alla tensione della vita claustrofobica del sommergibile.

Un plauso speciale alla parlata di Favino/Todaro e Rossi/Marcon: i due attori – il primo romano, il secondo napoletano verace – parlano nel film la lingua della terra dei loro personaggi, Chioggia e Sottomarina , con un accento e un tono dialettale per nulla facile soprattutto per chi è cresciuto lontano da quelle terre. I due parlano davvero in chioggiotto e c’è da stupirsi. Merito della loro insegnante/attrice veneziana Maria Roveran che viene citata in conferenza stampa per la sua pazienza e la sua bravura.

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