Dopo la serata speciale dedicata al cinema di Ousmane Sembène, giovedì 28 giugno è tornato il concorso Africa Short del Festival del Cinema Africano e oltre. I cortometraggi visti dal pubblico sono stati in grado di spaziare tra Stati e temi affrontati, alimentando sempre di più la curiosità riguardo una cinematografia ancora sconosciuta al pubblico occidentale.

La serata è iniziata con Astel di Ramata-Toulaye Sy, un coming of age ambientato tra la natura rurale del nord del Senegal e che vede come protagonista una giovane ragazza costretta ad adattarsi a un nuovo lavoro per colpa della tradizione del proprio villaggio. Cormac McCarthy in Cavalli Selvaggi descriveva il passaggio dall’infanzia all’età adulta nel Messico con queste parole: “Bastava vedere i bambini. Avevano un’intelligenza spaventosa. E una libertà che noi invidiavamo. Avevano pochissime limitazioni e pochissime aspettative. Ma poi, a undici o dodici anni, smettevano di essere bambini. Nel giro di una notte perdevano l’infanzia, ma non avevano nessuna giovinezza. Diventavano serissimi. Come se una terribile verità o una terribile visione l’ avesse visitati”.

L’incidenza della scrittura del grande autore statunitense sono perfettamente adattabili al cortometraggio di Ramata-Toulaye Sy, che attraverso una fotografia che fa del campo lungo una cifra stilistica restituisce agli spettatori uno sguardo sul mondo figlio della cultura del proprio Paese. 

“Nella mia città nessuno è straniero”

Jmar è il cortometraggio diretto da Samy Sidali che prende il nome da una parola marocchina usata metaforicamente per descrivere un sentimento che fornisce calore, ma che al tempo stesso è in grado di bruciare. La storia del giovane Khaled può essere descritta come Jmar, un ragazzo attratto dalla sessualità che si brucia andando oltre i suoi limiti. Samy Sidali confeziona il cortometraggio sulle doti attoriali del proprio protagonista, tracciando uno spaccato di cultura marocchina e di crescita adolescenziale. 

“Nella mia città nessuno è straniero” è uno degli slogan che accompagnano questa edizione del Festival del Cinema Africano e oltre. Le immagini dei quattro minuti di On the surface sono in grado di restituire l’importanza dello slogan. Tramite l’animazione, Fan Sissoko mette in scena un parallelismo tra una donna che sta diventando mamma e l’acqua, elementi che danno la vita ed entrambi graziati da una purezza inscalfibile e universale.

Immagine tratta da On the surface di Fan Sissoko.

Bergie si è rivelato invece come uno dei cortometraggi più intensi di tutta la selezione, nonostante i soli sette minuti di durata. Durante una corsa podistica, la morte di un senza tetto scombussola l’equilibrio della gara mettendo in contrapposizione due modi di pensare e vivere tale evento. Dian Weys ha scelto un piano sequenza di sette minuti ristretto tra i 4:3 terzi del formato per creare un’esperienza asfissiante, dimostrando come le immagini siano in grado di parlare una lingua comune a tutti.

L’indifferenza della società contemporanea rispetto alla morte – tema che si potrebbe collegare all’assuefazione verso il sottogenere crime da cui il pubblico è contaminato nell’era dello streaming – è specchio del declino umano che Bergie mette magistralmente in scena.

L’ultima serata del concorso

La sezione si è infine conclusa con Zafa (Big Day), cortometraggio di Zaïda Ghorab ospite durante la proiezione. Ambientato durante il matrimonio di Sherif, Zafa (Big day) è un cortometraggio che cerca di aggrapparsi al dramma dell’impossibilità di scegliere, cadendo però in un mulinello ripetitivo di scelte stilistiche e narrative che non reggono la carica emotiva che Zaïda Ghorab vorrebbe veicolare.

Questa sera, venerdì 30 giugno, il concorso si conclude con la proiezione degli ultimi quattro cortometraggi (I am afraid to forget your face, Mofiala, The Town, Pistache chocolat). In caso di pioggia le proiezioni si terranno al chiuso all’interno della sala della Chiesa di Santa Teresa. Biglietto festival 5 euro.

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