Il tanto bistrattato e discusso calcio italiano è tornato ad avere una squadra in ogni finale delle coppe europee dopo 29 anni. Era il 1994, quando il Milan degli Invincibili di Fabio Capello batté per 4 a 0 il Barcellona di Johan Cruijff nella finale di Atene e si aggiudicò per la quinta volta nella sua storia la coppa dalle grandi orecchie. Il Parma arrivò a contendere la Coppa delle Coppe all’Arsenal nell’atto conclusivo di Copenaghen, dove i Gunners si imposero per 1 a 0, mentre l’Inter conquistò la Coppa Uefa con un doppio 1 a 0 ai danni del Salisburgo.

Questo en plein di piazzamenti si è verificato in altre tre stagioni: 1988-89 (Milan, Sampdoria, Napoli), 1989-90 con ben quattro squadre (Milan, Sampdoria, con Juventus e Fiorentina che si scontrarono in finale di Coppa Uefa) e 1992-93 (Milan, Parma, Juventus). Andando al di là di queste statistiche, che ci ricordano di un’epoca d’oro del calcio di casa nostra, forse la più brillante, dove il nostro campionato era visto come un punto di arrivo e non di transito come spesso accade oggi, i fattori che hanno riportato in alto i nostri club possono considerarsi molteplici, perlomeno per quest’annata.

Andando in ordine di prestigio e partendo dalla neonata Conference League, la Fiorentina si è guadagnata con merito e bel gioco la finale di Praga del 7 giugno. Mister Vincenzo Italiano ha portato grande entusiasmo in una delle piazze più calde del panorama nazionale, centrando la seconda finale stagionale dopo quella di Coppa Italia con l’Inter, dove si affronteranno due cannibali della fase ad eliminazione diretta. Sia Inzaghi che Italiano, infatti, nelle ultime due stagioni hanno prevalso in 12 scontri diretti su 13 (per Inzaghi l’unica eliminazione è quella col Liverpool negli ottavi della Champions 21-22, mentre per Italiano l’unica sconfitta è quella contro la Juventus nella Coppa Italia dello scorso anno).

Middle class football

L’affermazione viola è il risultato dell’ottimo operato di un allenatore che ha saputo sfruttare al meglio una buona rosa, amalgamando giocatori di qualità, soprattutto nel reparto avanzato, con altri di livello minore e più “operai”, senza perdere nessuno per strada. Un riscontro di ciò lo si può trovare nel fatto che a fine stagione la Fiorentina avrà tagliato il traguardo delle 60 partite, a una sola gara dal record del Milan 2002-2003, che disputò 61 partite vincendo Champions League e Coppa Italia con ben altra rosa e ben altri campioni a disposizione.

Più in generale, in Conference League si può iniziare ad intravedere una tendenza, tutta da confermare visto che siamo solo alla seconda edizione della competizione: considerando la vittoria della Roma dell’anno scorso, si può dire che la “media borghesia” italiana, quella che gravita intorno al settimo posto con 4-5 squadre che ogni anno si possono giocare la qualificazione, in campo europeo sa dire la sua. Si è discusso del reale valore di questa coppa, dell’oggettiva mediocrità di alcune partecipanti. Detto questo, è indubbio che si tratti, checché se ne dica, di un palcoscenico europeo, ed arrivare in fondo equivale a fare un percorso degno di nota ed a guadagnare esperienza in campo internazionale.

La stessa Roma campione in carica ha dato prova di potersela giocare anche allo step successivo, grazie ad un’attitudine europea oramai acquisita. Josè Mourinho è una vecchia volpe, e ha dimostrato che in Europa un certo tipo di calcio, purtroppo o per fortuna, paga ancora. Ne hanno fatto le spese, prima del Leverkusen, il Salisburgo, la Real Sociedad, il Feyenoord e l’anno scorso il Leicester, non gli ultimi arrivati diciamo.

Questione di DNA

I “giochisti” non hanno esitato a rinfacciare a Mou le solite etichette, quelle dell’anticalcio, dell’ostruzionismo al gioco, delle (molte) perdite di tempo, dei 23 tiri a 1 per il Bayer. L’allenatore portoghese risponde come sempre con l’ineluttabile verdetto del campo, ottenuto con una gara di grande attenzione e concentrazione, e con un’altra prova di livello soprattutto di quei giocatori che lo Special One sa stimolare di più, i caratteriali, i gregari, i Cristante, i Matic, che si butterebbero nel fuoco per lui. Mourinho sa entrare nella testa di questi giocatori e forse anche per questo ha riportato la Roma a vincere qualcosa dopo 14 anni e raggiunto la seconda finale europea in due anni, tante quante i giallorossi ne avevano raggiunte in tutta la loro storia.

All’orizzonte c’è Budapest, per una finale che dista solo dieci giorni e per la quale la squadra della Capitale proverà a recuperare Spinazzola e Celik, infortunatisi alla Bayer Arena, che vanno a riempire la già affollata infermeria giallorossa. Per quella che sembra comunque la via più percorribile per arrivare alla Champions League, piuttosto che tramite il campionato, la Roma dovrà vedersela con l’inossidabile Siviglia, habitué della competizione che ha impedito una finale tutta italiana, eliminando a fatica la Juventus e confermandosi “ineliminabile” per le squadre italiane: cinque vittorie di fila contro cinque squadre diverse : Fiorentina, Lazio, Roma, Inter e Juventus, arrivando a giocarsi la sua settima finale dopo averne vinte sei su sei. Non si farà intimorire Mourinho, che è a cinque su cinque, e si appresta a giocarsi la sesta, traguardo condiviso con Sir Alex Ferguson e superato solo da Giovanni Trapattoni a quota sette.

Abbiamo citato la Juventus, che meriterebbe un capitolo a parte, ed ora, in attesa delle decisioni della Corte Federale, dovrà tirare le somme al termine di una delle stagioni più travagliate della sua storia, in campo e fuori. Max Allegri non è riuscito a spuntarla di corto muso e la VSignora, che ha confermato anche quest’anno la sua allergia all’Europa, si appresta a chiudere la seconda stagione consecutiva senza trofei. A un allenatore della Juventus questo non accadeva dai tempi di Rino Marchesi nel biennio 1986-1988. Il dato che più impressiona è che con quella di Siviglia i bianconeri sono arrivati a 105 formazioni diverse su 105 partite in due anni (!).

Tra presente e futuro, per rimanere grandi

Per quanto riguarda il palcoscenico più importante, quello delle stelle della Champions League, l’euroderby ha sancito che sarà l’Inter a sfidare la corazzata del City di Guardiola nella finale di Istanbul del prossimo 10 giugno, riportando un’italiana in finale dopo sei anni. C’è da dire che il sorteggio già dai quarti aveva suggerito questa strada, dando un 75% di possibilità di vedere una squadra del nostro campionato in finale, e piazzando tutti i “mostri” come City, Bayern e Real dall’altra parte del tabellone.

Ai nastri di partenza probabilmente nessuno poteva immaginare l’Inter giocarsi la coppa, vedendo la composizione del girone, con Bayern e Barcellona. I nerazzurri hanno avuto la meglio sui catalani e, superato questo ostacolo impervio, pur da outsider non sono mai partiti sconfitti con le squadre incontrate in seguito, sfruttando al meglio le proprie caratteristiche.

Simone Inzaghi, come detto prima, è molto abile negli scontri da dentro/fuori, ha curato al meglio i dettagli in ogni singolo incontro e anche i suoi spesso discussi cambi sono stati sempre azzeccati. Inter – Manchester City già di suo è una finale storica, visto che sarà la prima di Champions League tra proprietà extra – europee: la Cina di Suning contro gli Emirati Arabi di Manṣūr bin Zāyed Āl Nahyān.

E quindi?

Più squadre italiane hanno dimostrato quindi una certa attitudine europea, e speriamo che questo sia di buon auspicio per i prossimi anni, anche a livello di Nazionale. Quello che non si deve sbagliare, in termini di movimento calcistico italiano, è esagerare nei giudizi e nei proclami, sport diffusissimo nel nostro Paese, sia nel bene che nel male, visti i vari processi sommari che spesso accompagnano le nostre sconfitte. Anche questo, in maniera marginale sia chiaro, probabilmente ha potuto contribuire a farci passare da campioni d’Europa ad essere esclusi nuovamente dal Mondiale nel giro di pochi mesi. Serviranno conferme sul lungo termine, servirà vincere anche le partite fuori dal campo, quelle per i nuovi stadi, per le riforme del settore giovanile e dei diritti tv per poter dire veramente che il calcio italiano è di nuovo tornato in auge.

© RIPRODUZIONE RISERVATA