Incontriamo la vice sindaca Barbara Bissoli in una mattina di sole, dalla sua finestra si scorge un pezzo di Arena che pare risplendere in modo nuovo, dopo essersi “liberata” del terribile moncone della stella. Avvocata amministrativista, da sempre impegnata nella politica e nelle istituzioni forensi, per alcuni anni presidente dell’Ordine degli Avvocati, Bissoli ha avuto una carriera impegnativa, quasi totalizzante, che ora deve però conciliarsi con questa nuova vita istituzionale a Palazzo Barbieri.

Vice sindaca Bissoli, ci racconta come è successo? Come si è convinta a un cambiamento tanto radicale?

«È stata veramente una chiamata. Quando a luglio Damiano Tommasi mi ha proposto l’incarico, ho sentito il desiderio di partecipare al progetto, una forza generatrice di cambiamento per una città che vuole girare pagina, diventare internazionale e inclusiva. Una città che lascia spazio alle molteplici energie cittadine.

Ho avuto la netta sensazione che tutta la mia vita professionale si fosse svolta proprio per arrivare a questo incarico, forte delle capacità raccolte nel mio impegno forense, che mi ha fatto crescere molto sia come persona sia come professionista. Ho potuto scegliere personalmente le deleghe e l’ho fatto in base a quelle che sono le mie competenze professionali, per facilitare il mio lavoro e rendermi più utile.»

Iniziamo dalla parità di genere, da questa condivisione dell’incarico che appare già di per sé significativa di un paradigma politico molto diverso dal solito.

«In effetti l’ho voluta estrapolare dall’assessorato alle Pari opportunità, affidato a Jacopo Buffolo, e viene completata dal lavoro della consigliera Beatrice Verzé. Siamo un dream team e lavoriamo benissimo insieme. È molto bello sia lo scambio generazionale, sia la possibilità di avere sguardi diversi sulle tante iniziative che abbiamo in cantiere. Ci sono competenze, esperienza e sentimenti diversi ma con la stessa volontà di funzionare.»

Piazza Bra
Arena di Verona

Al comune cittadino, che vi vede dall’esterno, lei e il sindaco sembrate molto diversi, qualcuno azzarda perfino troppo. Ci racconta come percepisce, se ci sono, queste differenze lavorando a stretto contatto con Tommasi?

«Con Damiano abbiamo gli stessi valori, un progetto identico. Certo, competenze ed esperienze non potrebbero essere più diverse ma credo sia un modo di completare l’altro. Siamo entrambi contrari ai proclami, alla politica degli strilloni, lavoriamo in silenzio e usciamo al pubblico solo quando il progetto è condiviso e ha contorni ben definiti. Noi scegliamo di comunicare pacatamente l’esito del nostro impegno. Sono fiduciosa che faremo vedere i primi risultati e verremo capiti.

Poi il sindaco è una persona molto riflessiva e vuole sempre essere molto dentro le cose; questo fa sì che quando decide, lo fa per il meglio. È un modo di approcciarsi all’amministrazione e alla politica che io ritengo tipico del pensiero femminile. Un governo della cosa pubblica che non è ricerca di potere e consenso, bensì di benessere e cura, della città e dei cittadini.

Tutti abbiamo dentro una parte maschile e una femminile. Alcuni uomini hanno spiccata quella femminile, che parte dall’ascolto, dal senso della relazione, della cura. Nei primi mesi noi abbiamo solo ascoltato e accettato qualsiasi richiesta di incontro, per immergerci nelle situazioni e capire. Credo sia proprio l’ascolto che permette di avere lungimiranza nel governo.» 

È forse difficile abituare i veronesi a questo nuovo modo di governare e comunicare, che spesso viene definito “non comunicare”. Verona è stata per anni terra di conquista degli urlatori, in un modello che sembra funzionare a tutti i livelli della politica. Merito anche qui dello sguardo “femminile”?

Barbara Bissoli

«Riprendo il filo conduttore che abbiamo scelto per le iniziative legate all’8 marzo: la rivoluzione gentile. Ecco, è bello lavorare con un uomo che la sente sua. Si è visto fin da subito, con le nomine in giunta di 5 uomini e 5 donne e poi nel suo coinvolgermi in tutte le commissioni dove ci si occupa di nomine, proprio perché lo sguardo di genere ci sia sempre.

Quelle vetrine di soli uomini non gli piacciono e stiamo lavorando all’adesione del Comune di Verona a una iniziativa della RAI che si chiama “No woman, no panel”, un modello da introdurre in tutta la comunicazione nei convegni pubblici. Ci sono già Milano e Perugia, ora arriviamo noi. E vogliamo proporlo anche all’Università.»

Tornando ora alle deleghe più tecniche, quali sono le sue priorità in tema di pianificazione urbanistica? Qual è la vostra visione della Verona del futuro?

«Le primissime cose, appena siamo arrivati, sono state mettere in campo il secondo stralcio del PEBA (il piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche) e l’adeguamento del piano di assetto territoriale (PAT), lo strumento strategico del Comune, il cui ultimo aggiornamento risale ai primi anni del Duemila, agli strumenti territoriali superiori, di Provincia, Regione ecc. Una cosa molto tecnica, ma andava fatta.

Appena approvato il bilancio, entro aprile, intendiamo avviare una revisione sia del PAT sia del Piano degli interventi, con una previa fase partecipativa. L’idea è che, mentre viene aggiornato il quadro conoscitivo, apriamo al dialogo con gli stakeholders: cittadinanza, categorie imprenditoriali, ma anche Circoscrizioni e Università. Alcuni enti hanno già formulato dei masterplan su ampie aree della città; noi cerchiamo di raccogliere tutto il materiale, idee, esigenze e anche sogni per poi cominciare la pianificazione.

La nostra idea di città è una combinazione tra la “città arcipelago”, con i quartieri collegati dalle peculiarità del nostro territorio, il fiume, le mura e nuove infrastrutture verdi, e la “città dei 15 minuti”, in cui idealmente una persona a piedi, bici o bus riesce a raggiungere i principali punti cardine del vivere quotidiano, tra cui i servizi pubblici, le scuole e gli esercizi commerciali.

Il tutto con uno sguardo di genere, per provare a facilitare la vita delle donne. Sono le donne che si fanno carico del 75% delle attività di cura, con giornate fatte di mille tappe a incastro: se hanno tutto a portata di mano, migliora la qualità della vita. E non solo delle donne. Ne beneficiano bambini, anziani. Perfino gli uomini.»

Ci sembra di capire che volete impostare un ragionamento allargato, che la pianificazione delle singole iniziative debba tener conto di un piano ben più grande. Un metodo molto diverso dalle continue varianti parziali viste negli ultimi vent’anni. Come si incastrano tutti i dossier già incardinati in un approccio di questo tipo?

«La priorità è la pianificazione proprio perché sul tavolo abbiamo tanti dossier urgenti o che aspettano da troppo tempo. Penso all’arsenale, agli ex uffici finanziari, al Tiberghien. Sono tante le situazioni che vanno affrontate ed è vero che alcune sono già in fase attuativa, mentre altre, tipo lo scalo ferroviario, ancora ai primi passi. Però quello che avvertiamo è il bisogno di mettere tutto a sistema, di avere una visione complessiva.

Noi ce la mettiamo tutta perché si possa girare pagina, iniziamo adesso con la pianificazione proprio perché i tempi sono lunghi e noi la vogliamo vedere, la fine. E la sfida è riuscire a inserire nel nostro percorso complessivo anche tutte le iniziative che stanno andando avanti con accordi di programma, permessi di costruire in deroga o pianificazioni attuative.»

Uno scorcio di Castel San Pietro. Foto di Osvaldo Arpaia.

Il progetto sulle caserme potrebbe essere un modo per recuperare a utilità comune non solo gli edifici ma tutta l’area circostante. Mettere la Questura e servizi pubblici in una zona non proprio sicura permetterà ai veronesi di riappropriarsi anche degli spazi verdi.

«Sulle prime due caserme l’amministrazione precedente aveva già deciso di accogliere la proposta del demanio di riconvertirle a uffici pubblici. Io mi sono trovata sul tavolo l’accordo di programma per la rifunzionalizzazione di San Bernardino e ho pensato di mettere tutto a sistema. L’agenzia del demanio investe 60 milioni di euro nella caserma di San Bernardino, soldi che altrimenti verrebbero spostati altrove. È un’opportunità da cogliere, con un progetto che contempli anche un piano del traffico, in modo da non impattare sulla vivibilità del quartiere.

Ci saranno parcheggi, verrà integrato il trasporto locale ed è l’occasione per superare tutti i limiti della collocazione attuale della Questura. Abbiamo tentato di valutare in modo attento, contemperando tutti gli interessi e il risultato ci dice che non è solo un intervento opportuno, ma che è la cosa migliore.».

Non lontano, sull’altro versante delle mura, rimane lo scempio di un’area che stride molto con la visione di città che avete in programma. Cosa si può fare per eliminare il degrado di quello che era il Lido dei veronesi, ma anche per l’abbandono in cui versa lo skate park? Non vi viene mai la tentazione di cancellare tutto e riscrivere la storia dell’area?

«La sua suggestione è decisamente drastica ma è vero che il luogo si presta a tante possibilità, potrebbe stare al centro di una progettazione che coinvolga anche soggetti esterni alla città. Ora sto davvero fantasticando ma si potrebbe mantenere l’uso a servizi pubblici, con funzioni modificabili da una semplice delibera consiliare, e lanciare una sorta di concorso di idee su cosa farne. Tornando alla realtà, sono felice di essere stata coinvolta in un prossimo sopralluogo, per capire lo stato delle cose. Spero di farmi un’idea migliore dopo quello.»

Il noioso mantra “Verona museo a cielo aperto” suona un po’ come una scusa per lasciare tutto com’è. Secondo lei esiste la possibilità di utilizzare lo stesso approccio olistico per pianificare anche in questo campo un coordinamento tra le forze, in opposizione alle singole iniziative sparpagliate?

«Della visione complessiva si occupa l’assessora alla Cultura, Marta Ugolini. La mia delega riguarda l’edilizia monumentale, che ho scelto perché ho pensato che avrei potuto dare una mano a valorizzare i tesori di Verona. Parlo dell’Arena, la Gran Guardia, Castelvecchio, ma anche delle mura e i bastioni. Un patrimonio che credo di poter aiutare a crescere, supportando l’edilizia monumentale e sollecitando interventi.

La vicesindaca Bissoli, a sinistra, con il sindaco Tommasi e la vicepresidente del Consiglio comunale Atsisogbe.

Mi piacerebbe fare cultura sui beni monumentali, come avvenuto in occasione del convegno sui teatri e anfiteatri romani, proposto in Gran Guardia dal soprintendente Vincenzo Tinè. Cultura è quello che vorrei fare sempre. Anche per il paesaggio, l’altra delega che ho tenuto.

Vorrei riuscire a farlo percepire come un altro, importante tesoro della città. Tra centro storico e colline, ovunque ci sono vincoli ma il vincolo non va vissuto come limite bensì come un’opportunità di tutela e valorizzazione del territorio. Quando siamo arrivati, abbiamo dato nuovo impulso alla direzione paesaggio, ora legata all’ambiente per coerenza di intenti, e partiremo presto con iniziative mirate.

Nel frattempo, ho dato incarico all’urbanistica di coordinarsi con l’ambiente per l’approvazione di un piano per i parchi cittadini, che sono costituiti ma non hanno ancora piena dignità: il parco dell’Adige e quello delle mura. Ci sono anche altre realtà di cui ho sentito parlare, tipo il parco delle Risorgive di Montorio, spero verranno portati avanti durante le assemblee partecipative.»

La sua scrivania – anche fuor di metafora – è bella piena: progetti, idee e iniziative che potrebbero davvero dare un volto nuovo alla nostra città. Vi “toccherà” vincere anche le prossime elezioni, per portare a termine una tale mole di lavoro… ma se, ora e qui, dovesse scegliere un solo progetto da poter vedere finito e operativo, quale sarebbe?

«Scelgo un progetto che non riguarda un’area di nostra proprietà ma a cui tengo tantissimo: Castel San Pietro e tutta l’area della cisterna restrostante. È un luogo magico per storia e architettura, il primo luogo di nascita della comunità veronese. Mi piacerebbe che diventasse una sede museale, in modo che ne possa fruire tutta la città. È molto più di un punto di osservazione straordinario per i turisti, racconta la storia della città, le stratificazioni che si sono susseguite. Se lassù si potesse trovare un museo da visitare, servizi adeguati, secondo me sarebbe bellissimo.»

Sui media si trovano alcune definizioni a lei rivolte dai detrattori, alcune anche simpatiche. Vogliamo cogliere questa occasione per rispondere a chi l’ha definita – e cito – non eletta, inesperta di politica, radical chic e in conflitto di interessi?

«Radical chic mi fa sorridere. Vengo da una famiglia molto umile, ho fatto tutta la mia strada camminando sui gomiti e ho raccolto molte competenze ed esperienze formative che potrò sfruttare in questo ruolo. Inesperta di politica e istituzioni alla ormai ex presidente dell’Ordine degli Avvocati mi pare un paradosso.

In conflitto di interessi so bene a cosa si riferisce. Ovviamente, da avvocata che lavora per vivere e vive in un mondo reale, ho assistito dei clienti nei loro rapporti con il Comune. Nel giro di pochi mesi ho chiuso tutti i rapporti professionali di qualunque tipo in materia di edilizia e urbanistica, come previsto dal testo unico degli enti locali.

Sul “non eletta”, beh è un commento arguto direi, cosa posso dire? Hanno ragione, io sono stata chiamata.» 

Fa sorridere che usi questo termine, quasi fosse un atto divino. E in effetti, in molte aziende, per una donna al comando servirebbe un miracolo. Le “quote rosa” spesso non danno un valore reale alle donne, le riducono per assurdo a una percentuale da raggiungere nel bilancio di sostenibilità. Esiste secondo lei un modo per convincere le aziende a stravolgere questo modo di pensare, ad accogliere la componente femminile senza timore?

«È difficile perché il modello maschile si perpetua da sempre e se non incontra, per sua voglia o esperienze vissute, la qualità femminile, semplicemente non la capisce. Bisognerebbe far notare ai capitani d’impresa che una società giusta dovrebbe riflettere la composizione stessa dell’umanità, che se manca lo sguardo femminile su una questione si perde molto.

Noi donne vediamo in modo diverso, possiamo apportare un pensiero che non c’è. Quando c’è lo sguardo femminile, c’è anche quello maschile perché in noi è radicato il desiderio di trovare convergenza invece di dividere. Il nostro desiderio ci spinge alla relazione verso l’altro e ci sentiamo realizzate nella relazione, mentre spesso il maschio pensa alla prevaricazione.

Se un uomo incontra il nostro tipo di pensiero, se lo comprende, poi lo mette in atto. E il sindaco è così, ha visto la forza dell’energia femminile all’opera e gli viene automatico girarsi verso di me e chiedere che cosa ne penso. Il sindaco è un uomo davvero speciale, si rende conto e apprezza che le cose funzionano meglio quando a una decisione partecipano uomini e donne.»

L’intervista termina in un modo piuttosto inusuale, a ruoli invertiti. Ci sentiamo chiedere, a bruciapelo, quale sarebbe il nostro sogno nel cassetto per Verona. Complice la frustrazione ancora fresca per le difficoltà a portare una persona in carrozzina dentro lo stadio Bentegodi, parliamo di barriere, di buon senso, di umanità. Torniamo sul PEBA per chiedere se non si potrebbe dedicare un terzo stralcio, dopo il necessario adeguamento dell’Arena a concerti e Olimpiadi, a piccoli interventi sul settore “speciale” dello stadio, per migliorare la vita di chi una vita facile non ce l’ha.

Lo sproloquio e le foto smuovono interesse e Bissoli, pur facendo notare che l’impianto è competenza del sindaco, sembra tentata di portare il pensiero femminile anche in terreno tipicamente maschile. Usciamo con la sensazione che ci sia una persona giusta al posto giusto, che la nostra città possa trarre vantaggio dalle sue competenze e dalla sua sensibilità.

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