In As Bestas una coppia francese di stampo borghese si trasferisce in un piccolo paese della Galizia per dedicarsi all’agricoltura e riqualificare la zona sistemando vecchie abitazioni abbandonate. La loro presenza però non viene accettata dagli abitanti autoctoni, soprattutto a causa di un inghippo economico che scatenerà un conflitto asfissiante.

Poche righe di sinossi per capire il tema del nuovo film di Rodrigo Sorogoyen: il “francescino” viene mal visto da quelli che “puzzano di merda”. Uno scontro tra classi? Tra culture? Anche, ma c’è di più. Al cineasta spagnolo, che con As Bestas ha dato la prova definitiva per ritagliarsi un posto nell’olimpo dei grandi autori contemporanei, interessa indagare la natura più intima dell’uomo, quella primordiale che ci permette di adattarci.

As Bestas ci ricorda che saremo sempre “raccoglitori e cacciatori”

D’altronde l’essere umano nasce come “raccoglitore e cacciatore” abile a vedere il pericolo, a capire sin da subito se un agente esterno è minaccioso oppure meno. Ce lo dice lo psicologo Daniel Kahneman nel suo saggio Pensieri lenti e veloci: siamo abituati a rispondere tramite il sistema 1 (primitivo), lasciando il sistema 2 (intelletto) spesso in letargo, perché più faticoso da usare.

La locandina del film diretto da Rodrigo Sorogoyen.

Sebbene quindi l’inizio del film faccia pensare di trovarsi in una nuova versione di Un tranquillo weekend di paura, con il passare dei minuti si delinea sempre più un quadro ricco di sfumature di una cromia nerissima. Lo scontro tra culture diventa scontro tra sistemi (il primitivo contro l’intelletto), che porta la coppia borghese a una impensabile cambiamento, verso il ritorno a uno stato primitivo. La telecamera – simbolo della modernità – che userà Antoine per riprendere e accusare i fratelli Xan e Lorenzo, si rivelerà infatti inutile.

Non è un caso che Sorogoyen inizi il suo film con la frase: “Per consentire loro di vivere in libertà, gli ailotadores immobilizzano le ‘bestas‘ (cavalli e giumente) con il loro corpo per rasarle e marchiarle”. Una sottomissione naturale, che nasconde però una catena dove ognuno è la bestia di qualcun altro e a vincere inevitabilmente sarà chi non si sporca le mani direttamente.

Una lezione di regia

Uno dei tanti punti di forza di As Bestas risiede proprio nel non voler tracciare un punto di vista unico, per dimostrare una sola tesi, indirizzando chi guarda verso un preciso scopo. Il controllo formale del film per Sorogoyen è perciò fondamentale, calibrato per affondare lentamente il coltello nella piaga nell’ansia dello spettatore, come nel miglior cinema di genere.

Lo stile di As Bestas non è una prova di forza primitiva atta a esplicitare la bravura tecnica di chi gira, un vezzo stilistico, ma un preciso sguardo sul mondo. Basta vedere la scena dove i due fratelli galiziani bloccano di notte la strada di ritorno verso casa della coppia francese: non c’è nessuna violenza, solo una elaborazione della tensione mediante il punto di vista dei protagonisti, ovvero il nostro di borghesi.

Il trailer di As Bestas. Da sinistra, Luis Zahera e Denis Ménochet hanno vinto entrambi per questo film il premio Goya come miglior attore non protagonista e protagonista.

Poi, una volta raggiunto l’apice della tensione, nell’ultima mezz’ora Sorogoyen cambia ritmo e genere avvicinandosi al dramma duro e perciò femminile. Non c’è più spazio per bestie che dominano bestie, ma per la Gaia terra, che non reprime cavalli ma accoglie con sé agnelli. 

Tra i film dell’anno.

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