Leggendo i commenti dei tifosi del Verona sui social, appare unanime la gioia per aver finalmente dato una raddrizzata a una stagione iniziata male. In un accesso di campanilismo davvero inaspettato, il presidente ha fatto suo il famoso detto, storpiato per l’appunto alla veronese, del “chi sa far, fassa; chi no sa far, fora dai ovi”.

Un nuovo Verona

La nuova gestione e sopra tutti l’affamato Sean Sogliano si fanno notare e laggente, quella brava, già parla di “miracolo”. Sono gli stessi che fino a poche settimane fa vedevano l’Hellas spacciato e spandevano letame. Che bello, hanno raggiunto il nirvana i masticatori di bestemmie e libri di grammatica.

Si parla addirittura di speranza. È un mondo semplice quello di chi si esalta e spegne a comando, con tanta leggerezza da copia incolla. È il mondo di chi guarda il treno passare brucando l’erba.

Gente di poca fede, o forse nessuna. Per chi, invece, lo striscione che occupa quasi tutta la ringhiera in tribuna Est ce l’ha tatuato nell’anima, il Verona si misura a cattiveria, a tackle e caparbietà. In come la squadra reagisce all’urlo che si alza potente nello stadio, nello sguardo dei giocatori verso la curva e anche in quell’applauso che la squadra ha dedicato ai supporter ancora prima della gara.

Più della somma delle sue parti

Ognuno a suo modo, con la propria intensità, ma una cosa vale per tutti i tifosi veri: si parla del Verona e non dei giocatori. In molti stadi “bravi e belli”, le formazioni vengono annunciate da uno speaker isterico che urla il nome di battesimo di un giocatore, seguito dal cognome urlato dal pubblico.

Kevin Lasagna quando giocava nell’Udinese.

Non a Verona. Qui conta la squadra e non si portano in gloria i singoli. Però capita che il tifoso mainstream – ben diverso da quello vero – si perda nel delirio social degli insulti gratuiti (anche se penalmente punibili).

Succede a Kevin Lasagna, l’attaccante che non piace, quello deriso e irriso come un Raducioiu qualunque. Di analisi sportive, tattiche e perfino sociologiche della questione se ne trovano ovunque. Tutti, dal giornalista nazionale alle tivù locali, dalla casalinga disperata al più preparato degli osservatori da divano, a ripetere che non è un attaccante vero, che inciampa nei suoi piedi, che non fa goal.

Anche le formiche, nel loro piccolo… fischiano

E sull’onda di tali incitamenti, ecco i fischi allo stadio, un’aberrazione che dovrebbe essere riservata solo a gente seduta, mai a chi corre sul campo.

Non si possono sentire fischi a un giocatore per il solo fatto di star seduto in panchina o perché smette il riscaldamento per entrare in campo. E poi ancora, ogni volta che tocca palla, per il solo fatto di esser lì. Non a Verona.

Noi, come sempre con le nostre analisi “uguali e contrarie”, vogliamo offrire una nuova lettura, una sponda difensiva a Lasagna, nella speranza che i fischi siano un episodio dimenticabile in fretta.

Vediamo allora, ironicamente, i cinque motivi per cui la storia di Kevin Lasagna si intreccia con quella del meraviglioso film Salvate il soldato Ryan, di Steven Spielberg.

Matt Damon, il soldato Ryan nel celebre film di Spielberg (1998)

Paracadutato oltre le linee nemiche

Come il coraggioso James del film, Lasagna viene sempre lanciato in posizioni molto diverse da quelle in cui si è espresso al meglio durante la sua carriera. È un giocatore di grande forza fisica, con uno scatto e una progressione che in pochi possono vantare. A Udine aveva accanto Stefano Okaka Chuka e qualche discreto goal in due l’hanno fatto, tanto da meritare a entrambi diverse convocazioni in nazionale.

A Verona viene piazzato dove capita. A un giocatore nato per sfruttare gli spazi o aprirne per un altro “attaccante da goal”, in assenza di quest’ultima, costosa, figurina dell’album veronese, viene invece chiesto di fare la prima punta, l’ala o perfino il trequartista. Roba non sua, diciamolo. Come chiedere a un ingegnere di fare un castello di sabbia.

Il soldato Ryan non molla la battaglia

Pur in territorio nemico, il paracadutista del film non abbandona i compagni, tanto meno si arrende. Allo stesso modo, il Kevin nostrano mostra la sua testardaggine su ogni pallone sparacchiato nella sua direzione, fa a gomitate con i difensori, prende qualche fallo intelligente e molti altri non glieli fischiano.

Gli manca la lucidità e la finalizzazione, così come gli manca un giocatore di potenza accanto a cui passare l’incombenza dell’ultimo tiro. Ma il lavoro “sporco”, quello dei blocchi e delle tacchettate, è tutto suo. E lo fa benissimo.

Il soldato Ryan non lascia soli i compagni

Lasagna in azione – foto dal profilo Facebook dell’Hellas Verona FC

A recuperare James Ryan, ultimo figlio ancora vivo in una guerra dove gli altri tre sono stati uccisi, viene inviato un plotone di ricerca e potrebbe tornarsene in patria. Non lo fa, vuole dare il suo contributo a una guerra di libertà.

Esattamente come il soldato Lasagna, che troverebbe un posto onorevole in numerose squadre ma invece vuole restare qui, a lottare per un obiettivo impossibile. Fino all’ultimo respiro. Come un tifoso di quelli che, comprendendo la semplicità di questo approccio, non lo fischia mai.

Lo sa anche la squadra, che gli si è stretta attorno in un abbraccio finale, conscia che giocare in un clima ostile ti taglia le gambe più del freddo.

Titoli di coda

Nel film un ormai anziano reduce si reca al cimitero e memoriale dell’esercito americano in Normandia, a visitare la tomba di chi l’ha a suo tempo salvato. Si chiede se la sua vita sia stata vissuta con onore, se si sia davvero meritato quel salvataggio e il sacrificio di altri uomini. Non lo sappiamo se il soldato Ryan si assolva, alla fine.

Siamo però certi che Kevin Lasagna meriti rispetto. Per il suo lavoro sul campo e fuori, per l’impegno che gli permette di andare avanti nonostante le critiche a pioggia, per il suo carattere semplice di uomo squadra, senza protagonismi tossici. Un lato sempre apprezzato dai suoi allenatori e compagni.

E gli auguriamo di trovarsi, metaforicamente, a sorridere un giorno di fronte a una lunga fila di croci bianche allineate contro l’orizzonte. Quelle di tutti i detrattori, dei capipopolo votati alla denigrazione, di chi semplicemente gode nel demolire un ragazzo di trent’anni per il solo gusto di sentirsi intelligente, in un mondo di poveri pecoroni quanto lui.

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