Come d’incanto, all’improvviso, “così, de botto, senza senso” come direbbero nella celebre serie tv “Boris”, torna a Verona l’Omino, la creatura partorita dalla mente di Gianluca De Santi che racconta a suo modo il nostro mondo. Un modo poetico, che impone di riflettere sulla realtà della nostra società nelle sue innumerevoli sfaccettature.

L’occasione è di quelle interessanti: alla Locanda “Lo Speziale” di via XX Settembre, dal 17 febbraio al 12 marzo, sarà infatti esposta una selezione delle opere artistiche del fotografo e grafico, che dopo una serie di mostre fotografiche di successo torna così a riproporre a Verona il suo “alter ego” in formato fumetto.

L’artista nasce a Milano nel 1976, risiede e lavora a Verona dove si diploma al Liceo Artistico Statale di Verona nel 1996. Dal 1994 indirizza il proprio interesse verso il fumetto e le illustrazioni, comincia la propria ricerca personale attraverso illustrazioni autobiografiche, crea così dei piccoli racconti dell’Omino, che per diversi anni decide di non esporre fino alla prima mostra personale del 2011 che include lavori dal 1996. Nel 1997 si specializza in grafica pubblicitaria presso l’Istituto di Formazione Professionale della Regione Veneto, nel quale approfondisce le tecniche illustrative e si avvicina alla fotografia. Dal 2011 al 2018 le sue esperienze artistiche lo hanno portato ad esporre le sue opere in diversi luoghi con continuità. Lo abbiamo avvicinato per farci raccontare meglio, da lui, cosa ci dobbiamo aspettare in questa nuova “personale”.

De Santi, innanzitutto ci può raccontare come nasce l’idea dell’Omino?

La locandina dell’evento

«Inizio con il dire che questo Omino non avrei mai pensato di mostrarlo a nessuno, dato che tutto quello che rappresenta nasce da esperienze molto personali. E in effetti molto tempo è passato da quando ho cominciato a disegnarlo fino a quando ho fatto la prima mostra personale. L’idea inizialmente era quello di scrivere un piccolo libretto di storie ambientate nella mia infanzia, da illustrare in maniera molto semplice, simile al “Piccolo Principe” di Antonie de Saint-Exupéry per intenderci.

Serviva quindi un personaggio che in qualche modo mi rappresentasse. All’epoca leggevo fumetti e mi ero avvicinato molto alla visione grafica ed onirica dei dipinti di Picasso, Modigliani, Dalì, Chagall e delle atmosfere metafisiche di De Chirico. La conseguenza di tutte queste contaminazioni ha portato alla creazione di questo Omino con gli occhi molto grandi, a volte rappresentati come dei buchi, altre volte luminosi. Devo dire che scrivere non mi veniva granché bene, quindi ho continuato a disegnare come se stessi scrivendo.»

Sostanzialmente che significato ha?

«Ho “usato” l’Omino negli anni per raccontare “le mie visioni” del mondo che mi circondava. Nasce da esperienze personali e per questo, nella maggior parte dei casi, rappresenta momenti di crescita e di evoluzione come individuo. Col tempo ho capito che si prestava anche a raccontare il mondo che viviamo un po’ tutti e quindi ci si può in effetti immedesimare. Da subito l’Omino ha vicino a sé un elemento fisso: il palloncino. Da bambini guardiamo a questi oggetti colorati e leggeri come qualcosa di magico, che possa farci volare, e quindi per me i palloncini hanno sempre rappresentato i nostri sogni e desideri i più nascosti.»

Come si è evoluto il suo personaggio nel corso del tempo?

«Dalla prima mostra, che essenzialmente era una raccolta di opere mai esposte, a quelle successive, ho trovato interessante e stimolante trovare un “tema”, per scavare nell’inconscio delle persone e riflettere su ciò che ci colpisce e un pochino ci fa sognare ancora. Al palloncino si sono aggiunti nel tempo “la scatola aperta”, che vuole rappresentare la sorpresa o ciò che ci può sorprendere nella vita; “il missile”, inteso come mezzo di trasporto “alternativo” che l’Omino usa qualche volta per raggiungere il palloncino che vola – un paradosso per indicare che i mezzi che usiamo per realizzare i nostri sogni possono non essere sempre quelli che riteniamo i più giusti. Poi c’è “l’innaffiatoio con l’occhio onnisciente” che vuole rappresentare un contenitore di pensieri positivi che dovrebbero donarci la saggezza. Dal punto di vista squisitamente artistico, l’Omino ha avuto nel tempo un’evoluzione grafica e pittorica. Molti degli aspetti che ora lo caratterizzano si possono ricondurre alla PopArt degli anni di Keith Haring, a cui certamente mi sento vicino per il modo diretto con cui riesce comunicare. Negli anni certamente la sua evoluzione ha visto non solo il cambiamento nello stile di alcune opere, ma soprattutto nei temi. Da molto personali a visioni più universali. Ho cominciato a dipingere anche oggetti come scarpe, strumenti musicali e tavole da skate.»

Cosa vuole comunicare con questa nuova mostra?

«Ora sto cercando, soprattutto dopo l’esperienza del lockdown, di portare il mio punto di vista sul periodo più difficile che tutto il mondo ha attraversato. Parto ovviamente dalla mia esperienza condivisa insieme alla mia compagna, per raccontare cosa è stata per me questa esperienza: ovvero una grande riflessione su ciò che è importante davvero, quali sono le cose essenziali che ci rendono felici e ci fanno stare bene, sia fisicamente che mentalmente. Ovviamente nel lockdown non è mancato il tempo per dipingere, attività che man mano passavano i giorni ha rappresentato per me quel “nutrimento” che mi ha aiutato ad affrontare quel periodo.

Quindi il nuovo progetto parla proprio di questo, promuovendo una riflessione sul “Nutrimento” e su quello che la nostra società attuale ci propone condizionando il nostro modo di vivere. Di come ci stiamo abituando a comportamenti dannosi, di come si sono sostituiti i valori di salute e bellezza nel tempo. In questo progetto faccio sia una critica alla società, ma provo anche a portare esempi di comportamenti virtuosi ed etici.»

Gianluca De Santi

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