Marco Bellocchio, alla bella età di 80 anni, a Cannes 2021 ha ottenuto la Palma d’Oro d’Onore 2021. Nell’occasione ha presentato un film documentario che solo un “guerriero del cinema” come lui poteva presentare.

Il film è Marx può aspettare, ovvero la storia dolente del fratello Camillo, che sul finire del 1968 si è tolto la vita. E’ la storia di una famiglia di “vincenti” e forti a livello intellettuale e culturale, costretti a fare i conti con un dramma che sconvolge anche i titani.

Il cinema di Marco Bellocchio si è sempre misurato con i temi proibiti, quelli che fingiamo di nascondere sotto il tappeto. Il regista piacentino ha infatti esordito con il film I pugni in tasca. Era l’anno 1965. Siamo nel pieno del boom economico, eppure le inquietudini, che poi esploderanno nel Sessantotto, già sono bene evidenti a chi sa leggere la società.

Il film I pugni in tasca anticipa temi e situazioni con cui fatichiamo ancora oggi a misurarci. C’è il tema di una malattia che mette alle corde, come l’epilessia. C’è il tema della violenza all’interno della famiglia, argomento tabù, con l’uccisione di una madre. E c’è il tema di un conflitto interiore e relazionale che sembra sempre sul punto di esplodere, sino a diventare distruttore.

La pellicola in bianco e nero, a tratti livida nelle immagini, rende icastica l’inquietudine di una piccola comunità – come la famiglia – all’interno del contesto dei “favolosi anni sessanta”. Proprio questo andare contro corrente di Marco Bellocchio, sin dal suo primo film, rende chiara la sua scelta narrativa.

Il regista piacentino, oggi 80enne, a Cannes 2021 ha presentato il documentario Marx può aspettare, storia del fratello gemello Camillo, che si è ucciso a 29 anni. Come ha osservato, con un filo di autoironia, lo stesso Bellocchio “se questo che avete visto vi ha emozionato, vuol dire che c’è qualcosa che esce dalla casa Bellocchio e arriva a tutti”.

Marco Bellocchio e “Sbatti il mostro in prima pagina”

L’inquietudine del 1965, con I pugni in tasca si ritrova, elaborata e lucida in Marx può aspettare. Voglio far notare come la stessa inquietudine passi, oltre che in tutte le pellicole di Bellocchio, in un film ancor oggi di grande significato: Sbatti il mostro in prima pagina, dell’anno 1972.

La criminalizzazione del “diverso”, le verità confezionate a uso e consumo di una pubblica opinione considerata stupida, gli interessi dei “poteri forti” dietro le notizie dei media sono rappresentate – nel film di Bellocchio – in un modo che li rende sempre presenti. Il regista Bellocchio, insomma, ci ammonisce sul rischio di diventare “personaggi” – come direbbe la criminologa Laura Baccaro – funzionali a un qualche interesse.

La “costruzione del mostro”, nelle vicende giudiziarie, è pratica quanto mai usuale. Siamo di fronte, sembra dirci Bellocchio con il suo cinema, alla rappresentazione di chi vuole rimanere alla superficie dell’esistenza.

Il film Sbatti il mostro in prima pagina va invece a fondo. Scava nelle scelte politiche di chi vuole orientare la pubblica opinione. Ci mostra come sia facile costruire la figura del Mostro, avallando la verità ufficiale. E ci ammonisce sugli inganni di un giornalismo, minore nell’etica ma gigante nell’esercizio della forza, che mostra la superficie della realtà.

Il cinema di Bellocchio e la visione dissidente sulla realtà

I pugni in tasca, Sbatti il mostro in prima pagina e Marx può aspettare hanno in comune una visione dissidente sulla realtà ufficiale. Marco Bellocchio, meritando così la Palma d’Oro d’Onore a Cannes 2021, ci sprona a “guardare dietro alla faccia abusata delle cose”, come direbbe il Guccini della canzone Scirocco.

Il “guardare oltre il velo dell’apparenza” in Marco Bellocchio vuole essere, prima ancora che denuncia sociale, un amore per il valore sostanziale delle persone; e per quel rispetto della verità sostanziale dei fatti che ci avvicina, in qualche modo, al divino.

(Photo di copertina Getty Images)