“In principio fu il Verbo”: l’incipit del Vangelo secondo Giovanni potrebbe calzare a pennello anche per lo spettacolo che Natalino Balasso ha portato nei giorni scorsi al Teatro Nuovo – Teatro Stabile di Verona. Una tre giorni che ha decretato, come spesso avviene quando l’attore rodigino sbarca a Verona, il tutto esaurito, con oltre 2800 presenze nelle tre serate di replica. Un successo straordinario, peraltro ampiamente prevedibile e meritato.

Un monologo, il suo, quasi del tutto incentrato sull’utilizzo delle parole nel nostro quotidiano e dei loro molteplici significati. Parole che possono essere pronunciate con eleganza o meno (“difficile dire con eleganza Boara”, scherza, parlando di un paesino in provincia di Ferrara) e soprattutto parole che possono essere intese in un senso o nell’altro, a seconda di chi le enuncia e di chi le ascolta. Parole che rientrano, alla fine, nel personalissimo dizionario di Balasso, che in base alla propria esperienza racconta cosa gli ricorda questa o quella parola, scelta a caso sul grande libro di appunti presente sul palco, l’unico oggetto di scena dello spettacolo.

Un mattatore come pochi

L’attore di Porto Tolle è un vero e proprio mattatore. Il suo potrebbe essere definito a tutti gli effetti un “one man show” se non fossimo certi che lui odia con tutto se stesso questo tipo di espressioni. Ma d’altronde l’appassionato pubblico è lì tutto per lui: per poter sentire le sue battute, i suoi ricordi, anche (e soprattutto) le sue polemiche. Lui sul palco gigioneggia, improvvisa, dialoga con chi è seduto in platea, si lascia andare con la memoria ad esperienze personali. Scherza di tanto in tanto anche con Roberto, il suo tecnico, che coinvolge nel corso delle sue elucubrazioni mentali.

All’inizio della serata fa la premessa della premessa della premessa durante le quali promette continuamente di iniziare a breve quello che lui considera il vero spettacolo, che sembra in realtà voler procrastinare, ma ovviamente il vero spettacolo è già iniziato da un pezzo. Si dilunga ben oltre le due ore con una generosità davvero rara nel mondo teatrale, almeno a questi livelli. Si percepisce, d’altronde, il suo divertimento personale e anche grazie a questo il pubblico, che lo segue nei suoi ragionamenti a volte arzigogolati ma sempre brillanti e seducenti, non vorrebbe mai lasciarlo andare.

Un abbraccio reciproco, insomma. Balasso si affida spesso al suo pubblico. Ha il suo canovaccio, certo, con la serie di parole di cui vuole assolutamente parlare (con concetti importanti come “ragione”, “compassione”, ma non solo), ma di tanto in tanto chiede il cosiddetto “aiuto dal pubblico” appunto, che vuole coinvolgere e portare a sé, attraverso l’interiorizzazione e l’esplosione delle parole suggerite. Come quando una signora propone “calunnia” e lui, dopo averci pensato un attimo (ma proprio un attimo) si lancia andare al racconto spassosissimo della sua querelle con il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che tempo fa lo aveva denunciato per aver condiviso sui social un post di un altro utente che ne criticava l’operato evidentemente con modalità non apprezzate dal politico.

Uno spettacolo incorrect

Ma le frecciate nei confronti dei leghisti (presentati come “quelli che ragionano”, ma inseriti nell’elenco delle cose impossibili da incontrare nella vita) si sprecano e la maggior parte del pubblico ride a crepapelle. La politica, d’altronde, non può che entrare in una performance di questo tipo, perché politica, nel senso più nobile del termine, è sempre stata l’azione di Balasso, fin dai suoi esordi, sempre a difesa degli ultimi nella loro impari lotta contro il potere. E quindi uno spettacolo di questo tipo non può certo essere politically correct. Sarebbe, perdonate il gioco di parole, una vera e propria scorrettezza nei confronti del pubblico pagante.

Lo show visto nei giorni scorsi a Verona ci ricorda ancora una volta come Balasso sia uno degli eredi più credibili del grande Dario Fo, giullare sempre pronto a colpire – linguisticamente parlando – chi detiene il potere. Il suo è una sorta di spettacolo “in fieri”, che si costruisce di volta in volta in base al pubblico presente in sala, in base ai ricordi del momento, utilizzando se vogliamo anche sketch già visti in passato in altri spettacoli, ma seguendo sempre un filo logico che però tanto logico può anche non apparire ai più. Ma che vuol evidenziare, in definitiva, come si può ridere con garbo e semplicità di tutto, in primis di noi stessi e delle parole che quotidianamente usiamo nella nostra vita, pregna di inglesismi e concetti che a volte noi stessi fatichiamo a capire, ma di cui non esitiamo a riempirci la bocca.

I professionisti della parola

I venti minuti finali, poi, sono tutti dedicati al mondo del giornalismo. Basta prendere alcuni titoli di giornale, anche di prestigiose testate nazionali, per renderci conto come la sintesi giornalistica spesso produca dei “mostri”. Mostri che di per sé potrebbero risultare innocui se non fosse che è solo attraverso la parola che conosciamo che il nostro cervello arriva a produrre un ragionamento degno di questo nome. E attraverso il ragionamento arriviamo ad essere le persone che siamo. «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!» sosteneva tanto tempo fa Nanni Moretti in Palombella Rossa. Un invito, ai professionisti della parola, a usarla bene. Decisamente meglio di quanto non facciano in molti frangenti.

Uscendo da teatro si ha la sensazione di essersi imbattuti, in formato teatrale, in una sorta di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino: storie, su storie, su storie, che si accavallano, si intrecciano, si mescolano fra loro. Perché ogni ricordo di Balasso ne sblocca in realtà un altro, e un altro ancora, e così avanti, all’infinito. È effettivamente uno spettacolo che si potrebbe definire “senza capo né coda”, ma in questo caso in senso totalmente positivo, perché l’attore, scrittore, regista rodigino può replicarlo davvero all’infinito senza fare due spettacoli fra loro uguali. Resta il fatto che l’invito di Balasso non è certamente rimasto nell’aria, ma ognuno degli spettatori si è portato a casa un piccolo pensiero. 

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