Si terrà dal 2 al 3 dicembre il Festival della Geografia di Bardolino (con Heraldo media partner) che quest’anno celebra la sua decima edizione. Il convegno, ospitato in Sala della Disciplina e aperto al pubblico dal titolo “Pandemia, guerra, siccità e migrazioni. Come cambia la demografia in Europa e in Italia. Il caso Veneto”, è ideato e condotto dal giornalista e scrittore Paolo Gila.

Gila, innanzitutto da dove nasce l’esigenza di un Festival dedicato alla Geografia?

«Dunque, il Festival Della Geografia è nato una dozzina d’anni fa, nel 2010, quando l’allora Governo aveva tolto la Geografia come disciplina dalle scuole. Questo aveva generato non solo perplessità ma anche malumore all’interno del corpo docenti e tra gli uomini di cultura che, invece, considerano basilare la conoscenza geografica, che non a caso sta tornando prepotentemente alla ribalta con tutti i fatti internazionali che oggi fanno parte della cronaca quotidiana. Pensiamo proprio alla guerra in Ucraina, pensiamo alle tensioni in Asia, alle rivolte in paesi come l’Iran; pensiamo anche ai problemi demografici con i flussi immigratori dall’Asia. Quindi, il Festival della Geografia ha una sua ragion d’essere perché la geografia, che apparentemente era stata messa in un angolo come materia non più necessaria, risulta essere invece la base di tante altre.»

Paolo Gila durante l’edizione del 2018

Perché Bardolino?

«Perché Bardolino è stato il Comune che ha accolto e promosso questa idea per le sue caratteristiche di territorio e di paesaggio; noi non dobbiamo dimenticare che all’interno della Costituzione c’è un articolo che riafferma la difesa del paesaggio, che deve essere valorizzato. Bardolino ha deciso di piantare questa bandiera perché è al centro di un parco naturale e paesaggistico che deve essere salvaguardato; quindi, c’è stata l’unione di due culture, una di tipo specialistico-disciplinare e l’altra invece di carattere territoriale. Non è un caso che la prima edizione del Festival nel 2010 è stata fatta presentando le carte geografiche storiche dall’antichità ai nostri giorni con una valorizzazione del paesaggio del lago di Bardolino e del retroterra storico-culturale. Oggi più che mai la cultura geografica è importante per mettere in evidenza il mondo in cui stiamo vivendo.»

Questo ha comportato un’evoluzione della manifestazione?

«Il Festival oggi si declina in giornate della geografia, proprio per essere più legati ai fatti di cronaca. Mentre prima il Festival era un’unica edizione annuale – che svolgeva un grande tema e lo declinava in alcuni giorni – adesso si avvia un processo nuovo, un nuovo progetto che distribuisce la cultura geografica all’interno dell’anno grazie a questi incontri.»

La demografia è un tema spinoso, considerando l’allarme demografico per Verona, il Veneto e l’Italia mentre il mondo il 15 novembre ha toccato gli 8 miliardi di persone. Quali sono le sfide per un Occidente senescente e in arretramento e sud del mondo prolifico? È davvero un tema concreto il rischio di una sostituzione etnica?

«Questi sono proprio i temi che verranno dibattuti all’interno di questa giornata.
Letizia Mencarini, demografa, risponde proprio alla domanda: siamo in una trappola demografica, la natalità è bassa e la curva della crescita tende ad appiattirsi a fronte di una componente demografica di età più alta sempre più consistente. A che cosa andiamo incontro, visto che non c’è un tasso di sostituzione evidentemente positivo? Siamo destinati a ridurci numericamente, le ultime stime che sono state pubblicate dal dall’ONU mostrano che a livello di pianeta abbiamo superato gli 8 miliardi mentre, di contro, in Occidente e in Italia stiamo andando incontro a una potenziale decrescita demografica. Come impedirlo? Dando la possibilità alle famiglie italiane di avere più figli ma anche agli italiani di restare in Italia perché molti giovani italiani – sono circa 50.000 persone che ogni anno se ne vanno da questo paese per andare in altri paesi – decidono di emigrare per cogliere nuove opportunità lavorative.

Gloria Albertini del CESTIM – Centro Studi Immigrazione che ha sede a Verona – presenterà i dati a livello nazionale, a livello Veneto e del veronese per vedere e capire qual è la componente demografica più significativa nella nostra regione e qual è anche la più prolifica; non anticipo nulla, ma qualche elemento di curiosità c’è. Se la popolazione anziana nel corso degli anni tenderà dal punto di vista demografico ad essere più presente, si imporranno delle riflessioni.

Una, per esempio, a livello politico: gli elettori di domani avranno un’età più alta quindi è molto probabile che, dal punto di vista del marketing politico, ci siano delle offerte culturali, di valori e di ideali diversi da quelli che abbiamo oggi proprio perché la componente più anziana sarà più decisiva nella scelta dei politici: questo è il tema trattato da Diego Martone che è il fondatore di DEMIA, società di Trieste che si occupa anche e soprattutto di questo, cioè del rapporto conflitto/alleanza tra generazioni.

Un’altra a livello urbanistico. Le esigenze abitative, con l’invecchiamento della popolazione e con esigenze abitative diverse da quelle a cui siamo stati abituati nel corso nei decenni precedenti, cambieranno. Questo fenomeno è già ben attivo, come a Verona, Milano e Venezia dove il centro si sta disabitando, nel senso che le famiglie vanno via dai centri storici, si ristrutturano le case per darle ad affitti turistici col risultato che la città non è più vissuta dai residenti ma dai turisti come palcoscenico turistico/culturale. Ad esempio, Emanuela Notari sarà in grado di presentare e comparare tra loro diversi modelli, perché in Francia, in Germania questo modello urbanistico è già perseguito con cittadelle all’interno delle città dove gli anziani vivono in residenze che sono vere e proprie abitazioni, dove però sono previsti – diversamente dai nostri spazi condominiali – alcuni spazi in comune (come una sala lettura, la sala televisione e una sala svago).

Con Carlo Altomonte (ISPI) avremo delle indicazioni su quanto l’Europa stia facendo in termini politici e normativi per affrontare questi problemi perché, non dobbiamo dimenticarlo, noi come Italia siamo all’interno di un contesto europeo. Infine, Giuliano noci, prorettore del Politecnico di Milano all’università di Shanghai, ovvero rappresentante del Politecnico in Cina, ci permetterà di comprendere come il Paese demograficamente più popolato oggi – e che non lo sarà più tra qualche decennio, superato dall’India – ha anch’esso un bel problema demografico. Di fatto, un problema che pensiamo tutto italiano come quello delle pensioni in Cina va moltiplicato per 20 volte…»

L’Italia, Veneto compreso, ha tenuto bassi i salari e i costi di produzione anche grazie a un alto tasso di disoccupazione giovanile. Venendo meno questo presupposto, come può il Veneto mantenersi motore economico del nostro paese?

Paolo Gila

«Le politiche europee sono state negli ultimi anni influenzate molto dalla direzione tedesca; con un rapporto di cambio a suo favore ha condizionato le attività industriali a livello europeo. Non essendoci più la possibilità di modificare il rapporto di cambio della lira, noi abbiamo spostato la nostra chiave per essere competitivi sulla compressione dei salari, col risultato che i giovani si sono trovati di fronte a lavori meno pagati e tutelati. Le aziende hanno scelto di investire sull’innovazione tecnologica e sull’internazionalizzazione e si sono affermate soprattutto quelle realtà che hanno cominciato a sviluppare i loro rapporti con l’estero, in particolare anche verso l’Europa dell’est.

Le relazioni e l’apertura all’Europa e oltre sono la chiave per la sopravvivenza del Veneto, che può giocarsela in settori come il tessile, il manifatturiero, l’agroalimentare (come il vino) e le materie prime come il marmo. Non a caso, l’esperienza della Serenissima Venezia insegna a questo territorio a non chiudersi in sé stesso ma ad aprirsi al mondo. Certo, pesa lo strascico della situazione pandemica e l’incertezza legata alla guerra, ma noto anche che molte aziende hanno aumentato il proprio fatturato rilanciando gli investimenti; non c’è mai una guerra che sia così lunga che poi non abbia una fine.»

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