Farebbe quasi sorridere, se non ci fossero di mezzo le vite di migliaia di persone, la tardiva (tardivissima) levata di scudi contro i Mondiali del Qatar che stanno per iniziare. Meglio tardi che mai, si dirà giustamente, e non saremo certo noi a opporci alla denuncia e i tentativi di boicottare la kermesse pallonara che, per la prima volta nella sua storia, si svolgerà in Medio Oriente.

Di certo c’è, riannodando i fili della vicenda, che già al momento dell’assegnazione del torneo ai “principi del petrolio” nel lontano 2010, come già sottolineato da Matteo Dani su queste colonne, c’era da rimanere a dir poco “perplessi”. E non solo per la totale mancanza di tradizione calcistica che il Paese arabo può vantare. E nemmeno per il fatto che non avendo un campionato degno di questo nome gli avveniristici stadi che sono stati costruiti per ospitare le partite della manifestazione non verranno, probabilmente, mai più utilizzati, se non per qualche sporadica partita della Coppa d’Asia da parte della nazionale di casa. Rimarranno vere e proprie cattedrali nel deserto, come si suol dire. E in questo caso il deserto non sarà solo parte del modo di dire.

Peraltro, in questo senso, ci sono già dei tristi precedenti sul tema… ricordate ad esempio lo stadio di Manaus, costruito in Brasile in occasione del Mondiale del 2014 in piena foresta amazzonica, in un luogo dove non c’era e ancora non c’è nemmeno una squadra di calcio di club che lo può utilizzare regolarmente? Ettari di foresta disboscata, cementificazione e tutto il cucuzzaro per far giocare quattro partite di un torneo, per quanto importante come la Coppa del Mondo. In Qatar questa può essere tranquillamente annoverata alla voce “spreco” che è pur sempre un crimine contro la povertà e l’ambiente, anche se i soldi – almeno quelli, agli emiri, di certo non mancano per potersi permettere ogni tipo di scempio.

Immigranti? Sì grazie

La verità più grande e dolorosa è che il Qatar, dopo aver ottenuto la più importante manifestazione calcistica e una delle più importanti manifestazioni sportive del globo, ha organizzato il tutto sulla pelle, letteralmente, di poveri migranti. E non stiamo parlando di poche unità. Pagati poco o in qualche caso pochissimo, migliaia e migliaia di lavoratori provenienti per la maggior parte da India e Pakistan si sono recati nell’ultimo decennio nelle terre qatariote alla ricerca di lavoro e sostentamento per sé e le proprie famiglie. Sono stati impiegati nella maggior parte per fornire la manodopera e contribuire alla costruzione delle strutture (stadi, strade, alberghi, campi di allenamento e quant’altro) che serviranno – a partire da domenica 20 novembre quando si svolgerà la cerimonia inaugurale e la prima partita del torneo, Qatar-Ecuador a Doha – per ospitare atleti, staff tecnici, dirigenti e, ovviamente, tifosi.

Se poi questi ultimi si recheranno in massa nel piccolo stato arabo è tutto ancora da dimostrare. Un Mondiale che si svolge in pieno autunno-inverno e non come di consueto nel periodo estivo in una zona come il Qatar può attirare sicuramente molte persone, ma non così tante come se fosse stato organizzato in un altro periodo e in un’altra nazione. E comunque sono in molti a non vedere di buon occhio la manifestazione, a causa di una consapevolezza generale che è andata via via aumentando, soprattutto sulle terribili condizioni lavorative e – non certo secondario – sulla quasi totale mancanza di diritti civili. A cominciare dalla condizione generale delle donne per arrivare alla situazione di estrema difficoltà che vivono le comunità LGBTQ+.

I diritti rovesciati

In particolare le donne continuano a subire discriminazioni per legge o nella prassi. Il sistema del tutore maschile (di solito il marito, il padre, un fratello, un nonno o uno zio) prevede che le donne in Qatar debbano chiedere il permesso per sposarsi, studiare all’estero, lavorare nell’amministrazione pubblica, viaggiare all’estero se hanno meno di 25 anni e accedere ai servizi di salute riproduttiva. Il diritto di famiglia rende molto complicato il divorzio che, nei pochi casi in cui viene ottenuto, produce ulteriori discriminazioni di natura economica. Le donne, infine, non sono protette adeguatamente dalla violenza domestica e sessuale.

Ancora peggiore, se mai così si può definire, è la situazione delle comunità “arcobaleno”. Il codice penale locale criminalizza vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere, ad esempio, per chi “guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione”. In particolare si criminalizza chiunque “induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali”.

Nell’ottobre 2022 le organizzazioni per i diritti umani hanno segnalato casi in cui le forze di sicurezza hanno arrestato persone appartenenti alle comunità LGBTQ+ in luoghi pubblici, solo sulla base della loro espressione di genere, controllando i contenuti dei loro telefoni. Le transgender arrestate in alcuni casi sono state obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la loro scarcerazione.

La sabbia del deserto

Nell’ultimo decennio, oltre 6.500 (secondo le stime ufficiali, ma è probabile che la cifra reale sia purtroppo di molto superiore) giovani migranti sono morti a causa delle terribili condizioni lavorative, come le alte temperature, e di scarsa sicurezza durante la costruzione delle infrastrutture in Qatar, nonostante avessero di norma superato gli esami medici obbligatori prima di poter entrare all’interno del Paese. Sulla vicenda, nonostante i numeri impressionanti, è stata calata una cortina di silenzio. Le autorità del Qatar, infatti, non hanno finora mai voluto indagare su quei decessi in modo da consentire di determinarne le reali cause sottostanti, precludendo qualsiasi collegamento con le condizioni lavorative a cui sono state costrette le vittime. Di conseguenza, alle famiglie dei lavoratori in lutto è stata negata la possibilità di ricevere qualsiasi tipo risarcimento dal datore di lavoro o dalle stesse autorità del Qatar. Un insabbiamento in piena regola, insomma. E trattandosi di deserto…

Uno degli stadi costruiti in occasione di Qatar ’22

A questa situazione contribuisce il fatto che, per legge, i lavoratori migranti non possono formare sindacati né aderirvi. Possono far al massimo parte dei cosiddetti “comitati congiunti”, organismi diretti dai datori di lavoro nei quali è consentita una rappresentanza dei lavoratori, ma questi comitati non sono comunque imposti per legge e oggi ne fa parte – vuoi per paura, vuoi per la consapevolezza della loro inutilità – solo il 2% della forza lavoro. Una cifra ridicola, che ovviamente rende del tutto innocue queste organizzazioni. Inoltre i lavoratori migranti rischiano pesanti ripercussioni quando intendono esercitare il diritto alla libertà di manifestazione.

Ad agosto, ad esempio, centinaia di lavoratori migranti sono stati arrestati ed espulsi dal Paese solo per aver partecipato a un corteo nella capitale Doha contro l’azienda che non aveva versato loro i salari.

I “mondiali della vergogna 2 – la vendetta”

I preparativi del Qatar per organizzare nel corso degli ultimi anni il torneo hanno di fatto ridisegnato il Paese, ma hanno anche acceso i riflettori sulle condizioni di vita di gran parte della popolazione qatariota e sul sistema che sfrutta il lavoro e la disperazione di migliaia di persone. La forza lavoro è così grande e giunta in Qatar da così tanti luoghi che i suoi numeri sembrano impossibili da racchiudere in qualche dato statistico. Di fatto, però, rimane l’impressione che si tratti di gente senza volto, anonima, quasi senza nome, come se non contasse per buona parte degli appassionati di calcio. A tal punto che, fino ad oggi, nessuno è stato in grado di concordare quante persone siano morte per portare la Coppa del Mondo al traguardo.

Videla (a destra) consegna la Coppa del Mondo alla squadra argentina

Una Coppa del Mondo che, senza tema di smentita, rinverdisce i fasti di Argentina ’78. In quel caso, a distanza di tempo, si parlò di “Mondiali della vergogna”. Lì c’era la dittatura di Videla a farla da padrone e il caso eclatante e drammatico dei tanti “desaparecidos” poi diventati protagonisti di film e canzoni celebri. La squadra albiceleste, padrona di casa, in quell’occasione completò l’opera portandosi a casa il trofeo. Chi sarà, questa volta, a sporcare la propria “stanza delle coppe”?

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