Chiariamo immediatamente un concetto di base, semplice e definitivo. Una cattiva idea con un lieto fine rimane comunque una cattiva idea.

Troppo astratto? Proviamo con un esempio. Prendiamo un giovane innamorato in disperato ritardo per l’appuntamento con la sua dolce fidanzata, e mettiamo che il ragazzo decida di prendere una scorciatoia buia, stretta e in contromano, rischiando seriamente la pellaccia. Poniamo che, per fortuna sua, la scorciatoia gli consenta di arrivare puntuale evitandogli le ire della giovane innamorata e consentendogli così di centrare l’obiettivo stagionale. Potremmo forse consigliare al giovanotto di adottare la stessa tecnica all’appuntamento successivo? Magari partendo ancora più tardi? No eh? Eppure ha funzionato.

Veniamo al Verona. Tutti ci auguriamo che questa nuova infornata di scommesse piazzate dal magnifico Sean Sogliano trasformino l’Hellas nella sorpresa del girone di ritorno e regali alla città un’altra salvezza mirabolante e un altro anno di permanenza nella massima serie. Su questo non ci piove.

La prestazione contro la Juventus non può che dare speranza. Il Verona ha dimostrato di averne, sia nelle gambe che nella testa, e soprattutto i nuovi arrivi si sono messi in mostra con una prova convincente. L’impressione è che si tratti di teste nuove, fresche e prive della nuvola nera che gravitava sul Bentegodi. Da qui la sensazione che la rivoluzione portata a termine durante il mercato di riparazione sia stata, in ultima analisi, una benedizione.

Ma sì, alla fine è stato meglio così. Alla faccia dei disfattisti e dei gufi. Come dite? Ah sì, “comprelo ti el Verona“…

E invece no. Così non va. L’assenza di programmazione non può essere coperta dall’abilità del direttore sportivo di scovare talenti in grado di togliere le castagne dal fuoco. Al contrario, non aver saputo sfruttare il passaggio di ottimi dirigenti, ottimi allenatori e ottimi giocatori per costruire una posizione più solida dal punto di vista sportivo è un’aggravante, uno spreco, un danno.

Accettare l’idea che il Verona, salvandosi per un pelo dopo aver venduto il vendibile, abbia centrato l’obiettivo, significa cadere in una trappola retorica che da anni tiene in scacco l’ambiente gialloblù. Il Verona merita di più e, con il talento e la competenza su cui ha potuto contare negli ultimi anni, avrebbe potuto ottenerlo.

Il Verona, come lo studente consapevole di poter studiare tutto all’ultimo, considera un successo arrivare alla sufficienza, mentre abitua una piazza intera alla mediocrità. 

Tifare per i ragazzi, sostenere i colori, cantare a squarciagola ed esaltarsi per aver quasi purgato di nuovo la vecchia signora. Sono questi i motivi per cui si ama il calcio. Per quei magici 90 minuti possiamo dimenticarci di tutto, di Setti, delle quote, delle svendite, della classifica e della finanza. Quando la settimana riparte, però, mantenere l’attenzione alta è un dovere.

Se la rivoluzione di gennaio salverà il Verona sarà un’altra meravigliosa gioia. Ma non si spacci il talento per programmazione: le cause che hanno portato alla vendita di massa non possono essere ignorate, anche se il risultato netto fosse positivo. Non andrà sempre così, non può essere  sempre festa.

Il Verona, sul campo, sta lottando e la salvezza non è irraggiungibile. La battaglia per il campionato è in pieno svolgimento e tutti devono remare dalla stessa parte. La battaglia per il futuro del Verona purtroppo è tutto un altro paio di maniche. 

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