Il governo di Giorgia Meloni, con l’obiettivo di dare autonomia energetica al Paese, ha approvato, all’interno del nuovo decreto Aiuti, una norma “sblocca trivelle” che autorizza la ricerca e il prelievo di gas da nuovi giacimenti di idrocarburi (metano) in mare e così aumentare la produzione nazionale di gas. 

Nel testo c’è scritto che «è consentito il rilascio di nuove concessioni di estrazione gas in zone di mare poste fra le 9 e le 12 miglia (attuale limite, poco più di 19 Km) dalle linee di costa limitatamente ai siti aventi un potenziale certo di gas superiore a 500 milioni di metri cubi».

Foce del fiume PO

In particolare si parla «del tratto di mare compreso tra il 45mo parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po». Una porzione di mare al largo di Rovigo a poca distanza dalla laguna di Venezia, attualmente interdetta alle trivellazioni per rischio subsidenza (articolo 8, legge 6 agosto 2008. n. 133).

Il presidente del Veneto Luca Zaia (Lega) si è subito schierato contro gli impianti in mare arrivando a definire una “follia” l’ipotesi di sbloccare le concessioni nel nord dell’Adriatico.

Diventare energeticamente autonomi

Essere autonomi come vorrebbe il Governo significa soddisfare il fabbisogno energetico nazionale senza dipendere da altri per la fornitura e il prezzo. Consideriamo se, come sembrerebbe sostenere il Governo, ciò sia possibile o quanto sia effettivamente realizzabile.

Ogni anno in Italia si consumano 70 miliardi di metri cubi di metano (10 dall’industria, 19 dal termoelettrico e il resto dal civile), 67 miliardi vengono importati e 3 estratti nel territorio italiano.

L’esecutivo, con questo provvedimento, prevede dal 2024 di aumentare di 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno la produzione nazionale, destinandone due ad un prezzo agevolato alle aziende energivore.  

«Mettiamo così in sicurezza il tessuto produttivo e ci rendiamo più indipendenti dalle importazioni di gas», ha detto la premier Giorgia Meloni senza peraltro chiarire chi sosterrà il costo della differenza prezzo per le imprese energivore. Si poteva fare di più?

Quanto gas c’é nel sottosuolo italiano?

Le riserve di gas naturale vengono classificate dall’ex Ministero Transizione Energetica MITE come:

  • certe: quelle che possono essere estratte con una probabilità maggiore del 90%
  • probabili: indicano una probabilità di estrazione del 50% circa e sono mediamente difficili da recuperare
  • possibili: la probabilità di estrarle è molto inferiore al 50%, il che rende il processo di recupero molto costoso e complicato

Il totale stimato, somma delle tre categorie, è di 110 miliardi di metri cubi, quelle certe e probabili ammontano a circa 70 miliardi.

Da Relazione annuale di ARERA

Nell’eventualità, irrealizzabile, di estrarlo al ritmo del consumo, le riserve basterebbero per poco più di un anno.

Quanto gas viene estratto in Italia?

Attualmente si contano 1298 pozzi estrattivi: di questi 514 sono abitualmente produttivi e utilizzati per l’estrazione mentre 752 sono solo formalmente attivi ma non eroganti.  La maggior parte dei pozzi classificati produttivi non eroganti sono giacimenti esausti che, per evitare i costi della chiusura mineraria, mantengono la dicitura produttivo.

ISPRA mappa dei pozzi

I “grandi pozzi” della pianura Padana, quelli con i quali Enrico Mattei negli anni ’50  lanciò la metanizzazione del Paese, si sono esauriti nel corso degli anni ’70.   Le caverne ormai vuote lasciate nel sottosuolo vengono ora utilizzate per immagazzinare d’estate 15 miliardi di metri cubi di gas da utilizzare per il riscaldamento invernale.

Nella cartina dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono riportati in nero i pozzi non produttivi, in rosso quelli di gas naturale produttivi (eroganti e non) e in verde quelli di petrolio.

Come si può notare i pozzi, tutti separati tra loro, sono spazialmente distribuiti lungo tutta la lunghezza della penisola.

Nel 2021 si sono estratti 3,3 miliardi di metri cubi di gas naturale; la zona d’Italia in cui se ne estrae più è la Basilicata con 1miliardo di metri cubi anno.

Per avere un paragone, il giacimento russo di Dobycha Yamburg in Russia, di proprietà Gazprom, permette di estrarre annualmente circa 160 miliardi di metri cubi. Quindi, a dispetto di quanto si sente talvolta dire, l’Italia non possiede grandi giacimenti di gas naturale, anzi.

Potremmo aprire dei pozzi nel giro di un mese?

Se è vero che in alcuni rari casi dei pozzi possono essere messi in produzione entro un paio di mesi, ci vorranno almeno un paio di anni per superare tutto l’iter legislativo richiesto.  La stessa norma “Sblocca trivelle” del Governo prevede la «presentazione di analisi tecnico-scientifiche e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica dell’assenza di effetti significativi di subsidenza sulle linee di costa da condurre sotto il controllo del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica» le cui elaborazioni richiedono parecchio tempo.

Il caso Croazia

Spesso si sente dire che la Croazia estrae dall’alto Adriatico molto più gas naturale dell’Italia o che “ci ruba il gas” sfruttando nostri potenziali giacimenti.

Stando ai dati ufficiali forniti dall’ente nazionale croato, la Croatian Hydrocarbon Agency. La Croazia non è fortemente metanizzata, consuma 2,5 miliardi di metri cubi di gas naturale contro i 70 dell’Italia e ha una produzione annuale nella loro parte di Adriatico pari a circa 1,2 miliardi di metri cubi contro gli 1,8 del nostro Paese.

L’Adriatico è quindi una provincia geologica che eroga in totale, Italia + Croazia, circa 3 miliardi di metri cubi all’anno. Non sembra esserci molto gas da rubare.

Tanto rumore per nulla

Il nostro Paese è un grande consumatore di gas con pochissima disponibilità locale e limitata capacità di estrazione. Promettere un’autonomia, quando si può al massimo raddoppiare l’attuale limitata produzione, così come sperare di influire sui prezzi di un mercato internazionale infinitamente più ampio, sembra perciò perlomeno azzardato.

Destinare poi 2 miliardi di metri cubi a prezzi agevolati, a fronte di 10 miliardi/anno di totale consumo industriale, ad alcune imprese energivore (chi paga il conto?) non sembra essere una significativa lungimirante strategia industriale.

Resta da notare infine la totale assenza di un confronto costi-benefici con alternative possibili come, ad esempio, l’immediato pari investimento per sviluppare energie alternative rinnovabili, le sole che possano garantire strutturalmente una reale maggiore sostanziale autonomia energetica ed economica.

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