Qualche settimana fa a Cremona si è svolto il Festival del Turismo Musicale. Un’importante occasione per puntare i riflettori su un mondo, quelle della musica di varia natura e genere, che può rappresentare oltre che un fondamentale momento culturale anche un ulteriore volano turistico, per promuovere l’immagine di una città e favorire l’afflusso di appassionati e fan. Organizzata nella città di Stradivari grazie a un finanziamento del FUS, il fondo unico per lo spettacolo, la manifestazione ha proposto anche una serie di interessanti appuntamenti, incontri e convegni che hanno affrontato la tematica da più punti di vista.

Fra gli altri si è svolta anche una tavola rotonda a porte chiuse fra gli amministratori delle cosiddette “città musicali” d’Italia. Erano presenti realtà fra di loro molto diverse: da metropoli come Milano e Napoli a realtà decisamente molto più piccole come Melpignano e Busseto, passando per città intermedie come Verona, Brescia e Pesaro. L’idea era quella di mettere attorno a un tavolo amministratori e tecnici per confrontare fra di loro le buone pratiche messe in atto da ciascuna amministrazione, ovviamente in ambito musicale. Per Verona ha partecipato il Presidente della Quarta Commissione del Comune di Verona Pietro Trincanato, coordinatore anche del Gruppo Giovani degli Amici dei Musei di Verona e della lista civica Traguardi.

Trincanato, innanzitutto quali sono state le best practice che Verona ha presentato in quest’occasione?

Pietro Trincanato

«Noi abbiamo parlato soprattutto del festival areniamo e dei concerti di musica leggera che si svolgono all’interno dell’Arena, oltre che di altri festival che si tengono in città. Noi possiamo senz’altro offrire un’esperienza di eccellenza sui grandi eventi, non solo legati alla musica lirica. Al contrario abbiamo molto da imparare sul coordinamento dei piccoli eventi e sulla loro valorizzazione. Anche per questa ragione alla tavola rotonda che come Traguardi abbiamo organizzato sabato scorso, 5 novembre, al Cinema Kappadue (e dal titolo “Si può fare”, ndr) abbiamo fortemente voluto Luigi Radassao, responsabile dell’ufficio musica del Comune di Brescia e direttore artistico della Grande Festa europea che si tiene nella stessa città lombarda.» 

Le altre città, invece, di cosa hanno parlato?

«Ciascuna realtà ha portato la propria esperienza. Napoli ci ha raccontato della sua scena discografica, Milano della sua music week, Melpignano di come un piccolo paese di 2500 abitati riesce a gestire un evento, la Notte della Taranta, che a fine agosto porta nel suo territorio oltre 250mila persone. Da Brescia abbiamo appreso quanto sia importante avere un intero ufficio comunale dedicato alla musica. Loro hanno già da qualche anno una struttura che svolge la funzione, per chi vuole organizzare eventi musicali, di semplificare l’iter burocratico in termini di autorizzazioni e permessi. Brescia è una città che supporta molto la musica, concedendo, fra le altre cose, spazi gratuiti agli artisti di strada.» 

Per quanto riguarda la musica classica quali suggestioni vi siete portati a casa?

«Risulta molto interessante il lavoro che ha fatto Pesaro sul Festival Rossini. Si tratta di una manifestazione molto più piccola rispetto al nostro festival areniano. È  partita più in sordina ma pian piano sta guadagnando consensi di critica e di pubblico. Lì, però, c’è un’intera città che parla la lingua rossiniana durante i giorni del festival e non solo nei teatri, ma anche in spazi alternativi e nei cosiddetti  “eventi off”. Inoltre hanno un sistema educational molto interessante, e una serie di borse di studio destinate ai giovani talenti.

Hanno istituito una sorta di contest internazionale con dieci registi che, da tutto il mondo, hanno la possibilità ogni anno di vincere un periodo di stage a Pesaro alla fine del quale hanno la possibilità  di portare in scena uno spettacolo di Rossini. Con quest’idea legano alla città di Pesaro talenti che domani potrebbero diventare grandi star. Si fa, in fondo, quello che a Verona è stato fatto a suo tempo con la giovane Maria Callas e che ora non si fa più. Abbiamo perso il know how. Dobbiamo recuperarlo.» 

Qual è la vocazione principale di Verona, secondo lei?

«Dobbiamo cominciare a ricostruire un dialogo con il mondo degli artisti internazionali. Investire molto di più sulla formazione. Tanto per dire lo stesso responsabile del Festival di Pesaro ha conseguito il master proprio presso la nostra Accademia dell’Opera. Abbiamo degli istituti di alta formazione che non valorizziamo adeguatamente.» 

Altre idee interessanti emerse dalla giornata di confronto a Cremona?

«Siamo arrivati alla condivisione di alcune idee che potrebbero far nascere interessanti progetti in futuro. Nel frattempo, però, bisognerebbe ragionare sulla costituzione di una sorta di “sindacato delle città musicali”. In quel modo ci si potrebbe interfacciare con maggior forza con il Ministero della Cultura al fine di realizzare e condividere alcune attività, e di spingere verso una diversa distribuzione del FUS, che valorizzi progetti di rete e gli aspetti qualitativi, invece che fermarsi al dato quantitativo di incassi e biglietti.»

Ci può fare qualche esempio?

«Alcune città realizzano progetti che non sono fra loro in concorrenza, ma anzi possono risultare fra di loro complementari. Cremona, ad esempio, ha una richiesta gigantesca di cori e orchestre amatoriali che vogliono andare a suonare nella città di Stradivari a proprie spese, solo per il gusto di andare a suonare in un luogo mitico. Si potrebbe pensare di organizzare anche a Verona un tipo di turismo alternativo come questo. Noi, con l’Arena, una cosa di questo tipo la potremmo fare senza problemi. Se un’orchestra amatoriale vuole venire a suonare nella città dell’opera per eccellenza questa deve essere intercettata da noi in qualche modo e favorita.» 

Quindi quali saranno le prime iniziative che come amministrazione intendete prendere?

«C’è già l’idea di iniziare a lavorare anche a Verona per la creazione di un ufficio dedicato alle attività musicali sul modello bresciano. Un punto unico per cui chi vuole fare eventi a Verona dove concentrare le richieste e trovare risposta alle proprie domande. Oggi è ancora troppo complicato. Anche chi è animato dalle migliori intenzioni rischia di scoraggiarsi di fronte all’infernale burocrazia in cui siamo immersi. Bisogna semplificare.» 

Verona negli anni Novanta vantava una scena musicale – rock, pop e non solo – molto attiva, alla pari di altre importanti realtà italiane come Catania, allora in auge. Poi, negli ultimi venti anni, purtroppo molto si è perso di quel mondo. Come mai?

«In effetti fa impressione vedere come fino a qualche tempo fa erano le altre città a guardare a Verona per il livello della sua “scena” musicale e notare come invece ora quella scena di fatto non esiste più. Molte cose sono cambiate da allora, ma si può tentare di recuperare, attraverso provvedimenti ad hoc, quel livello andato perduto, lavorando innanzitutto su semplificazione amministrativa, supporto istituzionale e identificazione di nuovi spazi. Dobbiamo costruire un Comune amico della musica, non capace solo di proibire e multare.»

I locali come possono essere incentivati a proporre musica dal vivo?

«Il tema va affrontato semplificando innanzitutto i regolamenti. Una cosa, però, dev’essere chiara: semplificare non significa dare il “liberi tutti”. Dobbiamo continuare a tutelare i residenti. Va creata una situazione in cui possano convivere bene fra loro coloro che vivono in certe aree e i locali che intendono proporre musica dal vivo. Occorre creare regolamentazioni tecniche che permettano di aumentare l’offerta musicale senza devastare la vita ai cittadini. Fissiamo bene gli orari e i volumi e, allo stesso tempo, non rendiamo la vita impossibile a chi vuole far suonare la band locale, perché poi altrimenti si tarpa la crescita del tessuto artistico.» 

In questo senso Veronetta, che ha già una vocazione in questo senso, potrebbe diventare nel tempo un quartiere “artistico-musicale” sul modello di altri quartieri di altre città d’Europa? Pensiamo a Temple Bar a Dublino, ma non solo…

«Un music district sarebbe molto facile da creare e potrebbe essere una cosa positiva. Ma secondo me non occorre nemmeno indirizzare eccessivamente queste scelte, perché se le buone pratiche di cui stiamo parlando verranno messe in atto allora sarà la città stessa a rispondere in modo naturale. Veronetta forse più di altre zone ha una sua vocazione all’arte e alla musica, è vero, ma potrebbero nascere dei luoghi di aggregazione musicale, chissà, anche altre zone come ad esempio a Borgo Roma e Golosine, in zona Fiera e via dicendo. A noi spetta il compito di costruire il contesto amministrativo migliore perché nasca questo tipo di situazione.»  

Non ci sono solo i locali… c’è anche un’amministrazione comunale che può promuovere l’attività musicale. Quali iniziative intendete prendere a riguardo?

«A Verona l’artista di strada deve fare domanda per poter occupare il suolo pubblico, le postazioni sono poche, le limitazioni tantissime. Ecco, altrove le cose vanno assai diversamente, si è addirittura passati dall’idea della “concessione”, in cui il Comune autorizza volta per volta l’artista, a quella della “comunicazione”, in cui l’artista conosce le poche, semplici regole poste dall’Amministrazione e si limita a informare su dove e quando si esibirà. Quando eravamo all’opposizione Traguardi aveva già fatto una proposta in questo senso, che si era purtroppo arenata in consiglio. Ora verrà riproposta.» 

Altre idee?

«Si potrebbero, soprattutto in primavera ed estate, allestire in giro per la città e nelle piazze principali una serie di palchi gestiti dal Comune. Fare una open call a chi vuole esibirsi, in modo che i musicisti possano prenotarsi gli spazi e proporre la propria musica. Potrebbe nascere in questo modo una sorta di festival a costo zero o quasi. All’artista potrebbe essere data la possibilità di sbigliettare, magari con un prezzo politico. Questa è un’esperienza che sempre a Brescia hanno già portato avanti e che noi potremmo proporre anche qui a Verona.» 

Chiudiamo con la ormai “mitologica” Città della musica, cittadella da costruire in zona Marangona o Zai. Cosa ci può dire?

«L’idea risponderebbe al fatto che la città non ha spazi al coperto per eventi di medio-grandi dimensioni. La città della musica non sostituisce il bar che propone  musica dal vivo o il busker che si esibisce nelle vie del centro. Nonostante l’utilizzo in passato di questa idea come foglia di fico per dare un senso a spazi come la Marangona, si tratta in realtà di un progetto da non abbandonare.

La recente inaugurazione di Eataly agli Ex Magazzini Generali l’ha fatto, peraltro, tornare alla ribalta. Costruire una struttura che consenta a Verona di avere l’equivalente dell’Arena al chiuso potrebbe essere molto interessante. Ricordo che spazi come Interzona o l’Estravagario, che in passato c’erano, oggi mancano in toto. Verona, inoltre, è comoda da raggiungere e potrebbe tranquillamente fare concorrenza a Bologna o Padova, che da questo punto di vista stanno crescendo molto.» 

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