Capolavoro di Amilcare Ponchielli, La Gioconda è tornata su un palcoscenico veronese, dopo 17 anni dall’ultima rappresentazione in Anfiteatro, con la nuova regia di Filippo Tonon che cura allestimento, scene e costumi in collaborazione con Carla Galleri.

L’opera, per Verona, nasce sotto il segno di un grande esordio – Maria Callas nel 1947 a soli 23 anni aveva debuttato in Arena nel ruolo della protagonista – e sotto l’ala delle novità prosegue anche per questa produzione.

Il veneziano Francesco Ommassini dirige l’opera che vedrà le maestranze della Fondazione Arena in una tournée lombarda nel mese di novembre a Cremona (4 e 6), Como (10 e 13), Brescia (18 e 20) e Pavia (24 e 27), mentre il pubblico veronese può assistervi ancora domani, venerdì 28 ottobre (ore 20), e domenica 30 ottobre (ore 15.30).

Lo spettacolo è coprodotto con lo Slovene National Theatre di Maribor, i Teatri di OperaLombardia e il Massimo Bellini di Catania.

Dopo il ruolo di Aida, torna Monica Conesa

Sulla scena si alternano due cast con artisti di rilievo internazionale. Monica Conesa, giovanissima cubano-americana che ha debuttato in Arena nel 2022 col ruolo di Aida, è la protagonista. Due tenori (Angelo Villari il 23 e il 28 ottobre e Samuele Simoncini il 26 e il 30) danno voce ad Enzo Grimaldo, mentre il maligno Barnaba è interpretato dal baritono Angelo Veccia. Il basso coreano Simon Lim interpreta Alvise Badoero la cui moglie, Laura Adorno, è affidata al mezzosoprano polacco Agnieszka Rehlis e a Teresa Romano (domenica 30). Agostina Smimmero è La Cieca.

Ponchielli e Boito, insieme per il più grande melodramma post-unificazione

Amilcare Ponchielli in una lettera del 1868 scrive che, a causa dei grandi cambiamenti che l’opera aveva subito all’epoca, un maestro che si accingesse a scrivere musica non potesse fare altro che tremare, poiché tutto “è stato tentato”.  Quando Ponchielli riceve il libretto di Boito, capofila della Scapigliatura milanese, ne è intimorito. Le parole sono “di genere non facile” data “l’elevatezza dei concetti, del verso e difficoltà di forme.” Ponchielli però accetta la sfida e restituisce una sintesi di novità e tradizione. La Gioconda diventa il più grande melodramma dell’Italia unificata e Ponchielli esce dalla marginalità cui era stato relegato.

Un’altra foto di scena de La Gioconda in scena al Filarmonico fino a domenica 30 ottobre.

Venezia e la cantatrice in cerca d’amore

Siamo nella Venezia del Cinquecento, dove Gioconda, una umile cantatrice, cerca l’amore di Enzo ma è perseguitata da quello del malefico Barnaba che tesse la trama di inganni e sotterfugi. Gioconda nel corso del dramma vede sgretolarsi il suo sogno romantico: Enzo incontra il primo amore Laura, donna sposata, e con lei progetta una fuga. La giovane cantatrice è divisa tra l’odio e l’amore nei confronti di Laura poiché lei, rivale in amore, aveva salvato la madre cieca da un linciaggio architettato da Barnaba per vendicare il rifiuto d’amore subito da Gioconda.

Vince la bontà di cuore: Gioconda aiuta i due a fuggire e compie l’estremo sacrificio di sé sotto gli occhi di Barnaba.

Cambio di ambientazione storica

Filippo Tonon sceglie di ambientare l’opera nel XIX secolo, poiché quando l’opera andò in scena al Teatro alle Scala l’8 aprile del 1876, dice il regista, l’Italia aveva cominciato a sentire le influenze del Verismo, movimento che voleva dare una rappresentazione oggettiva della realtà sociale e umana. Ascoltando la musica, secondo il regista non era possibile svincolare l’emozione dei personaggi dall’epoca in cui la loro voce era stata creata e composta.

Il regista sfrutta al massimo lo spazio scenico: Venezia apre le sue piazze, i vicoli e gli interni mostrandoci un lato anche decadente della città, popolata da spie, superstizioni e sospetto.

Le luci di Baldisseri acuiscono il dramma

Le luci di Fiammetta Baldisseri ben sostengono queste intenzioni: gli evidenti cambi di chiaro e scuro e le insistenti zone d’ombra suggeriscono la presenza di qualcosa di sinistro. I tagli laterali presenti nei momenti più drammatici, uno tra tutti quello della presunta morte di Laura, innalzano l’intensità del dramma in visioni dai toni caravaggeschi.

L’ombra però emerge tanto forte laddove anche la luce sa esprimersi. Al banchetto presso la Ca’ d’Oro, organizzato da Alvise Badoero, tetro capo di Stato dell’Inquisizione, abbiamo, nel III atto, la celebre Danza delle Ore. Ariosa, luminosa e leggera. La coreografia di Valerio Longo è interpretata dalle prime ballerine Evgenija Koskina, Tetiana Svetlicna, Mina Radakovic.

Uno spettacolo a cui non manca nulla

È uno spettacolo, questo, in cui non manca davvero nulla. Forte coralità, arie convenzionali che, merito il virtuosismo del librettista si spingono verso un declamato più teatrale, duetti intensi, balletto classico. C’è pure, nel II atto, il coro di voci bianche (coro A. Li. Ve. diretto da Paolo Facincani).

I cantanti hanno gestito la complessità della musica e dell’interpretazione dei ruoli in maniera eccelsa. Agostina Smimmero è La Cieca e sembra impossibile immaginarla fuori da quel ruolo. Estensione vocale notevole e presenza scenica eccezionale. Angelo Veccia è un Barnaba davvero mefistofeilico nel timbro e nei movimenti. Monica Conesa sostiene il complicato ruolo della Gioconda con eleganza, intensità e bellezza di colori.

Agnieszka Rehlis e Samuele Simoncini deliziano il pubblico con un duetto, nel II atto, che forse meritava un bis.

Tutto collabora alla grandezza in questo capolavoro che Massimo Mila definì opera di “diabolica abilità”.

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