Il bronzo mondiale conquistato dalla nazionale di volley femminile, vincente in finalina sugli Stati Uniti campioni olimpici, è stato un risultato divisivo. Per molti ha rappresentato la conferma al vertice di un gruppo di lavoro eccellente, per altri è stato l’ennesimo flop di una squadra che da un biennio parte sempre da favorita, ma che è incapace di giocare al meglio quando conta davvero (Olimpiadi e Mondiali). Come al solito, non c’è una sola verità. Quel che è certo è che le polemiche finali e il “caso Egonu” hanno rovinato un bronzo mondiale di assoluto valore sportivo.

Ripercorriamo le settimane di gioco della rassegna internazionale alla ricerca di chiavi di lettura di quanto accaduto. L’obbiettivo è provare a comprendere il futuro di questa nazionale che, ricordiamolo, ha come missione ultima le Olimpiadi di Parigi.

Il percorso nei gironi

Dopo un’estate di successi in Volley Nations League, in cui i tifosi hanno potuto apprezzare la miglior versione di un gioco corale brillante, appassionato e ben finalizzato dal talento offensivo di Paola Egonu, le azzurre sono arrivate al Mondiale non al top. Il primo girone ha confermato nei risultati, solo vittorie, le ormai note qualità del gruppo. In Italia mai ne abbiamo avuto uno così talentuoso, così preparato a livello tecnico e tattico, senza veri e propri punti deboli. Però alcune sfide di prima fase hanno lasciato qualche dubbio. In primis la gara con il Belgio, vinta più per una serie di concomitanze anche fortunose che per la giusta solidità di un sistema apparso meno fluido di qualche mese prima.

Nella seconda fase, l’Italia guidata da coach Davide Mazzanti, pur perdendo al tie break con il Brasile, ha esibito prestazioni nel complesso più convincenti. Specie con le asiatiche Cina e Giappone, si sono avute buone sensazioni. La regista Alessia Orro, continua e sicura a tal punto da concedersi qualche apertura alla Giannelli, è apparsa in forma eccellente. Così come una Anna Danesi nel pieno della maturità sportiva e assoluta dominatrice del fondamentale del muro. Della solidità di Caterina Bosetti e “Moki” De Gennaro nessuno poteva dubitarne, tanto appare ormai scontata. Insomma, ad eccezion fatta di una Cristina Chirichella forse appena sufficiente e di una Elena Pietrini non al top, tutto sembrava apparecchiato per una probabile finale Italia-Serbia. Alla luce anche di una versione non eccellente di team Usa e di un Brasile altalenante.

Il tabellone finale

Al netto di una formula risibile (metà delle squadre che non possono affrontare l’altra metà prima della finale), l’Italia è stata chiamata ad un cammino complesso sin dai quarti. La Cina, primo avversario di tabellone, è stata avversario ben più ostico rispetto a quanto dimostrato in girone. La vittoria per 3-1 che ha proiettato l’Italia in semifinale è stata, nei fatti, una gara complessa. Figlia di una condotta altalenante da parte delle nostre, ha forse contribuito a creare nel gruppo insicurezza. Si è vista infatti una certa apprensione nel gioco e quella non piena convinzione nei propri mezzi che poi è stata determinante ad indirizzare la gara successiva contro il Brasile.

Della sfida alla compagine verdeoro in semifinale si potrebbe parlare a lungo, ma rappresenta un cliché spesso vissuto e replicato negli sport di squadra. La favorita della vigilia che approccia con maggiore tensione, lotta e combatte, ma si trova di fronte un’avversaria che ha beccato la giornata di grazia. Ogni punto in più giocato rinfranca le sudamericane che alzano i giri del proprio motore, di contro le nostre, ad ogni nuovo scambio, temono sempre più di non farcela. E quando uno pensa male, diventa attore principale e involontario delle proprie disgrazie. La gara finisce 3-1 per il Brasile dopo che nel terzo set l’Italia ha avuto e non sfruttato le occasioni principali per ribaltare l’inerzia della gara. In Italia è già tempo di processi, sul banco degli imputati principale la Egonu, rea di aver sbagliato i palloni importanti.

Il processo sommario

Si arriva dunque alla vigilia della sfida che vale il bronzo. Parlare di delusione è lecito, parlare di fallimento è cosa fuori dal mondo. In molti propendono per la seconda.
La Gazzetta dello Sport, con un articolo a firma Gian Luca Pasini titola: “Rivoluzione Italvolley: via il c.t. Mazzanti insieme a Egonu?”. Inoltre, riporta un virgolettato del Presidente Fipav Manfredi che certifica la presenza di problemi in seno alla squadra (difficile da credere) con un tempismo quanto mai dubbio e inopportuno. L’articolo è dirompente e tutto il movimento del volley è in subbuglio. Quasi passa in secondo piano la cronaca con la vittoria dell’Italia che si conquista un meritato bronzo. Non passa però inosservato lo sfogo di Egonu che, a fine partita, dichiara di voler lasciare la maglia tricolore.

Incapacità di vincere le gare importanti, dubbi sull’amalgama di squadra, operato del tecnico, sono solo alcuni dei temi che impazzano sui media e sui social nelle successive ore. Un processo sommario alla squadra ancora più duro e immotivato rispetto al dopo Tokio. Un processo che getta ombre sul futuro del gruppo e sulla futuribilità azzurra di atlete in ogni caso, per larga parte, giovanissime.

L’esasperazione dell’agonismo e tanti punti oscuri

La bufera mediatica viene solo temporaneamente arrestata dal bronzo. Non solo, interviene anche il Presidente del Consiglio uscente Mario Draghi a supporto di Paola Egonu. Il tutto però lascia strascichi. Vediamo quali i principali.

1) Davide Mazzanti è in bilico. Le conferme di facciata del tecnico pronunciate dal Presidente Fipav a fine rassegna iridata vanno prese con le dovute riserve, anche perchè seguono dichiarazioni quantomeno sibilline. Arrivati a questo punto, non è escluso che lo stesso Mazzanti decida di voltare le spalle al progetto. Tutto dipenderà dai veri fatti accaduti, da quanto si senta appoggiato dai vertici federali e dalle proprie atlete, non tanto dagli scoop di stampa.

La sensazione è che davvero si sia rotto qualcosa e il progetto tecnico non sia più supportato da una parte delle istituzioni. Sarebbe difficile da credere, visto il tangibile lavoro svolto da Mazzanti e dal suo team, visti i risultati conseguiti non solo nelle rassegne internazionali, ma anche nella capacità del tecnico di indirizzare con qualità un movimento attraverso l’esempio di una squadra nazionale fresca, moderna e con idee chiare. Una squadra bella da vedere anche nelle giornate di non particolare verve.

2) Paola Egonu si prende una pausa. Premessa: Paola è il massimo talento mai prodotto dal movimento italiano, è una campionessa di livello assoluto, ancora giovane e che da anni porta sulle spalle il peso dei risultati di una nazione esigente come la nostra in termini pallavolistici. Non ha mai voltato le spalle ai colori azzurri, ha semmai “bucato” alcune gare importanti (specie se il confronto è con Tijana Boskovic, pari ruolo serba). In questi anni ha vissuto con particolare emotività tutto ciò che ha riguardato i suoi rapporti coi social in tema di orientamento sessuale e aspetti razziali. Come darle torto?

Dopo la semifinale, e ancor più dopo la fine dei Mondiali, è esplosa. In questo non è diversa dai milioni di praticanti che, dopo una sconfitta, si lasciano andare al pianto, allo sconforto, che si sentono vuoti, frustrati, che vorrebbero rispedire al mittente ogni critica ingiusta, prendendosi subito una rivincita sul campo. Paola ha bisogno di riposo e di un ambiente che la tuteli, come farebbe qualsiasi ambiente per mero opportunismo, oltre che per buon senso.

Non si è parlato di pallavolo

Un’altra conseguenza, forse la peggiore, di tutto questo scalpore attorno alla semifinale persa con il Brasile, è che non si è parlato di pallavolo. Ed è un peccato. L’Italvolley femminile e le sue gesta di questi anni, andrebbero divulgate nelle scuole, nelle aziende, andrebbero proiettati video per capire cosa significhi fare team, cosa significhi creare un sistema, come possano interagire persone di diversi talenti e caratteristiche con ruoli e spazi diversi. Un modello, un sistema in cui la creatività non è imbrigliata, ma messa al servizio del sistema stesso e in cui concentrazione e determinazione agonistica non sacrificano mai la gentilezza di un sorriso.

Su questi temi sarebbe necessario dilungarsi, indagare il successo di questo sistema in determinati contesti e l’insuccesso in altri (Olimpiadi e Mondiali). Capire se ciò sia figlio del caso o se esistano sistemi più o meno adatti a certe sfide.

Il “risultatismo”

Invece, questo bronzo ha riproposto il peggio della cultura sportiva italiana, in cui il fulcro di tutto è il risultato, in cui c’è disinteresse completo verso qualsiasi aspetto che non sia rappresentato dal numero dei set vinti o dagli ori al collo. Un approccio arrogante e superficiale che non distingue più tra prestazione sportiva e valore umano di chi la realizza, e che non tiene conto degli avversari (bravissime le brasiliane, occorre dirlo). Nemmeno del come si prova a raggiungere un certo tipo di performance.

Julio Velasco, attuale Direttore Tecnico delle nazionali giovanili maschili, in una recente intervista, ha parlato di “risultatismo”. Questo aspetto culturale, profondamente caratteristico della mentalità sportiva italiana, è capace di danni irreparabili ad ogni livello, specie in quelli più bassi. Se oggi ci preoccupiamo, giustamente, di una Paola Egonu che ha tutti i mezzi a disposizione per superare il momento difficile, ogni tanto occorre fermarsi e riflettere su come questo approccio possa rovinare progetti futuribili e l’individuale percorso sportivo e umano di tanti altri atleti ben meno visibili e quotati.

Il futuro dell’Italvolley

Appare complicato guardare al futuro a caldo, dopo pochi giorni da una semifinale mondiale che potrebbe aver creare conseguenze significative su questa nazionale. Molto passa ora da una corretta gestione federale della vicenda. La speranza è non si butti via tutto quanto e che questa squadra non venga sacrificata sull’altare di disegni e progetti ben lontani da questioni strettamente sportive.

Nell’ipotesi che Mazzanti prosegua e che pure Egonu ritorni a breve in squadra, sarebbero altri i problemi da affrontare in vista di Parigi 2024. Le giocatrici da cui questa nazionale non può prescindere sono due: Bosetti e De Gennaro. Per quest’ultima è l’anagrafe a sollevare qualche timore, visto che alle prossime Olimpiadi avrà 37 anni. Per la schiacciatrice sono, invece, altri i dubbi che la riguardano. Non è una giocatrice di grandi mezzi fisici e, se fino ad ora ha compensato con qualità tecniche sopraffine, la domanda è per quanto riuscirà a reggere a questi livelli. Due anni possono essere molti nella vita di uno sportivo e in questi ruoli davvero l’Italia non ha ancora trovato delle soluzioni di medesimo rango.

Quanto alla Egonu, allontanarsi dai riflettori italiani per affidarsi alle cure “turche” di Giovanni Guidetti, le farà bene. Tornerà più forte di prima. Se questo avverrà con Mazzanti, Daniele Santarelli o, più difficile, lo stesso Guidetti, lo scopriremo presto.

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