Ho in altre occasioni sottolineato come nella visione greca del mondo possiamo spesso individuare punti di vista opposti, forme dialettiche di pensiero, che su uno stesso argomento pongono in evidenza aspetti antitetici e simmetricamente efficaci per argomentare della validità di posizioni fra loro contrarie.

Abbiamo parlato “di percezione dialettica della realtà”, come fondamento della stessa visione tragica della vita e della storia, e come elemento tipico, caratterizzante dell’anima greca, se così possiamo dire, protesa a leggere la legittimità di pensieri diametralmente opposti sulle stesse tematiche.

In tale prospettiva bene e male, giusto e ingiusto, conveniente e sconveniente sembrano avere la medesima dignità di cittadinanza nelle regioni del pensiero; principio, questo, che rende la visione greca del mondo cardine insostituibile della evoluzione, della dinamica, dello sviluppo stesso non solo del pensiero, ma, se possiamo continuare su questa linea, della stessa anima occidentale, che con i suoi limiti e le sue fragilità costituisce il fondamento imprescindibile di una visione razionale dei problemi.

Fra gli aspetti che maggiormente possono attrarre la nostra attenzione, specialmente in questa nostra fase storica e alla luce degli eventi politici più recenti, c’è la contrapposizione fra due fattori ai quali nella convinzione comune e nel pensiero dei filosofi, si imputa la responsabilità di regolare la vita umana, la storia, la stessa natura: la sorte e il destino, o, meglio, utilizzando un’espres­sione di Democrito, ripresa nel 1970 dal grande biologo Jacques Monod, in un celeberrimo saggio: Il Caso e la Necessità (Titolo originale: Le Hasard et la Nécessité).

Molto spesso questi due concetti vengono confusi, mentre sono quanto di più opposto si possa pensare.

Il caso o sorte o evento è un principio di imprevedibile e incalcolabile natura, in base al quale gli avvenimenti accadono perché accadono senza una ragione.

Il destino, o necessità o predeterminazione è invece la forza che concatena gli eventi, a volte senza che gli esseri umani ne comprendano la logica, in una inevitabile, vincolante sequenza, per cui nulla accade che non sia legato a una precisa causa, connessa, a sua volta, a un ben preciso fine.

Il greco antico ha due termini specifici per indicare queste forze. Il caso è designato dal sostantivo τύχη tyche mentre il destino è definito dall’espressione μοῖρα εἱμαρμένη móiraheimarméneo semplicemente εἱμαρμένη heimarméne.

Per comprendere la differenza fra i due concetti è utile risalire alla radice, ovvero all’etimologia dei termini. τύχη si riconduce alla radice τυχ, propria anche del verbo τυγχάνω tyncháno che in greco significa “centrare il bersaglio, fare centro, cogliere nel segno”, il valore di τύχη, quindi, sarebbe “colpo di fortuna”. Tecnicamente si dice che τύχη è una parola “aoristica”, ovvero priva di valore temporale, caratterizzata dall’idea della momentaneità acronica, ovvero dall’i­stantaneità priva di estensione temporale. Ricordiamo che fra i tempi del verbo greco ne esiste uno chiamato aoristo, che significa, appunto, “indeterminato, senza limiti”, il quale all’indicativo viene tradotto con il passato remoto, ma negli altri modi non ha valore di tempo, ed esprime l’idea di una azione qualitativamente percepita come momentanea, anche se in italiano le regole della consecutio temporum, ereditate dal latino, ci obbligano, nelle traduzioni, ai necessari adattamenti grammaticali. τύχη sarebbe dunque il Caso, l’evento che produce accadimenti dei quali non si ha possibilità di individuare una ragione causale. Facciamo un esempio.

Filandro esce di casa e “casualmente” inciampa nella radice di un albero, la maledice, ma proprio davanti a lui vede arrivare un cavallo imbizzarrito che lo scavalca, mentre è a terra, e va oltre. Se non fosse caduto, sarebbe stato travolto. Quale disegno gli ha salvato la vita? Nessuno: è stata la τύχη, la Fortuna, in questo caso la buona fortuna, in greco εὐτυχία eytychía, che lo ha salvato. Oppure… no. Filandro doveva andare in parlamento e presentare una proposta di legge essenziale per la città. Forse la città è al centro di un disegno che sfugge alle intelligenze umane e la μοῖρα εἱμαρμένη, il destino, che ha preparato per la città magnifiche sorti e progressive, ha predisposto le cose per cui quella insignificante radice ha salvato, insieme a Filandro, anche la città. La radice del­l’albero era lì dall’inizio dei tempi per salvare Filandro e la città. Dunque cos’è la μοῖρα εἱμαρμένη? Mοῖρα móira è un sostantivo esignificaparte”; la formache lo accompagna, εἱμαρμένη, èil participio perfettodel verbo μείρομαι méiromai, “ottengo, ricevo come parte che mi spetta” e sono entrambi da ricondurre alla radice √mer/mor che indica “spartire, dividere, assegnare” e da collegarsi al latino mereor “meritare”Laμοῖρα εἱμαρμένη sarebbe dunque la “parte di vita” già confezionata e definita, assegnata a ciascuno di noi. Tutti gli eventi della vita di ciascuno sono stati già stabiliti e sono concatenati da una forza che nemmeno gli dei possono minimamente influenzare: la necessità, o ἀνάγκη anánche, che determina le forme in cui si manifesta la μοῖρα εἱμαρμένη . Filandro si è salvato perché non era la sua ora e anzi la sua vita era incatenata a quella della città da una serie di eventi che nulla e nessuno poteva alterare o anche lievemente modificare: Laμοῖρα εἱμαρμένη, ovvero la parte di vitaassegnata a Filandro, e non, dunque la τύχη, il caso, ma il destino collegato dalla necessità al successo della città, prevedeva quella coincidenza.

Un’ultima osservazione grammaticale. Se τύχη è parola aoristica ed è un sostantivo, εἱμαρμένη è un participio, che, senza μοῖρα, è sostantivato, e significa “assegnata, spartita” essendo sottinteso “parte” nel senso di “parte di vita”, ma è un participio che mantiene in forma marcata e oppositiva rispetto a τύχη l’aspetto proprio del perfetto greco, il cui valore, al di là della accezione temporale è quello di esprimere un’azione che, compiuta nel passato, mantiene in modo durativo i suoi effetti sul presente. Se dunque τύχη è aoristica, senza estensione temporale e riconducibile all’im­magine di un punto, εἱμαρμένη è invece rappresentabile come una linea che inizia in un “prima” e approda a un “poi” che coincide con “ora”.

Questa visione ha una base filosofica e parte da Democrito, che per primo introdusse nel pensiero occidentale l’idea che la realtà sia costituita da particelle infinitamente piccole, ma indivisibili, gli atomi: ἄτομος atomos significa appunto “indivisibile” nel senso di ente che non può essere “tagliato”, ovvero ulteriormente suddiviso in altre particelle (idea rimasta valida fino al XX secolo!). Questi atomi sono in continuo, inarrestabile movimento e sono innumerevoli, di forma, velocità e pesi diversi. La casualità del loro moto fa sì che gli scontri/incontri fra essi producano gli aggregati di materia che costituiscono “le cose del mondo”.

Successivamente questa idea fu ripresa da Epicuro, che in un trattato perduto, il Περὶ φύσεως Perì physeos “Sulla natura” (in parte recuperato grazie ai Papiri scoperti a Ercolano nella villa detta appunto “Villa dei Papiri”) sosteneva la possibilità che gli atomi, aggregandosi fra loro, potessero produrre infiniti mondi, ma, una volta aggregatesi, le strutture dovevano obbedire a una rigida concatenazione di comportamenti dettati da leggi immutabili. Il concetto fu infine perfezionato da Lucrezio, il quale precisò che le aggregazioni sono possibili solo grazie al fatto che la linea retta del movimento atomico può subire una deviazione (clinamen); a causa delle innumerevoli deviazioni avvengono gli scontri/incontri dai quali sorgono casualmente le prime basilari aggregazioni. Μa se è casuale, quindi dovuto alla τύχη, lo scontro, il seguito, ovvero il formarsi dei corpi, segue leggi precise e inderogabili, secondo una logica alla quale non si possono sottrarre nemmeno gli dei. In questo modo caso e destino sono stati integrati in una ardita visione d’insieme. Casuale è la nascita del mondo, ma determinato da leggi inderogabili è il suo funzionamento.

La vita degli uomini è configurata per essere definita dalla casuale, indeterminata, aoristica potenza dell’evento in sé e per sé o è determinata in ogni minima sequenza dal destino, che non solo ha predisposto i fatti, ma anche li ha ab origine fissati nelle loro relazioni? Se Lucrezio ed Epicuro si pronunciano sulla natura, essi però ritengono che nulla ostacoli la vita degli uomini, nemmeno gli dei, i quali, non potendo cambiare il corso delle cose, delle cose del mondo non si curano. La vita è nelle mani degli uomini, che, con il loro comportamento, devono agire comunque accettando la serie di eventi che la vita stessa propone loro.

Come possiamo constatare, si tratta di tematiche di incredibile attualità, sulle quali ancor oggi si confrontano e scontrano i fisici. La sapienza greca, ha certamente commesso qualche errore, ma le intuizioni che ci ha lasciato hanno del­l’incredibile e ci sollecitano a una riflessione profonda. Quali computer avevano Democrito, Epicuro e Lucrezio, di quali sistemi digitali disponevano per delineare queste intuizioni? Evidentemente, il problema non sono gli strumenti, ma la capacità di concentrarsi e pensare, lo spirito di osservazione, l’indo­mita sete di conoscenza. Questo il messaggio che non possiamo ignorare, al di là di certe tendenze contemporanee, che vorrebbero cancellare questa incredibile esperienza storica e culturale, in grado ancor oggi di sollecitarci e interpellarci sulla nostra capacità di superare facili gratificazioni esplicative e di esigere una conoscenza che sia autentica e capace di provocare la riflessione continua sul senso delle cose e della nostra vita.

Su Epicuro dovremo tornare. La Fisica ha una grande importanza nel suo sistema, ma è l’Etica il campo nel quale il suo insegnamento ha inciso in modo formidabile sul pensiero occidentale. La teoria del piacere, la società degli amici, il distacco dalla vita politica sono aspetti intimamente collegati alla Fisica, e sono la conseguenza di una precisa visione “scientifica” del mondo. Ne parleremo in un prossimo intervento.

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