Da venerdì 21 fino a martedì 25 febbraio siamo ufficialmente nel periodo clou del Carnevale, che a Verona trova la sua massima espressione con il Venerdì Gnoccolaro. Tra gnocchi, festeggiamenti, travestimenti, maschere, festoni e carri allegorici che talvolta sprofondano nelle crepe che si aprono per strada, questi sono giorni trasgressivi, scherzosi, dissoluti, volti al rovesciamento dell’ordine naturale del mondo.

L’etimologia piuttosto sobria e penitente – secondo la teoria più diffusa e accreditata, il termine deriverebbe dal latino “carnem levare”, a testimonianza del fatto che le libagioni ciccione e pantagrueliche sono ormai agli sgoccioli e che fino a martedì grasso bisogna darci dentro prima dell’astinenza della Quaresima, stile “dopo di me il diluvio” – riprende delle celebrazioni carnevalesche esistenti fin dall’antichità. Durante le dionisiache greche o i saturnali romani si metteva infatti già in atto un temporaneo rovesciamento dell’ordine e della gerarchia per lasciare il posto allo scherzo, al riso, alla dissolutezza, al caos, a una confusione delle forme e dei livelli rinviante simbolicamente ad un rinnovamento di sapore gattopardesco (“Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi”). Per 24 ore, lo schiavo diventava padrone e viceversa, il re veniva fintamente deposto e i potenti fintamente derisi, la cortigiana si vestiva da collegiale, il povero danzava col ricco (circa più o meno quasi, provate voi ad andare a una festa chic in maschera a Venezia senza dover fare un mutuo) e si mescolava il sacro e il profano, il grottesco e il sublime, il bello e il brutto. 

L’ordine del mondo viene temporaneamente invertito per essere poi ripristinato già dal giorno dopo, cioè quel mercoledì delle ceneri triste già dal nome in cui il rider continuerà a pedalare per quattro spicci alle 10 di sera sotto la pioggia per portare pizza e ravioli ai gamberetti a gente che non riesce a farsi ‘du spaghi al burro, l’esperto sarà puntualmente sconfessato dal lettore-informato-sul-web-laureato-all’università-della-vita-che-sa-cose-che-i-poteri-forti-e-le-lobby-non-ci-dicono, le morose di questo e di quello continueranno a co-presentare Sanremo facendo passi avanti e indietro in una specie di merengue senza musica, la chiesa persisterà a non pagare Imu e utenze pure sugli edifici non di culto tipo alberghi e appartamenti, gli automobilisti riprenderanno a insultarsi per un parcheggio in diagonale sul marciapiede che di fatto impedisce a te pedone di passare, ecc. ecc. Insomma, la solita routine. 

Epperò. Fino ad allora, daje col rovesciamento dell’ordine e la trasgressione, le musiche, i giochi, le sfilate e i cotillons. Dopo gli gnocchi in tutte le salse e l’alcol di tutti i tipi di venerdì, si aspetta (Coronavirus permettendo, viste le paventate chiusure di luoghi pubblici odierne) il gran finale del martedì grasso, dopo il quale si ha tempo di pentirsi di tutto e cospargersi il capo di cenere. Che se non lo sapete non solo rimanda – la cenere dico, non il capo – alla “fragile condizione dell’uomo di fronte al Signore” ma è contestualmente un “segno concreto di chi si è pentito e con cuore rinnovato riprende il proprio cammino verso il Signore, come si legge nel libro di Giona […] e in quello di Giuditta” (cit. Vaticannews, mica pizza e fichi eh, cfr. https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-03/sacre-ceneri-origine-significato.html). Quindi, prima del pentimento e della fragilità potete pure cantare pubblicamente canzoni di Gigi d’Alessio vestiti da Batman o Wolverine, che col nostro c’entrano come appunto l’esperto col cuggggino informato sul webbe, accompagnati dal vostro cane vestito da Capitan America – per chi non chi credesse voilà, gente di poca fede : http://www.ansa.it/canale_lifestyle/photogallery/2020/02/13/carnevale-10-maschere-per-i-cani_90ce0e3e-9455-436d-8d3f-dd78952e63f8.html. Quasi tutto è tollerato. 

Quindi daje. Però se mercoledì non mi parcheggiate in diagonale sul marciapiede, io vi amo ancora di più. E questo nonostante il fatto che martedì vi abbia visti cantare Giggione in costumino da Batman oversize. 

Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, CommediaInferno, Canto I