Da tempo, fortunatamente, si fa sensibilizzazione su quali sono le più diffuse forme di violenza fisica e psicologica perpetrate all’interno delle relazioni di coppia o nei rapporti tra familiari. La diffusione di informazioni si è tradotta, positivamente, in maggiore attenzione e capacità di riconoscimento degli abusi.

Questa incrementata conoscenza fa però avanzare una domanda su un apparente paradosso: “Perché le persone permangono in relazioni che riconoscono essere dannose?”

Certamente ci sono delle ragioni materiali che ostacolano l’allontanamento da figure abusanti, come nel caso di minori maltrattati da genitori dai quali dipendono economicamente (la variabile economica si può riscontrare però anche nelle relazioni sentimentali tra adulti).

Tuttavia, esistono dei fattori psicologici che rendono difficile spezzare legami tossici anche dopo aver compreso quanto questi ultimi siano dannosi. Non c’è una spiegazione unica che, per quanto articolata, valga per tutti i casi, ma si possono riscontrare vissuti, pensieri ed emozioni che appaiono con una certa frequenza. Alcuni di essi sono:

  • Bellissimi alti e terribili bassi

Anche nelle relazioni più nocive ci possono essere dei singoli e isolati momenti piacevoli o belli (o apparentemente tali). Attimi nei quali sembra che tutto il male patito sia scomparso lasciando posto uno spiraglio di miglioramento. Spesso ciò è però un mero inganno. Come nel gioco d’azzardo, l’euforia di una vincita cancella la disperazione di tutte le perdite precedenti, ma poi il ciclo ricomincia, alimentato da una improbabile speranza di poter fare jackpot una seconda volta. Dopo questi brevi e fugaci attimi di gioia, si ritorna quindi alla costante angoscia che qualunque cosa si dica o si faccia potrà riaccendere la rabbia di una imprevedibile figura abusante che, senza apparente ragione o preavviso, si trasforma in un mostro.

  • “È una persona fantastica, tranne quando beve”

Queste parole sono il pesante bagaglio di molti pazienti in terapia e nascondono un pensiero, solitamente inconscio, estremamente insidioso in quanto sposta la colpa delle violenze dal carnefice all’alcol (o qualsiasi altra sostanza).

Infatti, ciò che viene sotteso da questa esternazione è che i comportamenti violenti sono colpa del liquido ingerito e non della persona che li ha commessi che, invece, sarebbe fantastica e amorevole. La vittima scinde quindi l’immagine dell’altro in due: una parte buona e una parte cattiva che non coesistono nello stesso individuo, ma sono indipendenti e separate. Si può così continuare a provare affetto per una figura idealizzata e vista solo nei suoi lati positivi. Ma, in fondo, anche Mr. Hyde è parte di Dr. Jekyll.

  • L’illusione del cambiamento

Questa frase non significa che il cambiamento, in sé, sia impossibile e illusorio, ma si riferisce alle vuote promesse di non commettere gli stessi sbagli in futuro ed essere una persona migliore per l’altro. Non sempre tale intento è detto in modo manipolatorio, ma non per questo può essere meno nocivo. Ciò è particolarmente evidente quando le promesse di cambiamento sottendono un ricatto nei confronti della vittima che, se non dovesse concedere una chance all’altra persona, sarebbe accusata di essere l’artefice della fine del rapporto. La responsabilità è di chi chiede un’opportunità, non di chi la concede.

  • “Ti salverò”

Anche le persone che commettono i più efferati atti violenti hanno spesso un passato costellato di dolori, sofferenze e abusi che li porta a perpetrare in nuove relazioni ciò che hanno appreso e vissuto nel loro passato. A volte questo fardello diviene però l’esca di una trappola affettiva terribile che può alimentare, soprattutto in persone molto empatiche, un senso di voler/dover aiutare l’altro senza abbandonarlo, finendo col subire ogni genere angheria nella speranza di giungere, prima o poi, a una cura. A volte però le persone non cambiano e il masochismo non porta da nessuna parte.  

  • “Merito questo trattamento”

Una degli esiti più deprecabili dell’aver subito violenza psichica o fisica è quello di interiorizzare un’immagine di sé svalutante che porta a pensare di meritare quanto subito come se gli abusi fossero la giusta punizione per gli sbagli (o presunti tali!) commessi. Ciò conduce alla convinzione di non meritare una relazione migliore o di non poter essere oggetto di affetto per nessuno.

  • Isolamento e dipendenza emotiva

Chi commette abusi spesso cerca di isolare la vittima dal mondo esterno o dagli altri familiari, creando un ambiente in cui quest’ultima si sente sottomessa in assenza di un sistema di supporto al di fuori della relazione duale. In alcuni casi, questo isolamento può degenerare in una forma di dipendenza affettiva nella quale si crede che solo il carnefice si preoccupa o possa comprende la vittima.

Questi sono solo alcuni degli innumerevoli fattori che possono tenere una persona imprigionata in una relazione tossica. A volte per uscirne non basta riconoscere di stare male, ma serve chiedere aiuto ad altri.

Organizzazioni di assistenza alle vittime di violenza domestica, professionisti della salute mentale e servizi sociali offrono supporto cruciale a coloro che cercano di sfuggire da simili relazioni. La creazione di una rete di supporto esterna può essere il primo passo verso la guarigione e la costruzione di una vita più sana e sicura.

© RIPRODUZIONE RISERVATA