Tra le realtà territoriali che si occupano del benessere fisico e psichico della persona, da sei anni Verona può contare sull’associazione Il Lato Positivo, di San Giovanni Lupatoto.

Ne parliamo con la presidente, Manuela Rizzi, psicologa e presidente dell’Associazione.

Iniziamo dall’Associazione. Chi la compone?

«Io sono la presidente; poi c’è Nicol Rotanti, vicepresidente. Il direttivo è composto da un segretario e un tesoriere e intorno a noi ruota una squadra di professionisti che ci supportano e collaborano con noi in tutte le attività».

Fate parte delle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane) di Verona? Come collaborate con loro?

«Siamo un circolo delle ACLI e partecipiamo attivamente ai progetti realizzati per il sostegno alle famiglie e per la prevenzione di situazioni di disagio psico-sociale. Le ACLI ci hanno sempre sostenuto e coinvolto, facendoci crescere come realtà e portandoci ad investire sempre di più su noi stessi».

In cosa consiste la vostra attività?

«La nostra attività è molto varia. Organizziamo campi estivi per bambini che intendono coinvolgere l’aspetto ludico, certo, ma anche emotivo, creativo e sociale; laboratori grazie ai quali scoprire le proprie emozioni e il modo migliore per gestirle, con lo scopo di potenziare le emozioni positive e tollerare maggiormente quelle negative. Siamo anche attivi sulla sensibilizzazione di temi come l’affettività, il bullismo, le emozioni e, in campo prettamente scolastico, i disturbi dell’apprendimento. Teniamo molto al coinvolgimento come supporto anche ai genitori. Oltre ai centri estivi, da un paio d’anni si sono aggiunti anche quelli invernali e abbiamo la possibilità di collaborare con i Comuni, in particolare quello di San Giovanni Lupatoto, e con il Comune di Verona, da Borgo Roma a Chievo. Oltre che con i ragazzi, abbiamo svolto degli incontri con i genitori e gli insegnanti, per esempio, sull’elaborazione del lutto e su come spiegarlo ai bambini, o serate informative sul ruolo educativo e sulla fatica che può portare essere genitori».

Qual è la finalità del vostro progetto?

«È promuovere il benessere dei ragazzi. Una buona parte della nostra attività è impegnata con bambini e ragazzi che vanno dai 6, 7 anni fino ai 18, ma non solo. Sfruttando le competenze derivate dall’essere per la maggior parte psicologi professionisti o comunque educatori, ci rivolgiamo alle fasce critiche dello sviluppo, con un attenzione in più per le difficoltà dei ragazzi. All’interno dei centri estivi coinvolgiamo anche adolescenti che, dopo le scuole medie, rischiano di non avere occasioni di ritrovo costruttive e positive per la loro crescita. Quindi l’idea è di dare attenzione sia ai ragazzi con difficoltà, mettendo a frutto le nostre specializzazioni, sia a tutti gli altri, puntando a migliorare la qualità delle relazioni e, non secondariamente, cercando di limitare la dispersione scolastica anche attraverso la responsabilizzazione dei ragazzi stessi».

Essendo attivi da sei anni, si può dire che avete ormai il polso sulla salute psicologica del territorio. L’emergenza Covid-19 ha influito sull’umore?

«All’inizio del 2020 la paura del contagio era presente nelle famiglie, preoccupate per le conseguenze che un eventuale positività poteva comportare per tutto il nucleo familiare. Già alla fine del 2021, però, abbiamo notato come il senso di stanchezza e il desiderio di liberarsi dalle costrizioni permettesse alle famiglie di reinvestire sulle attività per i ragazzi. Chi ad oggi sembra soffrire maggiormente gli anni passati sono i ragazzi che hanno vissuto in pieno il rischio del ritiro sociale. La diminuzione della voglia di mettersi in gioco a volte rischia di portare ad un disinvestimento sull’esterno e a un senso di vuoto e apatia. Dare loro la possibilità, anche attraverso progetti, attività e responsabilità, di condividere momenti di spensieratezza, porta in maniera evidente la riduzione della fatica a interagire tra di loro e l’aumento della percezione di sè. Proprio per evitare l’isolamento in casa è importante continuare a investire sui giovani e sul loro futuro».

I genitori cosa dicono?

«I genitori ovviamente sono preoccupati. Hanno vissuto in modo diverso la pandemia, continuando a lavorare e ad avere impegni. Perciò capita che si rendano conto delle fatiche dei ragazzi a tornare nel mondo ma non sappiano come aiutarli a tornare alla normalità».

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