È definitivamente scoppiata la bolla del calcio cinese? Se lo chiede un interessante articolo pubblicato dal NY Times in questi giorni. Dal punto di vista economico-finanziario l’analisi dovrà essere profonda e probabilmente regalerà ulteriori novità. Da quello sportivo, il declino era già evidente da qualche tempo.

Non ci voleva un fiuto alla Sherlock Holmes per notare le avvisaglie del ridimensionamento (per essere almeno un po’ ottimisti, dai) del “progetto calcio” nella terra del dragone. Lo Stato/Partito che blocca gli investimenti, giocatori strapagati rispediti in Europa e Sudamerica (alcuni ancora attendono i soldi degli stipendi faraonici), la riduzione del numero di gare del campionato e, dulcis in fundo, il triste epilogo della squadra campione in carica. Quello Jiangsu Suning che, di fonte alla crisi post-pandemia, non ha adottato una linea di contenimento dei costi come la consociata Inter, ma ha proprio cessato di esistere. Dall’oggi al domani… puff. Anche per i meno avvezzi a certe tematiche, non che ci sia spazio per molti dubbi.

Ad oggi la Chinese Super League risulta, diciamo così, sospesa. Non si giocano gare da qualche mese e la priorità viene data alla Nazionale, impiegata nelle gare di qualificazione a Qatar 2022. Risultato che, salvo improbabili miracoli sportivi, non vedrà nemmeno col binocolo. «Se un campionato è così malleabile da potersi fermare e iniziare secondo il programma della nazionale, puoi vedere dove si trovano le priorità – afferma Zhe Ji, direttore di Red Lantern, una società di marketing sportivo che collabora con le migliori squadre di calcio cinesi -, di certo non più nella Lega».

Accade quando si vuole trasformare uno sport di livello medio-basso (anche a livello di partecipazione popolare) in un progetto nazionale calato dall’alto che deve produrre dividendi in grado di andare ben oltre i risultati del campo. C’era l’idea di migliorare il livello dei calciatori cinesi mettendoli accanto ai grandi campioni stranieri, certo, ma c’era soprattutto la volontà di usare il calcio come una gigantesca leva di softpower per entrare nei meccanismi di una delle più grandi aziende (il calcio, of course) del globo.

Il primo obiettivo, anche secondo gli addetti ai lavori cinesi, è fallito senza mezzi termini. Per rendersene conto, basta dare un’occhiata ai risultati ottenuti dalla Nazionale negli ultimi anni e nelle attuali qualificazioni mondiali. I Dragoni sculacciano con passione nazioni chiaramente inferiori come Maldive, Filippine o Libano, salvo poi venire costantemente regolati da Giappone, Australia e, qualche giorno fa, Arabia Saudita. Ad oggi il miglior risultato sportivo resta la partecipazione ai Mondiali del 2002. Quando sono ritornati a casa con tre sconfitte su tre e nessun gol all’attivo.

Non sempre basta pagare manodopera o acquistare know how per prendersi le posizioni di vertice del mercato di riferimento. I soldi non raddrizzano i piedi direbbe, altrimenti, il mio allenatore dei pulcini. Anche l’esperimento portoghese, cioè l’acquisto della Segunda Liga (anche se loro preferiscono chiamarla “sponsorizzazione”) con l’imposizione di allenatori in seconda, assistenti e un tot di giocatori cinesi per ogni squadra, non ha portato i frutti sperati.

Il Congresso Nazionale dei Rappresentanti del Popolo a Pechino

Per quanto riguarda l’ingresso della Cina nei meccanismi finanziari del calcio mondiale, lì la questione è ancora in divenire. I guai che stanno passando grandi nomi come Suning o Evergrande parrebbero essere lo specchio di una crisi molto più profonda e che coinvolge migliaia di grandi attori del panorama economico internazionale. Non che le proprietà e i finanziatori siano spariti nottetempo, chiaro, il capitale cinese è ancora ben presente e radicato nel calcio europeo. In alcuni casi ha ancora un ruolo fondamentale, soprattutto fuori dalla proprietà delle squadre. Ma se davvero da Pechino arriverà il diktat di spostare altrove gli investimenti, c’è da aspettarsi qualche scossone di livello.

Intendiamoci, non è la Cina l’unica a usare il calcio per espandere la propria influenza globale. Emiri e sceicchi fanno da anni il bello e il cattivo tempo nelle stanze dei bottoni del grande calcio, mentre la creazione di super team composti da soli grandi campioni potrebbe seriamente essere l’utopia pallonara del prossimo futuro. In tal senso, attendiamo news da Newcastle. La loro organizzazione, però, è più fluida. In un sultanato, devi fondamentalmente rendere conto solo a te stesso, o a pochi parenti intimi. La strettissima simbiosi tra politica, economia e sport della Cina rende impossibili certi movimenti e, soprattutto, pazzie da mecenati privi di senno. Bello, comunque, osservare come tutto accada nel sostanziale silenzio-assenso di FIFA e UEFA: gatti di marmo di fronte al dipanarsi degli eventi.

Che poi, se tutto si fermasse ad una Super League finanziariamente dopata che collassa, chissene. Il problema è che in Cina, se scelgono di muoversi, fanno le cose in grande. E quando hanno deciso di puntare sul calcio sono nate decine di migliaia di accademie e scuole calcio che, negli ultimi anni, hanno dato lavoro a tantissimi tecnici e professionisti stranieri. Accademie che hanno accolto migliaia di giovani calciatori (alcuni sradicati dalle proprie zone d’origine) che potrebbero ora trovarsi senza più alcuna prospettiva. Magari, alla pari dei grandi investimenti, verranno anch’essi ricollocati in altre zone del Paese. Dove c’è bisogno di manodopera. Anche questa, sotto il cielo cinese, non sarebbe una grande novità.

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