Verrebbe da dire “giusto così”. La Nazionale italiana di calcio non riesce a qualificarsi ai Mondiali per la seconda edizione consecutiva e questa volta ad eliminare gli Azzurri non ci ha pensato la Svezia (come avvenne nel 2017 ai tempi di Giampiero Ventura CT), squadra non trascendentale ma con una solida tradizione calcistica alle spalle. No, questa volta è stata addirittura la Macedonia del Nord, una selezione di volenterosi mestieranti ottimamente guidati in panchina da Blagoja Milevski, a buttarci fuori. Lo ha fatto, fra l’altro, utilizzando una tattica di gioco spesso adottata in passato senza alcuna vergogna (anzi, facendone un marchio di fabbrica) dalla nostra stessa Nazionale: tutti dietro la linea della palla, difesa ferrea e poi via di contropiede, che tanto prima o poi qualcosa può succedere. Remember il Mundial di Spagna ’82?

Meglio così?

E infatti, al 92′ di gioco, è successo che l’attaccante macedone Trajkovski ha scagliato senza nemmeno troppa convinzione da 25 metri un pallone vagante verso la porta di uno spaesato Donnarumma, che non ha saputo respingere il tiro. La palla si è infilata nell’angolino basso alla sua destra e ha distrutto così ogni velleità azzurra di affrontare Cristiano Ronaldo e soci nella finale del gironcino. Uscire contro di loro, in fondo, ci potesta stare… contro i macedoni non era nemmeno stato preso in considerazione. E invece… invece i nostri ragazzi, pur autori di una prestazione che si potrebbe definire per certi aspetti persino “generosa” (32 i tiri scagliati nei 95′ verso la porta avversaria), non sono riusciti a scalfire il muro avversario. E la frittata nel tempo di recupero (quando forse qualcuno degli uomini di Mancini stava già pensando al supplementare) ha fatto il resto.

Verrebbe da aggiungere al “giusto così” iniziale anche un poco credibile “meglio così”, perché in fondo lo schiaffo che ci ha dato la Svezia a suo tempo a qualcosa ci era servito. O almeno così era sembrato. I nostri rappresentanti pallonari avevano infatti avuto negli anni successivi una vera reazione d’orgoglio, inanellando una sequenza infinita di risultati utili consecutivi e andando soprattutto a vincere un insperato Campionato Europeo. Il quale però, paradossalmente, è stato il punto più alto di questo ciclo e anche ciò che ha frenato quella crescita avviata da Mancini ma non ancora completata. Se l’Italia a quella competizione si fosse magari fermata alle semifinali contro la Spagna si sarebbe parlato alla fine soltanto di una delle tappe del progetto, con l’allenatore marchigiano che avrebbe continuato ad avere dalla sua parte giocatori ancora animati da un senso di urgenza e riscatto. E invece il raggiungimento della coppa europea ad alcuni dev’essere apparsa come la dimostrazione che si era finalmente usciti dal “tunnel” in cui ci eravamo infilati ormai da tempo.

Gli errori del CT

Lo sconsolante periodo post-vittoria, iniziato a settembre con il pareggio casalingo contro la Bulgaria e proseguito con altrettanti pareggi contro Svizzera, che poi ha staccato il biglietto per il Qatar, e Irlanda del Nord, aveva già di suo certificato che quel percorso di crescita si era di fatto interrotto. Pancia piena? Può darsi e forse ci sarebbe voluto più coraggio per portare in azzurro giocatori nuovi, magari giovani e magari molto “affamati”. Invece si è preferito puntare sullo stesso gruppo – a parte qualche elemento a corredo – che però non stava attraversando un buon periodo di forma, a cominciare da giocatori come Insigne, Barella o Jorginho, senza contare i lungodegenti Spinazzola e Chiesa, fra i protagonisti della cavalcata europea. Inoltre la sensazione è che Roberto Mancini abbia inconsciamente voluto preservare le energie di alcuni giocatori (vedasi alla voce Zaniolo, ma non solo) in vista della sfida successiva contro il Portogallo di Cristiano Ronaldo, che infatti si è puntualmente qualificato, pur con qualche difficoltà, superando per 3-1 la Turchia nell’altra semifinale.

Tant’è che si sono visti in campo persino giocatori come Joao Pedro, che diciamocelo chiaramente… in altri momenti mai e poi mai avrebbero potuto indossare la prestigiosa maglia azzurra. Perdendo di vista quello che era l’obiettivo serale e dando per scontata una qualificazione che scontata evidentemente non era, alla fine si è consumato l’ennesimo disastro.

“Rifondare tutto per non rifondare niente”

Errori di selezione e gestione di Mancini a parte, forse questa seconda mancata qualificazione alla massima competizione mondiale di fila dovrebbe farci affermare con ancora più decisione che è finalmente arrivato il momento di rifondare il nostro calcio. Ripartire dai giovani, da vivai da valorizzare, dal coraggio di allenatori che buttano in campo i 18enni, da strutture (stadi, campi di allenamento) degne di questo nome, da dirigenti in grado di promuovere la cultura dello sport non solo nei confronti degli appassionati (lì, in fondo, è facile) ma soprattutto nelle scuole e in generale nella società civile. Insomma, un cambio culturale e di mentalità, che solo i grandi shock (come quello subito ieri sera) possono generare, che servirebbe oggi più che mai.

E invece quello schiaffo ricevuto, che altrove risulterebbe davvero utile, qui da noi verrà assorbito ancora una volta come se niente fosse, come d’altronde è già capitato dopo le eliminazioni al primo turno nel 2010 e 2014 e la mancata qualificazione del 2018. Certo, fiumi di parole di polemiche e analisi su cosa è andato storto, ma poi? Se Mancini si dimetterà verrà quasi sicuramente ingaggiato un allenatore che avrà il compito di dare la scossa (si parla già di Cannavaro con la supervisione di Lippi), si punterà su qualche elemento o schema tattico nuovo e alla prossima occasione (gli Europei del 2024 in Germania) magari l’Italia farà pure una discreta figura, visto che sotto pressione, di solito, riusciamo quasi sempre a tirar fuori il meglio di noi. Ma senza cambi strutturali sarà anche quello l’ennesimo “fuoco di paglia” e si ricadrà dopo poco negli errori (e nei risultati) di sempre.

E via così, in un loop infinito ma con una costante discesa di livello che ci porterà un giorno a celebrare una qualificazione a qualche competizione internazionale come qualcosa di straordinario. Come succede oggi in Scozia o in Grecia o come potrebbe accadere lunedì alla Macedonia del Nord, qualora le riuscisse nel giro di pochi giorni un altro miracolo.

Insomma, per citare il sempre attuale Tomasi di Lampedusa con il suo “Gattopardo”, è arrivato il momento per rifondare tutto per, lo sappiamo fin da ora, non rifondare un bel niente.

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