Ci troviamo in una saletta arredata con tutti materiali di recupero: vecchi lampadari, sedie spaiate e cartelli colorati alle pareti con scritto “Nada para nosotros, todo paratodos”: niente per noi, tutto per tutti. Qui Alberto, uno dei loro collaboratori, ci racconta come è nata Paratodos e soprattutto cosa fa ogni giorno.

Che cos’è Paratodos?

«Paratodos è un contenitore di realtà che si muovono assieme, ma con la loro autonomia: abbiamo dei corsi di pizza per i richiedenti asilo, un corso di italiano legato alla scuola di italiano Moussa Balde, un corso di teatro, ed inoltre sono stati creati una scuola di tango e il progetto SOS spesa.

Saletta dello stabile di Paratodos

Condividiamo poi lo spazio con il sindacato ADL Cobas e la falegnameria ‘Resistente’, con i quali spesso condividiamo le lotte politiche o firmano i nostri manifesti. Per dare un’idea di come tutte queste realtà siano legate, la questione dei dormitori nacque dalla scuola d’italiano. I ragazzi un giorno si presentarono a scuola con un foglio dato dai dormitori e con scritto che dal giorno seguente avrebbero dovuto trovare un’altra sistemazione.

Quindi Paratodos non è definibile, è un organismo in continua evoluzione ed espansione. Ha i suoi alti e bassi, però è sempre in movimento, difatti un altro nostro motto è ʺCamminare domandandoʺ».

Camminare domandando

Da dove deriva il nome?

«Il nome Paratodos è di ispirazione zapatista, cioè legato a tutto quello che è successo e sta succedendo in Chiapas. Paratodos significa per tutti, difatti uno dei nostri motti è «Nada para nosotros, todo paratodos».

Nada para nosotros, todo paratodos

Siete dunque molto legati alla realtà politica?

«Paratodos è prima di tutto una realtà politica, con l’accezione che diamo noi alla parola ‘politica’. Noi come persone e cittadini siamo stati espropriati del nostro significato politico e soprattutto per noi il significato politico non è assimilabile al partito: noi non siamo e non vogliamo essere legati a nessun partito. La nostra concezione di politica è vivere il tempo che stiamo vivendo ed essere responsabili: quello che sta succedendo adesso è anche responsabilità nostra ed è orribile.»

I vostri partner hanno mai pagato le conseguenze delle vostre azioni politiche?

«Certo, per esempio la falegnameria ci ha affiancato in una protesta davanti alla questura e prefettura per delle pratiche di rilascio dei documenti non accettabili e il giorno successivo ha ricevuto sia un controllo dalla guardia di finanza che dell’ispettorato del lavoro.»

Come è nata l’idea?

«Noi nasciamo dopo la campagna per i profughi della Balkan Route. Inizialmente si trattava dell’iniziativa Over the Fortress quando i confini fra gli stati della rotta balcanica erano ancora aperti: si trattava di supportare i migranti con beni materiali, generatori e viveri durante il loro cammino.

Presidio per l’emergenza abitativa del 5 febbraio 2022 (profilo ig: @laboratorioauto.paratodos)

Poi da quando l’Ungheria per prima ha chiuso i confini, si sono creati i campi profughi. Lì abbiamo visto la vera faccia dell’“Europa accogliente”. Io ho ben presente nei miei occhi l’immagine del campo profughi di Idomeni, al confine tra Grecia e Ungheria. C’era una linea ferroviaria molto importante per la rotta commerciale, per la quale tentavano di passare i migranti, così fu realizzato un cancello che dopo il passaggio del treno veniva chiuso. Ad ogni tentavo dei migranti di passare i soldati rispondevano con pestaggi e lacrimogeni per far chiudere il passaggio alle persone. Non volevamo essere complici di tutto questo. Quelle azioni avevano la firma di noi come italiani, di noi come europei e di noi come bianchi.»

Dunque voi più che avere degli obiettivi avete degli ideali per cui lottate ogni giorno…

«Esatto, noi abbiamo degli ideali per cui combattiamo ogni giorno e che fanno parte di un’idea di mondo difficile da spiegare. Potremmo dire che vediamo la vita come un’idea di condivisione molto grande, anche perché è in evoluzione, noi “camminiamo domandando” anche se sappiamo che c’è bisogno di risposte.

Di conseguenza, crediamo nel fare collettivo e che nessuno si salva da solo, se ti salvi da solo è perché sei un privilegiato e perché stai togliendo qualcosa a qualcun altro. Collettività significa fare le cose assieme e da un’intelligenza collettiva possono nascere tante nuove situazioni.

L’occupazione, per esempio, è nata dall’intelligenza collettiva: di fronte al problema delle non risposte delle istituzioni si è deciso di diventare istituzioni e dare una risposta illegale. Anche se l’immobile in questione, il Ghibellin Fuggiasco, si trattava di uno stabile vuoto abitato dai topi, per noi rimane pur sempre un atto illegale, del quale affronteremo coscienziosamente le conseguenze, anche se sta risolvendo un problema a 30 persone.»

Non avete ricevuto sostegno da parte del Comune o altri enti?

«Non solo non abbiamo visto un sostegno, ma le istituzioni non si sono poste neanche il problema. In uno stato ideale le istituzioni dovrebbero interrogarsi sui problemi e cercare delle soluzioni per risolverle, e noi abbiamo provato per 2 anni a porre il punto di domanda. Abbiamo organizzato un’agorà pubblica dopo i primi sfratti dai dormitori e mantenuto costantemente un rapporto con la scorsa amministrazione comunale per portare queste istanze, ma quello che abbiamo ricevuto sono state parole.

Per esempio, un mese dopo l’inizio della pandemia abbiamo organizzato il progetto SOS spesa, perché alcuni di noi e tante altre persone non avevamo più da mangiare. Poi questo progetto è continuato perché salva furgoni di cibo dalla spazzatura e per due anni abbiamo continuato a fare richiesta al comune di avere uno spazio apposito per stoccare e lavorare il cibo. Solo 3 mesi fa il comune ha comunicato di non poterci aiutare, dopo aver fatto molte promesse.»

Ma con il nuovo sindaco Damiano Tommasi vedete qualche barlume di luce in più o è proprio il sistema in generale che non funziona?

«Per mia opinione personale il barlume lo vediamo quando c’è la pratica. D’altra parte, abbiamo già mandato una lettera dove segnaliamo una serie di problematiche e fatto una richiesta ufficiale con degli avvocati al responsabile dell’ufficio anagrafe per ottenere la residenza per i ragazzi che abitano il Ghibellin Fuggiasco. Noi di parole non viviamo, anche se sicuramente siamo contenti di non vedere più i fasci in consiglio comunale, perché sono una cosa ignobile.»

Come ha accolto l’iniziativa la cittadinanza? Le persone dalla zona contribuiscono attivamente?

«Alcuni ci vedono in maniera strana, ma si sono anche ricreduti e adesso fanno parte di qualche attività. Siamo riusciti a creare un bel rapporto con il territorio, difatti varie attività si basano anche sulla relazione con altre realtà e singoli cittadini. Del resto non possiamo pensare di fare politica senza un rapporto con la cittadinanza. Uno dei nostri obiettivi è aprirsi, anche perché chi arriva porta nuove idee, punti di vista e confronto. Ci piace farci attraversare

In che contesto è nato il nome della casa occupata il “Ghibellin fuggiasco”?

«Alessandro Anderloni, attore e un nostro grande amico, per l’anniversario di Dante realizzò uno spettacolo nel nostro cortile, mentre noi stavamo affrontando il discorso dell’occupazione, così il collegamento è stato immediato. Con questo nome si vuole anche dire alla città di Verona, spesso vista come non accogliente, che in passato con Dante non è stato così. Il poeta era stato bandito da Firenze per le sue idee politiche e si è rifugiato qui a Verona. Di ghibellini fuggiaschi ne è pieno il mondo e la cultura dell’accoglienza è una cosa di cui ci dobbiamo riappropriare.»

Che progetti avete per il futuro?

«Abbiamo già parecchie cose che bollono in pentola: il progetto SOS spesa, le vertenze sindacali con la logistica, la questione sul diritto all’abitare. Difatti noi abbiamo occupato queste case ma ci servirebbero altri posti: abbiamo già una lista di 15 persone in attesa, mandate anche in via non ufficiale dalla questura e prefettura, perché c’è un vuoto totale da questo punto di vista.

Locandina del Festival (profilo ig: @laboratorioauto.paratodos)

Continueremo a fare presidi anti-sfratto e organizzare colazioni anti-sfratto per resistere. Verona ha 1000 casi di sfratto aperti e circa 600 case di gestione comunale vuote, che per mancanza di piccoli lavori non vengono usate. La residenza, del resto, è la chiave del nostro sistema amministrativo: a causa della mancanza di residenza tantissime persone hanno i permessi di soggiorno e i contratti di lavoro bloccati, inoltre una persona può possedere una tessera sanitaria solo se ha la residenza

Infine stiamo organizzando un festival per la penultima settimana di settembre, perché lo spazio ha delle spese: affitto tutti i mesi, le bollette, ora assieme anche a quelle della casa occupata. I soldi al momento sono un problema, perché nessuno di noi viene pagato e siamo tutti attivisti che hanno almeno un secondo lavoro.

Concludendo, Paratodos invita tutti a passare a trovarli, soprattutto da settembre in poi quando le iniziative riprenderanno più serratamente. La porta è sempre aperta

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