Il buon punto, per chi vive il calcio con la passione bruciante del tifoso, non esiste al termine dei novanta minuti. Esiste la gioia per il pareggio strappato all’ultimo secondo che rovina la festa agli avversari. Esiste il sospiro di sollievo per la promozione, la salvezza o il passaggio del turno conquistato con un pareggio sofferto, esiste persino la soddisfazione per il traguardo negato a un rivale grazie a un orribile zero a zero catenacciaro. Ma il buon punto, sugli spalti e sui divani, non ha diritto di cittadinanza. 

Per il tifoso il buon punto è un concetto astratto, un sostegno psicologico per gestire i timori del pre-partita – « Firmerei per un pareggio » – o per superare la mezza delusione del giorno dopo, «Alla fine, è un buon punto». Un modo come un altro per digerire la partita e prepararsi per la prossima. 

Il buon punto è un fatto privato, dunque. Ognuno lo vive a modo proprio e lo chiama in causa quando preferisce. Un punto a Roma è sempre un risultato da tenere stretto? Anche con una rimonta dal due a zero? O forse sono due punti buttati. Questioni di lana caprina.

Se il calcio è fatto di emozioni, quel che conta è l’esaltazione per un Verona che gioca da grande squadra, la rabbia per per due gol subiti esattamente allo stesso modo, la delusione per i cambi che non incidono e la fame di vittoria da placare in casa col Venezia al prossimo turno.

Giocare da grande squadra, per quel che si è visto nel primo tempo di Roma Verona, è forse riduttivo per la squadra di Tudor. L’Hellas ha messo in campo una dose di qualità e intensità che in Italia si vedono raramente anche tra i primi della classe. La tecnica individuale, il gioco a memoria sulle ripartenze, l’alternanza offensiva tra azioni sugli esterni e verticalizzazioni, lo schema perfetto sul primo gol. Così si gioca in Europa, così si gioca in Premier League.

Hellas in trance, Roma schiacciata

Preso da un estasi competitiva, il Verona ha spinto e ha spinto ancora, ha pressato e morso le caviglie, ha lasciato spazi di ripartenza anche avanti di due gol, perché tanto dietro c’è sempre Gunter e, mal che vada, Darko torna, si fa sessanta metri e lo acchiappa.

Ha bruciato in preda all’ubris anche l’ultima goccia di carburante. 

Simeone si fa annullare il terzo, la squadra vuole farlo segnare, si vede e fa bene al gruppo. Però prima o poi la stanchezza arriva: la Roma martella sulle gambe e il metro di Pairetto è incomprensibile a tutti. Arrivano i crampi e i giocatori di Mourinho sentono l’ossigeno entrargli nel naso. Quando Tameze non riesce a raggiungere Zalewski, Tudor capisce che l’Hellas è nei guai. 

È l’ora delle scelte e delle scommesse. Casale è ammonito, Tameze ha finito la benzina, Caprari e Simeone hanno corso per quattro. E allora il mister gialloblù si fida della sua panchina: Bessa in mezzo accanto a Ilic, De Paoli esterno e Faraoni basso, Retsos a puntellare la difesa. Se il Verona si abbassa un po’ la Roma alzerà il baricentro, e negli spazi dietro sarà la velocità di Lasagna a punire Mourinho. Sulla carta funziona. Peccato che il campo dell’Olimpico sia fatto d’erba.

Questa volta le scommesse Tudor le ha perse tutte, c’è poco da dire. Bessa non ha reso come spesso fa, ha responsabilità pesanti su entrambi i gol presi e non porta il necessario peso al centrocampo con Ilic. Il baricentro abbassato del Verona dà solo fiato e fiducia ai ragazzini della Roma e Lasagna, se lasciato solo, è l’epitome dell’inutilità.

Lasagna delude, ci sono alternative? 

L’attaccante gialloblù preso nel giro palla della difesa romanista non spinge, non pressa, non corre. Mostra una timidezza disarmante nei contrasti e un’involuzione preoccupante rispetto a qualche settimana fa. Purtroppo non è facile trovare la collocazione giusta per sfruttare a pieno le sue qualità e così Lasagna, tra i mastini, si trova come Balto, il disadattato cane da slitta: non è punta, non è esterno, sa soltanto quello che non è.

Ovviamente la necessità di mettere una seconda punta come l’ex Udinese a fare reparto da solo solleva molti interrogativi sulla scelta di lasciar andare, e di non sostituire, un’alternativa importante come Kalinic. Ma è inutile piangere sul latte versato.

Quel che resta della trasferta romana è l’ennesima dose di fiducia per questo gruppo di uomini straordinari, qualche considerazione sulla gestione delle partite da parte di Tudor e una voglia indomabile di aggredire il resto di questo campionato esaltante.

E un buon punto, forse. 

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