Lo stanno scoprendo adesso negli Stati Uniti. Infatti Gianni Rodari in lingua inglese praticamente è sconosciuto, però recentemente la casa editrice newyorkese Enchanted Lion Books ha pubblicato le sue Favole al telefono, con il titolo di Telephone tales illustrate dall’italiano Valerio Vidali (appena messe in vendita e già andate a ruba). Ne scrive il New Yorker in un articolato pezzo uscito il 7 dicembre, a dimostrazione che l’opera rodariana non finisce di stupire.

Il centenario dalla nascita che ricorre quest’anno – esattamente il 23 ottobre – trova un’Italia molto diversa dai tempi in cui Rodari scriveva, da intellettuale, contro una società autoritaria e una scuola che non aveva ancora messo al centro del suo agire il bambino. Oggi le sue filastrocche si trovano sui libri di testo, i teatri propongono i suoi lavori editoriali nelle produzioni per l’infanzia, ma anche per gli adulti non mancano proposte di giochi linguistici, come fa da tempo a Verona la Fondazione Aida (che recentemente ha ideato un corso “Per giocare con Rodari”, pensato proprio alla funzione creatrice della lingua).

Ed è proprio da un dialogo con il direttore artistico Pino Costalunga che emerge tutta la vivacità della produzione di Rodari. «Sono arrivato ai suoi libri che ero già grandicello, ho fatto le elementari negli anni Sessanta, lui stava ancora scrivendo i suoi testi e non entravano ancora nelle scuole – afferma Costalunga -. Ho capito subito però che c’era un potenziale straordinario, finalmente la letteratura per l’infanzia usciva dalla nicchia.»

Cosa c’è di grande nella scrittura di Rodari?

«Innanzitutto non si pone come un insegnante che considera il bambino una testa da riempire. Lui si mette a fianco dei più piccoli, però parla con serietà, con rispetto verso giovani persone capaci di pensare e di elaborare i messaggi. Prima di lui solo la grande rivoluzionaria Astrid Lindgren, “mamma” di Pippi Calzelunghe, aveva capovolto l’approccio all’infanzia.»  

E poi ci sono i testi per il teatro…

«In quello per ragazzi non si può prescindere da Rodari. Ci sono anche altri poeti che scrivono per i più piccoli, come Toti Scialoja, Bruno Tognolini, Roberto Piumini, tutti degni eredi di un maestro che ha insegnato un modo nuovo di raccontare le storie, che parlano di problemi assolutamente contemporanei.

Una scena tratta da C’era due volte il barone Lamberto

Eppure i temi trattati sono propri del tempo in cui lui scriveva, quegli anni Sessanta del boom economico ma anche della ricerca di un’identità nazionale post bellica…

«Nonostante in qualche passaggio di poesie e racconti si possa sentire che sono stati scritti anni fa, con un linguaggio non sempre dei nostri tempi, Rodari affronta temi importanti come la giustizia sociale, l’uguaglianza, il rispetto degli altri, argomenti che non invecchiano mai. E il suo lavoro è sempre accolto molto bene per la capacità di parlare a tutti. I testi hanno tante chiavi di lettura, anche l’adulto trova dei significati, perché lui non banalizzava mai le cose, scriveva sempre con profondità al di là del gioco e dello scherzo.»

Imparare a giocare con le parole serve anche agli adulti?

«Certo! Il corso che abbiamo proposto era destinato proprio a loro, insegnanti, educatori, ma anche a chi voglia acquisire dei trucchi per costruire filastrocche, lavorando a imitarne lo stile, tra rime, assonanze, ritmi. Si può giocare con le parole in maniera seria, specialmente oggi che il linguaggio è maltrattato. Per farlo bisogna avere chiari i significati delle parole. E si può ricorrere anche ad altre lingue per sperimentare “la lingua inventata”. È una cosa che mi diverte molto, dato che mi occupo anche di traduzione dallo svedese. Pure i dialetti possono dare molto.»

Scusi, perché proprio lo svedese?

«Tantissimi anni fa per caso capitai in Svezia con uno spettacolo teatrale per adulti, mi chiesero poi di tenere corsi di commedia dell’arte e quindi di produrre teatro per bambini. Cominciai così a leggere, studiare, ascoltare la lingua, l’ho usata anche nella recitazione. Pensavo che sarei rimasto a lavorare, ho pure fatto delle regie. Adesso è un Paese che frequento spesso, una seconda casa in qualche modo.»

E che approccio c’è in Svezia all’educazione alla lettura, al teatro per bambini?

«Hanno grande attenzione a questi aspetti già a livello statale. Chi lavora in questo ambito beneficia di investimenti economici. Ti sovvenzionano anche come traduttore di libri e il sistema educativo è molto interessante. C’è più rispetto per la cultura.

Rodari se potesse confrontare Svezia e Italia non avrebbe forse dubbi su dove si sia realizzata la sua idea di scuola e attenzione all’infanzia…

«Pensi che i primi corsi tenuti per insegnanti in Italia furono organizzati dal pedagogista Loris Malaguzzi, colui che in Emilia Romagna inventò il metodo oggi chiamato “Reggio Emilia” delle scuole materne statali (Rodari dedicherà la sua Grammatica della fantasia per questa ragione alla città di Reggio Emilia, ndr). In Svezia il suo metodo ha avuto un successo clamoroso. Fatalità quest’anno è il centenario pure di Malaguzzi, non ha avuto gli stessi tributi, però.»

C’è un testo che ogni volta le dà nuove idee quando lo legge?

«Innanzitutto le filastrocche, seguono i racconti brevi come le Favole al telefono, però il primo libro che credo di aver letto è C’era due volte il barone Lamberto, è sempre una felicità leggerlo e metterlo in scena.»

Un’altra scena tratta da C’era due volte il barone Lamberto

L’Italia di Rodari era molto diversa, erano anni in cui c’era bisogno di allontanarsi dal modello del fascismo, che aveva imposto un orizzonte culturale chiuso e autarchico. E oggi il Paese vive una fase in cui dovrebbe cambiare pelle: gli adulti non sono in grado di dare certezze, si fatica a comprendere il reale. Che senso può avere tornare a teatro, coltivare la lettura, l’immaginazione?

«La situazione è grave e brutta. Penso sia fondamentale innanzitutto coltivarsi per entrare in un mondo fantastico che ci sottragga un po’ alle angosce, dia armi profonde di difesa. Se arricchisci il linguaggio, i sentimenti con la lettura e il teatro, che sono arti lente, ti fanno pensare, ragionare, la mente funziona meglio e ti difendi dalle incertezze. Anch’io mi sento perso, però leggo tanto e sento che mi aiuta, sebbene non sia affatto semplice.»

Un tema su cui Rodari anche oggi scriverebbe è la perdita di coesione sociale: ci contrapponiamo tra fazioni, che si tratti di negazionisti, filogovernativi, salviniani, no-vax. Idealmente ci si tira sassi da mattina a sera…

«Sentirsi parte della collettività e stare dalla parte delle fragilità sociali era trasversale nella scrittura di Rodari. Oggi siamo intolleranti, non ci mettiamo in discussione rispetto a ciò che va contro al nostro modo di pensare. Rodari invece è denso di tolleranza, che non significa accettare acriticamente, ma capire che non c’è solo il bianco e il nero, e che gli errori sono dovuti spesso a mancanza di conoscenza. In realtà, siamo tutti adulti spiazzati. Magari questi libri ci danno una mano.»