Ai tempi dei Mondiali in Corea, un po’ di anni fa, quanti tifosi veronesi hanno gridato così? E se quell’incitamento risuonasse di nuovo, nelle nostre strade, per le prossime elezioni? Fantapolitica? Piano. Allarghiamo lo zoom. Il dopo Quirinale ha lasciato macerie, nel centrodestra. Tutti contro tutti. Salvini lancia una federazione repubblicana, non si capisce se assieme alla destra (con la quale condivide il dna); o col centro (contro il quale produce istintivamente anticorpi). Berlusconi, il vero sconfitto, finge che nulla sia successo – gli rimangono pur sempre un sacco di soldi e metà media nazionali – e vorrebbe rimettere in fila tutti quanti come ai vecchi tempi, con Forza Italia che traina, da forza moderata, gli altri due discoli. Come se avesse ancora i voti, oltre che un futuro. Una barzelletta. Metà dei suoi parlamentari, al Quirinale, avrebbero affossato anche lui, esattamente come la Casellati. Non possono dirlo, ma il format di Arcore è morto e defunto. Se i leader di Forza Italia non iniziano a ragionare in  termini post-berlusconiani – inventandosi un ruolo politico che prescinda dagli interessi e dai frusti schemi mentali del cavaliere – la loro fine è certa.

Il processo di estinzione del moderatismo scaligero: da Castelletti a Tosi

A Verona il fenomeno è in corso di svolgimento da alcuni anni e l’estinzione di Forza Italia – 3,4% di voti nel 2017 –  se non succede nulla, è imminente. Volendo fissare una data, lo sgretolamento inizia nel 2012.

Luigi Castelletti

Quell’anno, in un sussulto di lungimiranza, i berlusconiani scaligeri avevano investito sulla prestigiosa candidatura di Luigi Castelletti: avvocato, già presidente della Fiera, molto competente, un vero professionista imprestato alla politica. Il senso della operazione era stato quello di arginare, saggiamente, la deriva leghista-nero-populista che aveva portato a Palazzo Barbieri il primo Flavio Tosi. Che c’entravano gli eredi dell’illustre doroteismo locale con quella generazione di giovani prepotenti che flirtavano con il neofascismo, aizzavano i peggiori umori xenofobi e riciclavano alcuni residui della post-tangentopoli locale? Appunto: nulla. Ma i buoi erano già scappati. Come combattere senza truppe? L’idea implicava l’esistenza di un ampio serbatoio di voti disponibile al centro dello schieramento, che invece era stato ormai risucchiato dalle sirene leghiste e tosiane.

Il risultato? 8,8% contro il trionfante 57% di Flavio Tosi. Già allora, investire sull’avv. Castelletti avrebbe presupposto una lettura degli equilibri politici cittadini coraggiosamente diversa. Perché su quest’ultimo si potesse costruire un progetto politico serio, in grado di contrastare il declino estremistico della città, sarebbe stata necessaria una alleanza strategica con le forze di centrosinistra. Le quali, a loro volta, avrebbero dovuto acquisire piena consapevolezza che a Verona solo un candidato “moderato”, empatico con gli umori profondi della città, avrebbe potuto vincere e governare. Qualcosa allora si cercò di fare, in tal senso, ma i tempi, evidentemente, non erano maturi né per gli uni, né per gli altri.

Un candidato moderato per Verona

E oggi? A Palermo, Forza Italia, parte della quale in rotta con l’attuale governatore di destra, sta dialogando con il Pd in vista di nuovi equilibri. L’idea è quella di emarginare le estreme e convergere su un candidato di centro. Vedremo. A Verona, un candidato di centro c’è già e si chiama Damiano Tommasi.

Per formazione, principi, storia personale, relazioni e scelte professionali  – quelle attuali – Tommasi è un candidato ideale delle forze moderate cittadine. Non si creda che a sinistra, almeno in quella parte che da anni cincischia tra moralismo e testimonianza, siano stati pochi i mali di pancia, quando si profilò questo nome. La scelta, in realtà, è stata perfetta. Lo sanno tutti che Tommasi, proprio per essere, oltre che autorevole e popolare, un candidato della sinistra non di sinistra, arriverà senz’altro al ballottaggio. E dopo? Tutto potrebbe diventare un terno al lotto basato sugli sgambetti reciproci degli elettori filotosiani e filosboariniani: votare comunque a destra o contro quello più antipatico? A meno che Tommasi non sia in grado, nei prossimi tre mesi, di  investire con decisione nell’elettorato di centro, specialmente quello che non vota, trasformando le colossali contraddizioni delle destre veronesi in un’occasione di rilancio di quell’area politica. Ma come?

Tommasi, Forza Italia, Tosi

In questa chiave, il candidato Damiano Tommasi e Forza Italia potrebbero scoprire di avere degli evidenti interessi in comune. Il primo troverebbe una stampella elettorale forse decisiva per diventare sindaco; la seconda recupererebbe un ruolo strategico perso da anni, mettendo le basi per riannodare i fili con i gangli vitali della città. Altre opzioni? Per i destini di Forza Italia non le vediamo. Si è ventilato l’appoggio a Flavio Tosi, in questi giorni, fin da subito. Il fatto è che la parabola di Tosi non c’entra nulla con il moderatismo veronese. La sua rottura del 2015 con Matteo Salvini e Luca Zaia (non dimentichiamolo: con il leghista cattivo, ma anche con quello buono), nasce sul terreno della competizione per il potere, non delle posizioni politiche o dei principi.

Appoggiarlo al primo turno, per Forza Italia, sarebbe una decisione che non avrebbe alcun respiro politico, se non quello di manifestare una rivalsa contro la presunta arroganza sboariniana. Troppo abile e spregiudicato, Flavio Tosi, per non risucchiare a proprio vantaggio i resti di quell’elettorato facendolo sparire per sempre.

Ferro: “Un Draghi per Verona”

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Massimo Ferro

Se Forza Italia vorrà ancora segnare la storia politica di questa città, dovrebbe trasformare queste elezioni in un processo costituente del moderatismo veronese. Lo strumento ideale sarebbe una lista propria, con un candidato di bandiera autorevole, dei nomi innovativi, alcuni punti programmatici ben confezionati sulle esigenze nodali della città e il coraggio di farsi contare dagli elettori, per poi negoziare con il candidato più moderato ed affidabile le ragioni del suo appoggio al ballottaggio.

Ma sarebbe un’operazione assai interessante anche l’appoggio dall’esterno, per così dire, concordando pubblicamente con il candidato del centrosinistra il perseguimento di alcuni obiettivi amministrativi.


Il senatore Ferro, già alcuni mesi fa, invitò le litigiose forze politiche veronesi ad uno sforzo di lungimiranza, invitandole ad individuare, per il bene della città, un “Draghi” per Verona. E se ce lo avesse davanti agli occhi?

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