Dal 25 al 28 novembre la mostra itinerante “Com’eri vestita?” è tornata a Verona. Promossa dall’associazione “Isolina e…” e allestita nel Palazzo della Gran Guardia, ha esposto al pubblico pannelli a cui erano appesi abiti femminili di tutti i giorni, accompagnati dalle storie di violenza che li hanno resi protagonisti.

Storie di donne di ogni età e ceto sociale, accomunate dall’aver subito violenza da parte di parenti, amici, colleghi. E quella domanda, “com’eri vestita?” quasi a sottintendere che la colpa non è nello stupro, ma nella natura dell’essere donna. 

«La mostra – ha spiegato Maria Mazzi, presidente dell’associazione promotrice dell’evento – scardina i pregiudizi e stereotipi che possiamo avere, perché evidenzia come gli episodi di violenza si possono verificare nelle situazioni più disparate, anche le più comuni, con abiti che tutte noi possiamo avere negli armadi, che indossiamo per uscire, per lavorare, per andare a correre.»

A fianco dell’associazione veronese anche Amnesty International: «Abbiamo iniziato da poco tempo la collaborazione con Amnesty International che ha lanciato la campagna “Io lo chiedo” per introdurre nella legislazione italiana il tema del consenso, già presente nella legislazione europea e in altri Paesi, ancora assente in Italia e cruciale nelle relazioni tra uomini e donne.»

Il tema della violenza sulle donne va infatti eradicato con la cultura e l’educazione al rispetto dell’altro. I giovani che vengono a vedere l’esposizione – spiega ancora Mazzi – «sentono questi racconti come molto duri, eppure sono di ordinaria violenza e questo ci fa capire quanto ci sia bisogno di parlare di questi temi nelle scuole e di insegnare ad esprimere le proprie emozioni. Si tratta di situazioni che se non emergono, possono portare ad una distorsione nelle relazioni tra uomini e donne.»

L’iniziativa nasce da una poesia scritta da un’autrice americana, ripresa poi da due università dell’Arkansas che ne hanno tratto spunto. In seguito la mostra è stata portata in Italia da Libere Sinergie di Milano che ha introdotto dei testi nuovi sulle storie raccolte nei centri anti violenza. Sono storie vere e abiti che riproducono fedelmente come le donne delle storie erano vestite.

Inaugurata giovedì scorso con la lettura delle storie esposte, l’esposizione si è chiusa domenica alle 17 con la lettura da parte di alcune donne provenienti dall’Afghanistan perché “dove ogni donna è oppressa e subisce violenza, tutte noi subiamo violenza” ha concluso Maria Mazzi.

«Il problema – riassume il vicepresidente dell’associazione Roberto Leone – è il modello maschile e la società maschilista, che portano a comportamenti terribili come stupri e femminicidi, ma anche a situazioni forse meno gravi ma ugualmente rilevanti, come le molestie. Ancora oggi le donne non sono considerate allo stesso livello degli uomini, ad esempio a livello stipendiale».

«Sono stati fatti passi avanti in questo senso, ma ancora non è stato individuato un modello diverso, perché come uomini – ha proseguito il numero due di “Isolina e…” – dovremmo riuscire a cambiare atteggiamento assieme alle donne entrando in relazione con loro, per vivere delle relazioni tranquille in modo rispettoso. Credo che la figura paterna in particolare dovrebbe trasmettere i valori, il rispetto prima di tutto verso le altre persone con cui si entra in contatto».

«Tutto ciò che la nostra legislazione ha recepito – ha incalzato Maria Isolina Mazzi – non ha portato a una diminuzione dei femminicidi. La nostra non é una società particolarmente violenta, gli omicidi sono in calo, i femminicidi no. Questo significa che dobbiamo prendere seriamente questo tema e andare a vedere nei gangli di collegamento tra i vari soggetti che devono essere coinvolti nel supporto alle donne per evitare che ci siano dei buchi. È in questi buchi che le donne muoiono e non possiamo permettercelo».

Inevitabile trovare un collegamento con la cultura della discriminazione, che ha portato ad affossare la proposta del ddl Zan: «Se su molti temi si fanno contrapposizioni ideologiche, come l’omosessualità, sul tema femminicidio la cultura in Italia è abbastanza trasversale, sopratutto per merito delle donne. Il sito di In quanto donna, che ha sempre pubblicato le storie di soprusi e femminicidi, quest’anno si è rifiutato di aggiornare e discutere questi dati per protesta. Se abbiamo più di cento donne morte, dobbiamo farcene carico».

Un modo per combattere in modo efficace la cultura della violenza è mettere la donna al centro: «Serve l’assistenza medica specifica, ma anche il personale di assistenza sociale e le forze dell’ordine, insieme con avvocati e magistrati , per fornire supporto e prevenzione contro la violenza» ha concluso la Mazzi.

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