Verona e la pallavolo. Un rapporto importante, di affetto e partecipazione verso la propria prima squadra maschile, ma anche fatto di tantissimi praticanti. Un fenomeno per certi versi singolare se pensiamo che la nostra città non è mai stata storicamente una vera e propria culla del volley quanto l’Emilia-Romagna, per citare una terra su tutte. Nemmeno è mai stata un centro di formazione giovanile d’eccellenza come, riferendoci alla nostra Regione, hanno saputo essere, ad esempio, Treviso in campo maschile e San Donà di Piave in quello femminile, ancora oggi bravi a proseguire nella loro strutturata progettualità.

Verona è, in ogni caso, un territorio dove si pratica e gioca molto a pallavolo, non solo all’interno dei percorsi previsti dalla Fipav, ma anche dai vari enti di promozione sportiva. Sembra quasi una naturale forma di contrapposizione alla significativa e secolare invadenza del calcio in città, vedasi le tre squadre militanti in campionati professionistici – fino allo scorso anno – o del basket negli anni d’oro della Scaligera Basket.
La storica tendenza del movimento pallavolistico veronese è però stata quella di rivolgere più lo sguardo verso l’attività ludico ricreativa e quella di medio livello, più che mirare all’eccellenza del vertice del movimento. Lo dicono numeri e statistiche degli ultimi trent’anni in cui di rado Verona ha portato suoi cittadini nell’elite della pallavolo, sia come atleti che come allenatori o altri addetti ai lavori. Viceversa, ha sempre proposto ottimi numeri in quanto a tesserati, specie se paragonati ad altre province d’Italia, comparabili per popolazione.
Le cause di ciò possono essere le più varie, in primis il fatto che l’imprenditoria locale ha sempre prediletto il calcio che – è giusto precisarlo – è del tutto evidente quanto a Verona sia capace di richiamare l’attenzione mediatica e di coinvolgere la cittadinanza come nessun altro evento sportivo.

Per sviluppare eccellenze non episodiche non è però sufficiente solo un alto numero di praticanti, ma rimane essenziale che si crei una sorta di distretto, considerazione ancora più vera in uno sport come la pallavolo dove l’Italia è al top mondiale e in cui la concorrenza in ambito nazionale è davvero forte. Perché ciò accada, oltre che del terreno fertile, e a Verona ci sarebbe, c’è bisogno di investimenti iniziali cospicui che consentano, per un orizzonte temporale sufficientemente lungo, di “portarsi a casa” il meglio a livello di competenze tecniche e organizzative, necessario poi a sviluppare il movimento e a diffondere qualità tra gli appassionati e gli addetti ai lavori.
A Verona, in tal senso, nella pallavolo non c’è mai stata una vera e propria età dorata, utile al territorio per accrescere non solo i tesserati, ma anche per perseguire l’eccellenza.

Inquadrato il contesto, andiamo a vedere la composizione del movimento attuale. Una sorta di fotografia del territorio nella stagione in corso, utile a capire come sta andando, specie in un periodo particolarmente critico come quello della pandemia, in cui disaffezione e abbandono hanno visto coinvolte tutte le principali discipline sportive praticate al coperto.
 
Settore femminile
Sono ormai passati una decina d’anni dal Verona Volley femminile, ultima presenza nelle massime serie a tutti gli effetti veronese, all’epoca in A2. Da lì in poi più nulla. Il movimento però rimane quantitativamente ben rappresentato nelle serie minori. Due sono infatti le B1 femminili, Arena Volley Team di Castel d’Azzano, alla settima presenza consecutiva nella categoria, e Isuzu Cerea, società neopromossa che da diversi anni è ospite fisso nelle B nazionali. Cinque sono invece le B2, Spakka Volley Villabartolomea, Orotig Peschiera, Volley Belladelli, Igevo Verona e Vidata Verona, le ultime due presenti con compagini giovanili.
Scendendo nelle categorie regionali, la presenza di squadre veronesi è ancora più consistente con tre serie C e 12 serie D.
È però il movimento giovanile che rappresenta il vero stato di salute di ogni singola disciplina in un territorio. A Verona, pur nell’improvvisa perdita di circa un quarto delle squadre tra pre e post Covid, ci sono segnali di tenuta delle tesserate e il numero totale di formazioni femminili al via dei campionati di categoria nella fascia under 13/under 18 rimane ben superiore alle 100 unità, seppur non vada trascurato che cinque anni fa le squadre giovanili femminili ammontavano a 160 unità, 42 più di oggi. Cala dunque, ma regge l’urto pandemico, il movimento che quest’anno forse sconta più le questioni legate ai protocolli e al green pass nella fascia di età di avviamento all’attività agonistica che una concreta difficoltà di reclutamento.

*per l’anno 20/21, causa pandemia, le categorie sono da intendersi “slittate” di un anno

Settore maschile
Sconfortante è invece la tendenza della pallavolo maschile, nella quale, occorre dirlo, Verona non è eccezione rispetto agli altri territori nazionali. I fasti degli anni Novanta, caratterizzati dall’epopea della nazionale dei fenomeni, vedevano un reclutamento costante e naturale. Oggi è impensabile ritornare a quel contesto. Forse, a distanza di anni, si può dire che quella fase non sia stata sfruttata al meglio per consolidare il movimento, ma certamente le grandi vittorie e i campioni alimentano solo per pochi anni la loro disciplina e i cicli sono per certi versi inevitabili.
A livello territoriale, ormai da alcune stagioni, i numeri non supportano l’attività su base provinciale. Ecco allora che l’unica possibilità è quella di unire le poche squadre giovanili di più territori limitrofi per garantire la disputa di campionati con un numero sufficiente di partecipanti tali da avere un minimo di valore sportivo. Il movimento è però vicino al superamento verso il basso della soglia di attenzione, quella “massa critica” sotto alla quale accelera ulteriormente la disaffezione e diventa impossibile per le società programmare una qualunque attività strutturata. Il medio livello presenta ancora 5 serie D, due serie C e due B veronesi (Volley Cavaion e Arredopark Dual Caselle), ma il prossimo decennio appare davvero buio, date le difficoltà già appariscenti nel ricambio generazionale e nel reclutamento.


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