Anche nel veronese, +Europa è reduce da un’estate impegnativa sul fronte referendario: il partito guidato da Benedetto Della Vedova ed Emma Bonino, infatti, è tra le poche forze politiche ad aver appoggiato ufficialmente la raccolta firme per i referendum su eutanasia e cannabis, oltre ai sei quesiti sulla giustizia promossi dal Partito Radicale e dalla Lega.

Assieme a Lorenzo Dalai, coordinatore provinciale del partito, proviamo a tirare le somme su questo periodo, dando anche uno sguardo al futuro della città di Verona.

Con una vita professionale trascorsa nell’ambito della grande distribuzione organizzata, prima di approdare in +Europa Dalai ha militato per anni nelle fila del Partito Democratico, per il quale è stato consigliere provinciale e capogruppo dal 2009 al 2014, nonché consigliere comunale a Erbezzo dal 2014 al 2019, successivamente rieletto all’interno di una lista civica. In passato è stato anche membro dei consigli di amministrazione di AMIA (dal 2005 al 2007) e di AMT Verona (dal 2008 al 2010).

Partiamo dal referendum “Eutanasia Legale”, per il quale +Europa è stata in prima linea. I dati forniti dal comitato promotore mettono Verona al quinto posto, su scala nazionale, per numero di firme raccolte. Ve lo aspettavate?

Lorenzo Dalai – +Europa

«Personalmente sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’entusiastica adesione dei cittadini, che è andata oltre ogni nostra più rosea previsione. Temevamo infatti che una raccolta firme tra luglio e settembre, nel pieno dell’estate, potesse avere un tiepido riscontro. La riprova del successo sta nel fatto che siamo al doppio delle 500 mila firme necessarie per poter chiedere l’indizione del referendum. Va sottolineato anche il coinvolgimento di tantissimi giovani, oltre che tra i firmatari, anche come volontari ai tavoli: i dati pubblicati dal comitato promotore ci dicono che, tra i primi 318 mila cittadini che hanno firmato online per il referendum “Eutanasia Legale”, il 65 per cento ha tra i 18 e i 35 anni.»

Del silenzio che i grandi partiti hanno riservato a livello nazionale alle raccolte firme su eutanasia e cannabis, vi siete lamentati anche a Verona, su scala locale.

«Purtroppo è così. Oltre a noi, solo pochi altri partiti hanno collaborato nella raccolta delle firme o si sono pronunciati a favore dei due quesiti referendari: voglio citare il Partito Socialista Italiano, Possibile, i Radicali Italiani. Molto tiepidamente il Partito Democratico, con alcuni esponenti veronesi che hanno firmato o ci hanno dato una mano come autenticatori, ma di certo in assenza di una presa di posizione ufficiale del partito e dei suoi esponenti nazionali (compresi i parlamentari veronesi). Il superamento del quorum richiesto – che per il referendum sulla cannabis, tra l’altro, è avvenuto in pochissimi giorni – è un segnale ben chiaro, che i partiti maggiori hanno dimostrato di non saper cogliere. Spesso queste forze politiche, a parole, dicono di rivolgersi ai giovani, a volte anche con proposte strampalate. Per noi parlano i fatti: tra le prime 330 mila firme per il referendum sulla cannabis, metà dei sottoscrittori ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, e l’80 per cento ha meno di 40 anni.»

Per mettere in sicurezza la richiesta di referendum sulla cannabis è intervenuto il Governo, che ha prorogato dal 30 settembre al 31 ottobre i termini per depositare le firme in Cassazione. Perché il caos che si era creato sulla certificazione delle firme raccolte online aveva rischiato di mandare tutto all’aria. Nell’elenco dei Comuni italiani maggiormente in ritardo, che il comitato promotore aveva pubblicato, in Veneto spiccava la presenza di Verona: cos’è successo?

«Molti Comuni non avevano provveduto nei termini previsti (cioè entro 48 ore dalla richiesta ricevuta via PEC) all’invio dei certificati elettorali relativi ai firmatari. Questo aveva ostacolato in modo pesantissimo le operazioni di assemblaggio della documentazione, col rischio di vanificare la richiesta referendaria. Anche se ora la situazione si è normalizzata, quanto accaduto ci deve fare riflettere sul livello di digitalizzazione e di organizzazione della nostra Pubblica Amministrazione: al di là dell’impegno dei dipendenti, che non è mai stato in discussione, è evidente che la struttura degli uffici comunali non si è rivelata adeguata alle esigenze di elasticità e di digitalizzazione oggi richieste. Speriamo che la prossima amministrazione sappia porre rimedio a tutto ciò.»

Uno dei banchetti

Parliamo di Verona. L’anno prossimo i cittadini saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo sindaco. A che punto sono, la città e la sua gestione amministrativa?

«La situazione è sotto gli occhi dei cittadini: un tran tran che lentamente, ma inesorabilmente, sta portando la nostra Verona a un ruolo sempre meno significativo, sotto tutti gli aspetti: civile, economico e culturale.»

E +Europa, come si immagina la Verona del futuro?

«Vogliamo una città innovativa, come lo fu più di cinquant’anni fa, quando una classe politica illuminata, sicuramente non priva di difetti (ma chi non ne ha?), realizzò, con pochi mezzi economici ma molta immaginazione e caparbietà, strutture sulle quali sta campando di rendita, da oltre trent’anni, una classe politica assolutamente mediocre.»

Tre questioni per voi prioritarie.

«La prima: cancellare l’immagine di città reazionaria, bigotta e omofoba che le destre, al potere negli ultimi anni, hanno diffuso a livello nazionale. La seconda: rivedere tutto il groviglio di sottogoverno che avviluppa le società e gli enti a partecipazione pubblica, ridando dignità alle competenze e al merito. La terza: accedere con progetti credibili e concreti ai fondi del Next Generation EU, per un rilancio del nostro territorio a livello europeo.»

L’ultimo, in ordine di apparizione, è stato il rapporto “Mal’aria” di Legambiente (tra l’altro criticato, a livello di metodo e contenuti, dal Comune): quando escono dati e classifiche sulle tematiche ambientali (che riguardino l’inquinamento da polveri sottili o il consumo di suolo), i veronesi perdono il sorriso. Abbiamo un problema?

«Un problema enorme, sul quale già si dibatteva durante il mio mandato da consigliere provinciale, perciò oltre dieci anni fa. L’amministrazione provinciale di allora, dello stesso colore politico di quella che ora governa il Comune di Verona, a ogni interrogazione o proposta di misure atte perlomeno a mitigare il problema, dava sempre la stessa risposta: “Metteremo in campo misure organiche in grado di coinvolgere anche i Comuni della fascia suburbana di Verona”. Ecco, siamo ancora fermi a questo.»

Il tavolo di lavoro della coalizione di centrosinistra sembra ben avviato, ma manca il candidato sindaco. L’unico nome in circolazione è quello di Damiano Tommasi, che però non ha ancora sciolto la riserva. E voi rimanete in attesa.

«Quello che una parte dei media cittadini hanno sinora descritto non è affatto vero: non stiamo aspettando Godot! Fino a qualche tempo fa eravamo a livello di chiacchiericcio e niente di più. Ora, invece, abbiamo fatto proposte concrete e unitarie. Giustamente Tommasi, da persona seria qual è, ha chiesto di poter valutare le implicazioni personali, familiari e professionali che l’adesione al progetto comporterebbe. A breve il quadro sarà definito.»

Damiano Tommasi

Non si sta facendo troppo tardi? Il rischio è che i veronesi pensino che non ci sia un piano B…

«Se pensiamo che alcuni dei candidati nelle grandi città che sono andate al voto lo scorso fine settimana sono stati individuati a giugno, non è assolutamente vero che siamo in ritardo. Tra l’altro, è comprovato che sono gli ultimi quaranta giorni di campagna elettorale quelli decisivi, che convincono gli elettori. Ad ogni modo, in politica c’è sempre un piano B.»

La domanda viene spontanea: quale sarebbe l’approccio più corretto a seguito di un eventuale rifiuto di Tommasi?

«Di certo saremmo molto dispiaciuti. Ma, personalmente, la ritengo una ipotesi non realistica.»

Un commento sui risultati elettorali dello scorso fine settimana.

«C’è stata un’affluenza molto bassa e, contemporaneamente, un crollo verticale del Movimento 5 Stelle. Il quadro emerso dalle urne, che mostra anche un arretramento della Lega, in alcune Regioni abbastanza marcato, evidenzia il tramonto del voto di malcontento istintivo, il cosiddetto “voto di pancia”. Questo elettorato, però, non trova ancora partiti in grado di soddisfare e incanalare positivamente il malessere sociale.»

Chi può rispondere alla chiamata?

«Il PD si autocelebra ma, evidentemente, senza i voti delle formazioni minori in questa tornata non avrebbe centrato alcun obiettivo, anche perché la presunta alleanza con i grillini di fatto non ha inciso. Le formazioni moderate potrebbero avere un ruolo, ma devono ancora fare qualche passo ulteriore per diventare un soggetto politico importante e attrattivo. Un’ultima nota: chi ha strizzato l’occhio ai no-vax non ha recuperato voti, anzi, ne ha persi: gli italiani hanno molto più buon senso di una larga fetta della classe politica attuale.»

Foto di copertina di Osvaldo Arpaia

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