Prosegue senza sosta la raccolta firme per il referendum sull’eutanasia legale. Al momento si è superata quota 320mila: si è quindi oltre la metà dell’obiettivo finale, le 500mila firme necessarie. E davanti ci sono poco meno di due mesi di tempo per riuscire ad arrivare al risultato. Verona, davanti solo a Rovigo, al momento è in fondo alla classifica del Veneto per numero di firme raccolte.

Per sapere dove è possibile firmare è sufficiente andare sul sito eutanasialegale.it e scoprire dove sono i banchetti, quali le date e quali gli uffici comunali in cui recarsi per firmare. Oggi, sabato 7 agosto, e domani, domenica 8, sarà possibile aderire all’iniziativa firmando in piazza Bra, angolo via Roma, all’apposito desk.

Si tratta ovviamente di un tema delicatissimo, che spesso innesca accesissime discussioni, in Parlamento come fuori (come insegna il caso di Eluana Englaro), ma che proprio per questo motivo dev’essere affrontato e regolamentato una volta per tutte dall’organo preposto a emanare le leggi. Troppo tempo si è aspettato e troppe volte si è demandato alla Giurisprudenza il compito di risolvere le varie situazioni che nel tempo si sono create. Pensiamo a quanto successo a Marco Cappato e alle sue battaglie di civiltà. Abbiamo già affrontato recentemente la questione nell’intervista a Mina Welby, moglie di Piergiorgio e presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Oggi ne parliamo con Ilaria Giraldo, avvocata del foro di Portogruaro (Venezia), che sta portando avanti questa causa in prima persona. 

Avvocata Giraldo, innanzitutto perché nasce questa iniziativa?

«Già otto anni fa è stata fatta una proposta di legge di iniziativa popolare per regolamentare tutte le scelte sul fine-vita in Italia. Questa proposta, però, giace in Parlamento inerte da allora, nonostante l’iter fosse assolutamente corretto. Sembra che l’organo deputato a legiferare, il Parlamento appunto, non voglia prendersi la responsabilità di affrontare un tema sicuramente delicato, ma su cui tantissime persone nel nostro Paese chiedono giustamente che si prenda una decisione, una volta per tutte. Ricordo che oggi in Italia l’eutanasia legale attiva, cioè la somministrazione diretta di un farmaco letale da parte di un medico a un paziente che ne faccia richiesta, ovviamente solo in presenza di determinati e rigorosi requisiti e a seguito di una complessa verifica, non è ancora ammissibile. Al momento si ricadrebbe nell’ambito dell’articolo 579 del codice penale che punisce qualsiasi forma di omicidio del consenziente con la reclusione da 6 a 15 anni. Ricordo che in Europa l’eutanasia è legale soltanto in Belgio, Olanda, Lussemburgo e, da pochissimo tempo, in Spagna.»

I punti di raccolta firme a Verona nel mese di agosto 2021

In cosa si differenzia questa richiesta da quella fatta allora?

«In quel caso avevamo proposto un testo di legge, che poi, come detto, non ha avuto un seguito. Stavolta invece stiamo raccogliendo le firme per un quesito referendario di tipo abrogativo.»

Che cosa si chiede, in concreto?

«La richiesta prevede l’abrogazione parziale del già citato articolo 579 del codice penale. La difficoltà è importante perché la cancellazione della norma deve lasciare comunque un senso compiuto alla norma stessa. Ecco, ci siamo accorti che cancellando un pezzettino di quella norma la legge può funzionare ugualmente, ma allo stesso tempo si ottiene un decisivo passo in avanti nei confronti del fine-vita.» 

Ci spieghi meglio…

«L’omicidio del consenziente, oggi viene giustamente sanzionato con una importante pena. L’articolo dice che “chiunque cagioni la morte di un uomo con il consenso di lui è punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Si applicano le disposizioni legate all’omicidio se il fatto è commesso contro minore di anni 18, contro persona inferma di mente, contro persona il cui consenso sia stato carpito con minaccia o inganno”. Ecco, si vuole cancellare l’ultima parte, legata all’inganno, la cui interpretazione potrebbe portare, appunto, alla punibilità di chi favorisce l’eutanasia di un malato terminale. Quando c’è un consenso validamente prestato, univoco e chiaro, non si rientrerebbe più nella casistica di questo articolo. Togliendo quella parte dell’articolo, invece, potremmo mantenere una forma giuridica sostenibile, ma allo stesso tempo trasformare in maniera sostanziale la norma: si continuerebbe a tutelare la persona fragile come il minore o il malato di mente, ma verrebbero fatti salvi tutti gli altri casi in cui è possibile prestare il consenso alle pratiche di fine vita.» 

Qual è la situazione dal punto di vista normativo?

«Dopo l’entrata in vigore della Legge 38 del 2010 sono state finalmente ammesse le cure palliative, ossia quelle procedure mediche (ma non sono) che hanno come scopo principale il controllo del dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e anche spirituali nei pazienti affetti da una malattia inguaribile e che non rispondo più ai trattamenti specifici. Con quella novità si è cercato di rendere il più possibile accettabili le condizioni dei pazienti in fase terminale di ogni malattia cronica ed evolutiva, in primo luogo malattie oncologiche, ma anche neurologiche, respiratorie e cardiologiche, con l’intento di accompagnare il malato, nel rispetto della sua volontà, alla fine della sua esistenza.

La raccolta firme in piazza XVI Ottobre, in porta Vescovo, della scorsa settimana

L’altro articolo fondamentale è il 580 del codice penale che punisce l’aiuto e l’istigazione al suicidio. Qui la reclusione è dai 5 ai 12 anni, quindi come abbiamo visto inferiore a quella dell’omicidio del consenziente dell’articolo 579. È un reato, non ci sono dubbi, ed è una fattispecie delittuosa. Ma alla luce di quelli che sono stati i processi a Marco Cappato e la sentenza 242 del 2019 ci sono state recentemente alcune aperture e modifiche. La Corte ha deciso nel 2018 che se il malato ha autonomamente preso questa decisione e chi ha dato il suo supporto non ha influito sulla decisione non siamo più in presenza di un reato. La Corte costituzionale dice anche, però, che su queste tematiche dev’essere il Parlamento a decidere. D’altronde è quella la sede deputata alla formazione delle leggi. Concede un anno di tempo e nel 2019 interviene di nuovo per sostenere che la norma è legittima nella parte in cui esclude la punibilità di chi agevola il proposito di suicidio di chi è affetto da patologia irreversibile che produce sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili. Fa, insomma, quello che avrebbe dovuto fare il Parlamento.»

A proposito: spieghiamo qual è la differenza fra suicidio assistito ed eutanasia legale?

«L’eutanasia legale è una pratica attiva, perché prevede da parte del sanitario la somministrazione di un farmaco. Nel suicidio assistito, invece, non c’è questa attività di somministrazione del farmaco da parte del sanitario, ma solo l’attività di prescrizione del farmaco stesso. Dj Fabo (nome d’arte di Fabiano Antoniani, scelse il suicidio assistito in una clinica svizzera, nel 2017, ndr) per fare un esempio noto a tutti, attivò da solo la somministrazione del farmaco, peraltro con modalità complesse e non agevoli vista la sua condizione. In quel caso fu possibile perché in Svizzera, dove il suicidio assistito è permesso, viene consentivo l’accesso alla pratica anche ai non residenti.

Ovviamente è sempre previsto un rigoroso iter di verifica in ambito medico da parte di strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale e comunque il tutto avviene sempre previo parere del comitato etico territorialmente competente. Si deve di volta in volta accertare la volontà del malato, volontà che deve essere stata manifestata in modo chiaro e univoco. Il paziente, inoltre, deve essere sempre stato adeguatamente informato sulle possibilità alternative al suicidio, come le cure palliative o la sedazione profonda e continua. Vorrei chiarire che non siamo di fronte a una negazione del concetto di vita, anzi. Abbreviare le sofferenze con la morte non significa uccidere qualcuno, ma dare la possibilità alle persone di vivere consapevolmente il proprio momento di addio. La consapevolezza del riconoscimento del diritto a una fine dignitosa è l’ultimo atto d’amore per la vita. La sofferenza imposta per principio è una crudeltà che non ha senso di esistere.»

Perché firmare è importante?

«Lo slogan che abbiamo coniato è “liberi fino alla fine”. Si tratta, ribadisco, di un tema delicatissimo, trasversale, che coinvolge la sensibilità di molte persone. Ritengo che pochi temi come questo siano così sentiti e tocchino profondamente tutto il panorama parlamentare, dall’estrema destra all’estrema sinistra.

Marco Cappato, promotore della campagna Eutanasia legale.

Perché arriva a intrecciarsi con un principio di libertà che le persone sentono con grande forza. D’altronde si tratta anche di una battaglia un po’ particolare, perché non coinvolge nessun altro soggetto se non colui che compie questa scelta. L’interruzione di gravidanza, altro tema da sempre divisivo, coinvolge un soggetto terzo, il futuro bambino, ma la vita del malato terminale riguarda solo il soggetto che si trova nella condizione di dover fare la scelta di porre fine o meno alla propria vita. È scandaloso, a mio avviso, che il Parlamento non si sia ancora assunto la responsabilità di una norma che deve rappresentare il principale strumento per evitare anche gli eventuali abusi. La norma, infatti, non solo determina l’estensione di un diritto ma anche il suo confine, com’è giusto che sia. E oggi più che mai è importante disciplinare una sfera della vita umana che la giurisprudenza sta, suo malgrado, regolamentando a colpi di sentenze. Ma non può essere quella la strada. Si tratta di una richiesta corale e anche la Fondazione Umberto Veronesi, per citare un’istituzione importante, si è espressa molto chiaramente sul punto. D’altronde questa battaglia vuole accendere anche un faro su un’altra ipocrisia: già oggi esistono delle pratiche che di fatto accorciano la vita. Quando sospendiamo le cure o l’alimentazione stiamo già intervenendo sull’evoluzione naturale della malattia. Ma proprio per questa ragione occorre una regolamentazione.»

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