Nel 2010, quando nasce il progetto Reverse, il tema della sostenibilità non era così di moda come oggi e quindi i tre fondatori possono ritenersi a tutti gli effetti dei veri pionieri, soprattutto a Verona e provincia dove ancora oggi, undici anni dopo, sono un punto di riferimento per creativi, progetti sociali e per un concetto nuovo di architettura sensibile al mondo che cambia e alla parte artigiana del mestiere.

Anche alla luce di un bellissimo progetto in carcere, abbiamo fatto due chiacchiere e il punto della situazione con Federica Collato, una delle tre anime.

Federica, come nasce e con quali obiettivi il progetto Reverse?

«Il progetto Reverse nasce nell’ottobre del 2010, tre amici e un’associazione culturale con la voglia di mettere a terra il concetto di sostenibilità di cui si iniziava a parlare. Ma a noi interessava sperimentare, sporcarci le mani, giocare sul percepito dei materiali e soprattutto favorire un cambio di mentalità.

Nel 2011 abbiamo poi vinto un bando regionale per lo sviluppo di imprese guidate da giovani under 30 e da lì abbiamo iniziato a costruire, attorno a quelle sperimentazioni che impegnavano il nostro tempo libero, l’idea di impresa. Da subito l’abbiamo immaginata come polo per giovani artigiani, creativi, professionisti nell’ambito dell’architettura e del design. L’aspetto di relazione e condivisione ha preso la forma del “Canarin”, coworking artigiano che è anche la nostra sede dal 2013. Da allora Reverse segue aziende e privati nella progettazione di spazi di vita e lavoro, immaginiamo soluzioni che possano essere funzionali, armoniche, capaci di seguire nuove esigenze per resistere al passare del tempo.

Produciamo arredi e allestimenti in modo artigianale nel laboratorio che è la nostra sede e in quello che gestiamo all’interno della Casa circondariale di Verona. Costruiamo con attenzione ai materiali scelti, agli impatti ambientali generati, al positivo coinvolgimento e impatto sulle persone e alla capacità di condividere il valore generato con territorio e rete di organizzazioni».

E, invece, come nasce dentro Reverse il laboratorio Reverse In?

Arredamento d’interni del progetto Reverse.

«Siamo un’impresa sociale fortemente connessa con il territorio e siamo in ascolto. Non era fra i nostri obiettivi iniziali sviluppare un progetto di economia carceraria ma abbiamo sin da subito capito le potenzialità dello strumento del workshop. Sin dal 2011 abbiamo curato lo studio e l’organizzazione di laboratori rivolti ad adulti senza un backgound specifico nei quali fosse possibile allenare la propria manualità sopita, capire che un materiale che stiamo per buttare con la progettazione e la dedizione può tornare ad essere materia prima, ma soprattutto che serve conoscenza e tempo nel mondo dell’artigianato, che è un mondo di cura e di lentezza, di scelte e studio del dettaglio.

I nostri laboratori ci hanno condotto prima a creare cultura sull’artigianato contemporaneo, poi ad incontrare persone senza tetto, rifugiati ed infine detenuti per i quali il workshop si faceva strumento di dialogo, relazione, percorso personale. Così nel 2014 siamo approdati in carcere per condurre dei laboratori di autoproduzione: trasformare dei pallet in mobili per la biblioteca. Un intervento che ha positivamente coinvolto un gruppo di giovani detenuti di cui si è apprezzata soprattutto la costanza nella frequentazione ma anche l’impegno. Così abbiamo ascoltato e accolto la sfida “Fate impresa anche qui!“. Nel 2016 è partito Reverse In, un laboratorio di falegnameria dentro la Casa circondariale di Verona».

Sono passati vari anni dall’avvio del laboratorio in carcere: un bilancio su cos’è positivo e le problematiche?

«Non è un luogo di lavoro qualunque, certo, ma il nostro obiettivo resta quello di garantire uno spazio dove acquisire competenze specifiche del lavoro del legno e trasversali per consentire alle persone detenute coinvolte di poter misurarsi con fiducia con le sfide future.

Vivendo ogni giorno questo progetto le soddisfazioni sono quotidiane: dalla conquista di maggiore autonomia dei ragazzi, al loro miglioramento professionale ma soprattutto al loro sentirsi parte di un progetto. Raccontando il nostro progetto di economia carceraria e il nostro impegno troviamo sempre una bella attenzione nel mondo esterno e la voglia di sostenerlo, sia da parte di partner e istituzioni ma anche clienti che ne comprendono il valore.

Quanto alle problematiche, non le definiremmo così quanto a vere e proprie contingenze: non possiamo organizzare la nostra attività produttiva in modo ordinario, stabile e programmato a 3 o 6 mesi. Non sappiamo se i nostri dipendenti saranno sempre presenti nel corso di una giornata lavorativa o con noi per tutto il tempo del loro contratto di lavoro, oppure se su di loro vi saranno delle misure che li porteranno in altri luoghi. E questo è un tema delicato quando andiamo a confermare ai clienti i tempi di una commessa. Non abbiamo mai avuto problemi in tal senso perché in modo agile abbiamo sempre attivato dei piani B.

In collaborazione con la direzione e la polizia penitenziaria abbiamo attivato nuove persone ma è di certo più impegnativo. Inoltre, è un carcere e giustamente si prevedono controlli all’ingresso di persone, materiali, prodotti finiti che escono. Tutto ciò è dovuto ma nell’organizzazione di un’azienda richiede tempo dedicato».

La coesione sociale è uno dei fari del vostro percorso. In cosa consiste esattamente per voi?

«Una società migliore si dice spesso che si misuri nel modo in cui tratta gli ultimi, nei diritti che garantisce ma anche nel futuro che rende possibile. Abbiamo deciso di dare vita a un’impresa sociale dal primo giorno, per fare impresa in modo differente, attento, sentito, accogliente. Abbiamo accolto la possibilità di sviluppare un progetto sfidante come Reverse In e da allora abbiamo chiaro che se per noi il lavoro è soprattutto indipendenza economica e realizzazione personale e di progetto, positivo contributo alla società, nel mondo detentivo è molto di più. Parliamo di coesione sociale perché il benessere della nostra società passa anche dal riscatto delle persone detenute e dal contributo positivo che sapranno generare per costruire assieme un clima di maggior fiducia e benessere condiviso.

Ma questo benessere è sostenuto anche dalla cura e tutela del territorio, dalla qualità della nostra aria, dal senso di comunità, dagli impatti sociali e ambientali che generiamo come persone e organizzazione e in molti progetti cerchiamo di stimolare una riflessione in tal senso, perché la responsabilità sociale non è solo delle imprese».

Le persone che avete aiutato insegnando un lavoro in carcere come vivono poi questa attività una volta fuori?

«Non siamo in contatto con tutti i nostri ex dipendenti, ma sappiamo di molti che hanno trovato lavoro e vari proprio nel settore del legno, grazie alle competenze acquisite. Proprio uno di loro recentemente ci ha scritto, dopo mesi nei quali ovviamente non si aveva notizie, per ringraziarci per la possibilità avuta di lavorare con noi, che ora gli permette di avere un contratto di lavoro per un’azienda del settore legno del territorio. Si tratta di riscontri rilevanti e soprattutto di cambiamenti reali che toccano da vicino la vita delle persone».

Con Reverse avete dato vita a nuovi modi di arredare e costruire. Cosa vi aspetta nel futuro?

«Il nostro manifesto recita “Pensiamo che gli spazi e gli oggetti che li abitano possano influenzare le relazioni fra le persone ed il loro benessere quotidiano” e vogliamo proseguire in questo senso. Metteremo al centro sempre più persone e relazioni in tutti i progetti e nelle forme concrete che prendono.

Vivremo sempre più i concetti cari all’economia circolare di progettazione sostenibile, quindi riprenderemo diffusamente modularità e riutilizzo di arredi e allestimenti, studi di funzionalità multiple che possono allungare e allargare il ciclo di vita dei prodotti. Inoltre, vorremmo sperimentare materiali innovativi ecologici, anche alternativi al legno che è il nostro materiale principe, per migliorare i nostri impatti. Lo faremo in rete, come sempre, perché ci piace attivare collaborazioni. La cosa più bella è vederle evolvere quindi continueremo a lavorare in rete, a mettere a sistema strumenti, conoscenza, risorse per il raggiungimento di obiettivi comuni che possano dare vita a progetti di valore.

Da tempo coltiviamo il desiderio di occuparci anche di spazi pubblici capaci di migliorare la vita dei quartieri di Verona e stiamo già lavorando a qualche progetto che presto ce lo consentirà e ovviamente lo faremo in buona compagnia».

Ristoro Teodorico, sempre firmato Reverse.

Anche l’impatto ambientale oltre che sociale per voi è importante. Vedete negli ultimi anni anche per la Pandemia un cambiamento un positivo tra la gente?

«Sì, lavoriamo cercando di ridurre i nostri impatti, dai legni che scegliamo alle finiture, alla scelta dei nostri fornitori tutti a km zero, sia per questioni ambientali ma anche per sostenere il nostro territorio. La pandemia ha accelerato alcune dinamiche e evidenziato delle sensibilità, ma è da tempo in crescita l’attenzione agli impatti ambientali e la consapevolezza di aziende e cittadini.

C’è ancora molto da fare e molta cultura da condividere sul tema per questo i momenti di confronto sono importanti e ci facciamo volentieri strumento anche in questo senso. Un esempio: come tutti sanno, in tempo di pandemia, la pratica degli acquisti on line è esplosa. Amazon su tutti i canali è quello che ha maggiormente intercettato clienti, ma è sostenibile questo tipo di acquisto? Sia a livello sociale che a livello ambientale?».

La pandemia ha modificato il vostro lavoro?

«Ha letteralmente fermato le attività nei nostri laboratori, durante la primissima quarantena della primavera 2020. Alla ripresa non abbiamo avuto operativamente variazioni, seguendo il protocollo abbiamo lavorato in presenza, spostato on line molti incontri con clienti e collaboratori e rinnovato il nostro anno. Sì, ha modificato il nostro lavoro perché è stato un continuo costruire piano C su piani B (il piano A l’abbiamo perso a metà marzo). Il mondo degli eventi e delle fiere ha pagato maggiormente in questa pandemia e indirettamente ha toccato anche noi, ma abbiamo compensato e siamo fiduciosi per il prossimo periodo».

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