La storia di una donna. In queste poche parole si racchiude la forza e il potere del racconto che “Black Box Diaries” porta sugli schermi. Schermi prossimamente anche molto prestigiosi come quelli dell’Academy degli Oscar, per i quali è candidato come miglior documentario proprio nel giorno in cui a Fucina Machiavelli si proietterà nella rassegna “Mondovisioni”.

Lunedì 3 marzo alle 21 arriva a Verona la storia di una giornalista giapponese, Shiori Ito, che nel 2015, esattamente dieci anni fa, uscì a cena con un collega. Era una splendida serata, durante la piena fioritura dei ciliegi a Tokyo, un momento in cui tutto sembrava indicare un semplice incontro di lavoro. Quella cena aveva lo scopo di valutare le reali opportunità per Shiori di dare una svolta alla sua carriera. Il collega giornalista, Yamaguchi Noriyuki, all’epoca responsabile dell’ufficio di Washington dei programmi news della TV TBS e biografo del defunto primo ministro giapponese Shinzo Abe, avrebbe dovuto discutere con lei della possibilità di un trasferimento negli Stati Uniti.

Shiori, all’epoca ventiseienne, visse una cena che le cambiò radicalmente la vita. Non perché ottenne il lavoro o si trasferì nella capitale statunitense, come sperava, ma per ciò che accadde dopo. Durante quella serata, la giovane cronista venne drogata e successivamente Noriyuki la costrinse con la forza a recarsi allo Sheraton, dove abusò di lei contro la sua volontà. Le prime scene scioccanti del documentario mostrano chiaramente la gravità dell’accaduto. Un’opera in cui Ito, non solo protagonista ma anche regista, riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore, grazie a un’attenzione ai dettagli che riflette la profondità di un’inchiesta giornalistica alla ricerca della verità.

Ed è proprio sull’altare della verità che Shiori si sacrifica per l’intera durata del documentario, conducendoci attraverso il suo dolorosissimo percorso di raccolta di prove e testimonianze in un vortice di emozioni. Stupore e rabbia si mescolano a paura e dolore, culminando in una scena intensa e rapida, in cui si intuisce che la protagonista ha persino tentato il suicidio.

La sua colpa? Essere giovane e carina, probabilmente, e soprattutto essere donna. In una società come quella giapponese, all’avanguardia in molti campi, tra cui la tecnologia, ma che in termini di diritti e parità di genere sembra vivere in uno stato di torpore. Un torpore che, grazie alle vicende narrate in questo diario in video, è stato scosso una volta per tutte, con l’opinione pubblica e una nutrita schiera di colleghe giornaliste che, a un certo punto, decidono di sostenere Shiori e la sua battaglia.

Tuttavia, in Giappone, nel 2025, nessuno può ancora vedere questo documentario, poiché sembra che l’autrice sia bloccata dalle rigide regole censorie del sistema nipponico. Al di fuori del Giappone, invece, non ci sono problemi, e questo Me Too del Sol Levante viene proiettato in festival prestigiosi, come il Sundance Festival nel gennaio 2024, e in oltre 50 Paesi nel mondo nelle successive proiezioni. La pellicola ottiene 18 premi in diversi festival.

A distanza di 10 anni da quella notte, Shiori Ito continua a portare in giro la sua opera, rivivendo ogni volta, proiezione dopo proiezione e premio dopo premio, la violenza sessuale subita, una ferita profonda che è diventata anche uno strumento per parlare di un tema che non dovrebbe più esistere. Parliamo al condizionale perché è evidente che è utopico pensare che qualcosa sia realmente cambiato, nonostante movimenti e scandali degli ultimi anni. In Giappone, infatti, i dati dimostrano che oltre il 90% delle donne non denuncia le violenze, alimentando una cultura del silenzio e dell’omertà.

Il documentario, intenso e potente, si conclude dopo quattro anni di diario per immagini con la sentenza del 2019, in cui il tribunale distrettuale di Tokyo ribalta la storia: Yamaguchi è dichiarato colpevole. Nonostante ciò, Shiori, ancora oggi, oltre a non vedere il suo documentario proiettato nel Paese in cui è nata e dove ha subito la violenza, continua a ricevere minacce di morte e lettere intimidatorie, venendo accusata di essere “quella che, in fondo, se l’è cercata“.

Storia di una donna, quindi. Di una donna che non è stata zitta e che urla al mondo continuamente che non se l’è cercata.

Al termine della proiezione si svolgerà il consueto dibattito di approfondimento, a cura di Heraldo, con Beatrice Verzé (Consigliera comunale), Olivia Guaraldo (docente di Filosofia Politica dell’Università di Verona e delegata del Rettore al Public Engagement) e Irene Tommasi, medico e psicoterapeuta.

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