D-Hub, Un Centro per fermarsi, incontrarsi e ripartire. Questo il nome dell’associazione veronese nota per il suo intento di presentarsi con una duplice anima: sartoria sociale e aiuto nell’inserimento nel mondo lavorativo di donne in situazioni di svantaggio. Una parola usata quasi come sfida verso la società, svantaggio. Il punto di vista con cui D-Hub osserva questa realtà è totalmente capovolto: lo svantaggio nasce nel momento in cui una persona si imbatte in una società che non è in grado di “percepirla” per predisporre un contesto che prevenga l’esclusione sociale. Per questo, per questa natura di prevenzione di situazioni di emergenza, D-Hub è un po’ come un paracadute: “Planare dolcemente verso il suolo, vincendo, attraverso l’ingegno e il coraggio, una forza maggiore. Volare. Superare se stessi e i propri limiti. Prevenire il rischio di farsi male”.

Paracadute è anche il nome della nuova campagna per la raccolta fondi per sostenere il lavoro di D-Hub nell’inserimento lavorativo di donne in difficoltà. Abbiamo intervistato Maria Antonietta Bergamasco per chiederle come si siano svolte le ultime attività dell’associazione, nell’anno della pandemia.

«Abbiamo avuto battute d’arresto in alcuni momenti, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di agire con percorsi formativi, ma poi abbiamo ripreso a funzionare. Per la vendita dei nostri prodotti, per esempio, ci siamo inizialmente appoggiati a una piattaforma online, “Ad un metro”, ma il vero momento di svolta è stato l’apertura, a fine novembre, di un nuovo spazio in via XX Settembre 32. Doveva essere inizialmente solo una banca del tessuto, cioè un luogo dove far circolare i tessuti di scarto che noi non usavamo in modo che le donne dei nostri corsi potessero averli a disposizione. Poi il posto ci è piaciuto così tanto che l’abbiamo reso uno spazio duplice: per metà banca del tessuto e per metà atelier espositivo, con tutti i nostri prodotti. Anche a causa del lockdown quindi ci siamo concentrati molto sull’assortimento del negozio. Ora siamo più centrali, rispetto al precedente negozio in via Trezza, e questo ha praticamente raddoppiato gli accessi delle persone».

Un atto di coraggio che ha portato a iniziare qualcosa di nuovo in tempi decisamente non favorevoli, forti però delle proprie idee e dei propri obiettivi. Come ci siete riuscite?

«Unito al nostro ardire c’è stato anche l’appoggio di persone che hanno creduto in noi e nel nostro progetto. L’apertura, infatti, è avvenuta anche grazie alla lungimiranza di Italian Flat – che gestisce appartamenti da affittare a scopo turistico – che ha due immobili commerciali al piano terra dell’edificio in via XX Settembre: lì, abbiamo richiesto di poter sviluppare la nostra banca del tessuto, sfruttando il comodato d’uso».

Come è andato, invece, il lavoro delle donne in D-Hub? I vostri corsi di formazione sono proseguiti?

«I corsi, fortunatamente, sono andati avanti. Tra aprile e maggio 2020 abbiamo avuto alcune battute d’arresto nella gestione dei corsi di formazione con l’ENAIP, ma siamo riuscite comunque a far procedere sia i corsi con il “Centro Aiuto Vita” sia i tirocini e i percorsi di Reddito di Inclusione Attiva. Al momento, ci sono tre donne in tirocinio, mentre in sei stanno svolgendo il corso base. Abbiamo anche una novità in questo senso: tra maggio e giugno verrà attivato un corso avanzato a cui avranno accesso donne che hanno già frequentato il corso base. L’obiettivo è quello di fornire elementi tali che possano permettere loro di lanciarsi nel mondo dell’auto-impresa

Un progetto, quello di D-Hub, che va quindi in due direzioni: da una parte, mettere a disposizione un corso in cui le donne imparino il disegno, il taglio, il cucito e il confezionamento di abiti e accessori, dall’altra garantire loro una crescita lavorativa che vada verso la creazione di piccoli percorsi di artigianato o, comunque, verso l’inserimento nel mondo del lavoro. Terminato il corso, per di più, le donne hanno a disposizione un manuale nella loro lingua madre, una macchina da cucire e tessuti dalla nuova banca del tessuto. Un percorso ambizioso ma dal grande impatto sociale.

D-Hub ha, di recente, lanciato una raccolta fondi per il progetto Paracadute, che vede la collaborazione di Valemour. Ci racconti meglio questa nuova sfida?

«Valemour è da qualche anno un nostro partner che si occupa di inserimento lavorativo ma con un target diverso rispetto al nostro: ragazzi e ragazze con sindrome di down e disabilità intellettiva. L’idea è stata quella di tingere il tessuto ripstop, utilizzato per paracaduti, e realizzarvi una collezione di accessori: i nostri prodotti di punta e una borsa nuova, mai realizzata prima. Un modo speciale per celebrare il nostro modo di essere un paracadute per la comunità e per tutti coloro che vivono situazioni di svantaggio e sono stati esclusi dal mercato del lavoro. Abbiamo scelto di attivare una campagna di ricerca fondi, per chiedere alla comunità di sostenerci: il lavoro di D-Hub non sta solo nel porsi come sartoria sociale ma anche nel favorire l’inserimento di donne svantaggiate nel mondo lavorativo. Monetizzare i processi, in questo, è sempre molto complesso, soprattutto perché le nostre fonti di finanziamento sono la vendita dei prodotti, il tesseramento. Abbiamo scelto quindi di dare più valore alle raccolte fondi, che sono per noi anche un modo di raccontarci.»

Le storie che coinvolgono le donne di D-Hub sono moltissime e ognuna assume un prezioso valore sociale agli occhi della comunità. Ci racconti la storia di una di loro?

«Proprio in questi giorni abbiamo iniziato ad accompagnare la campagna di raccolta fondi con piccole biografie e messaggi delle donne coinvolte nei nostri percorsi, che usciranno settimanalmente sulla nostra pagina Facebook. Abbiamo chiesto ad ognuna di loro di essere una sorta di testimonial e di raccontare in che modo D-Hub fosse stato per loro un paracadute. Camilla, ad esempio, è una designer che ha conosciuto D-Hub tramite un percorso di formazione sartoriale con ENAIP Veneto e Sol.Co. Verona. Descrive il progetto come “necessario per ridurre gli impatti e salvare vite”. Naomi, invece, ha tratto dall’associazione delle competenze pratiche che l’hanno portata a vendere i suoi prodotti autonomamente, integrando il suo reddito.»

Le storie delle donne di D-Hub sono spesso molto semplici. E ciò su cui punta il progetto non è tanto mettere il focus sulle situazioni di svantaggio delle persone ma sul loro momento di rinascita, sulla possibilità che si dà loro di creare una rete di artigiane che collaborano tra loro.

Questo è il motivo per cui nasce la raccolta fondi: per sostenere l’associazione nel loro lavoro di inserimento lavorativo. Per farlo, si può contribuire con una donazione libera o con una donazione con ricompensa, con cui al donatore verrà dato uno degli accessori in edizione limitata in tessuto paracadute, realizzati dai ragazzi e dalle ragazze di Valemour. Per sostenerli basta visitare il link.

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