La lingua madre, secondo le parole del linguista Tullio De Mauro, “innerva la nostra vita psicologica, i nostri ricordi, le associazioni, gli schemi mentali”, è la prima lingua, che non ostacola però i successivi apprendimenti, al contrario costituisce la base che apre a nuovi linguaggi e ad abilità cognitive e metacognitive, perché con essa abbiamo imparato a esplorare il mondo, dare parole a storie ed esperienze, nominare e riconoscere emozioni, esprimere sentimenti e bisogni, costruire relazioni.

Anche per questo è fondamentale festeggiare la giornata dedicata alla Lingua madre, istituita dall’Unesco. Dal 1999, infatti, ogni 21 febbraio si celebra nel mondo il valore del plurilinguismo per ricordare il 21 febbraio 1952 quando alcuni studenti bengalesi dell’Università di Dacca furono uccisi dalle forze di polizia del Pakistan (che allora comprendeva anche il Bangladesh), mentre protestavano contro l’imposizione della lingua urdu nel loro Paese e rivendicavano l’ufficialità del bengalese.

Questa celebrazione offre a quanti lavorano nella scuola l’occasione per promuovere l’attenzione sul valore della lingua di ogni studente e sull’attuale ricchezza plurilinguistica delle scuole, delle classi e delle biografie degli studenti. Secondo il Miur solo in Veneto nell’anno scolastico 2018/19 gli alunni con cittadinanza non italiana erano 94.486, di cui il 71,3% nato in Italia. Secondo i dati rielaborati da Gloria Albertini nel Dossier statistico immigrazione 2020 a cura di Idos, su 851 scuole di Verona e provincia, 108 scuole vedono una quota di alunni con cittadinanza non italiana dal 30% in su (il 13% del totale), 244 scuole dal 15% a meno del 30% (29% delle scuole), 422 a meno del 15% (49%) e 77 scuole sono senza alunni con cittadinanza non italiana (9% del totale).

Per oggi il Cestim, Centro Studi Immigrazione di Verona, ha presentato due proposte a scuole, associazioni e cittadinanza: le “parole che uniscono”, da svolgere utilizzando la mascherina che da un anno è entrata nella nostra quotidianità, e “quante lingue in classe. Conoscere e valorizzare la diversità linguistica” a cura di Centro Come – Farsi Prossimo Onlus, Università degli Studi di Milano, CEM – Centro di educazione ai media: parole gentili, di saluto, di augurio, di amicizia, di speranza, di bellezza, di solidarietà, di accoglienza, di condivisione, di piacere, di amore per le persone, gli animali, l’ambiente. Le foto delle mascherine (indossate o no) con le “parole che uniscono” potranno essere pubblicate dai partecipanti sui propri profili Facebook e Instagram accompagnate dagli hashtag #giornatalinguamadre e #parolecheuniscono.

«Ogni ragazzo e ragazza ha decorato la sua mascherina con le sue parole di origine – ci spiega Erica Tessaro, tutor linguistico del Cestim –. I bambini così si sono divertiti a usare finalmente la loro lingua madre in classe e a sentire gli insegnanti a pronunciare le parole scritte. Durante i laboratori, tenuti in classe dai professori di lettere, i ragazzi hanno utilizzato le più diverse lingue: dai “nostrani” pugliese, siciliano e calabrese alle complicate forme dall’arabo, dell’urdu e dello singalese. Ovviamente, non è  mancato il dialetto veneto e una tra le frasi più citate e trascritte è stata “te voi ben”.»

Secondo lo psicologo umanista Carl Rogers l’allievo non è un semplice spettatore passivo come nel metodo didattico tradizionale, ma nell’apprendimento di una nuova lingua partecipa attivamente con un “apprendimento significativo”. Graziella Favaro, che da anni si occupa dei processi educativi legati alla migrazione attraverso lavori di ricerca, scrittura, formazione, elaborazione di materiali, nei suoi frequenti interventi sulla lingua madre ci ricorda come ogni lingua racconti il mondo a modo suo e come «attraverso i primi contatti comunicativi con l’ambiente che lo circonda il bambino non acquisisce soltanto uno strumento di espressione, ma anche le regole e le rappresentazioni condivise, i significati e il suo posto nel mondo. Interiorizza una logica e un ordine concettuale che lo struttura e lo modella. Costruisce giorno dopo giorno la sua storia attraverso quella lingua.»

Abbiamo parole per vendere

parole per comprare

parole per fare parole

ma ci servano parole per pensare.

Abbiamo parole per uccidere

parole per dormire

parole per fare solletico

ma ci servono parole per amare.

Abbiamo le macchine

per scrivere le parole

dittafoni magnetofoni

microfoni telefoni.

Abbiamo parole

per fare rumore,

parole per parlare

non ne abbiamo più.

Gianni Rodari, Parole

Le foto dell’articolo sono di Erica Tessaro

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