Dopo le prime due puntate, siamo oggi arrivati al terzo appuntamento con le nostre recensioni dedicate ai film in streaming, da vedere a casa sul divano in questi giorni di forzata clausura e nostalgia da cinema. Quest’oggi parliamo dell’ultima opera di George Clooney, “The midnight sky”, e dell’immancabile film della Disney Pixar, “Soul”.

THE MIDNIGHT SKY (piattaforma streaming: Netflix)

[SEMI-SPOILER ALERT]

Premesso che, quando ti dicono che il film è di “fantascienza umanista con questioni filosofiche”, la prima reazione è sempre «Ah, ok, quindi è una palla!», perché va bene riflettere sull’animo umano e sul nostro posto nell’Universo e nello spazio infinito, ma «Vuoi mettere le pistole laser?!?»; detto ciò, l’ultima fatica registica di George Clooney ha sicuramente alcuni pregi, ma difetta proprio nel soggetto. Che non è esattamente una cosa di poco conto, soprattutto se la pellicola dura quasi due ore.

Ammetto di non essermi annoiato troppo e visivamente reputo The Midnight Sky abbastanza accattivante (nulla che non si sia già visto, eh), però ribadisco di aver trovato molto debole la storia: si capisce subito che le due vicende narrate nel film saranno collegate, ma per tutto il tempo ci si chiede dove si voglia andare a parare pur avendo qualche sospetto, confidando in una risoluzione lontana anni luce dalla banalità. Finché, dopo 118 minuti tra paesaggi innevati e le solite tempeste spaziali che fanno la felicità dei carrozzieri spaziali, alla fine si giunge ad un enorme, gigantesco, mastodontico “ESTICAZZI?!?”.

Ecco, il problema è tutto lì: in alcune pellicole “ESTICAZZI?!?” lo si dovrebbe utilizzare, in modo più sincero, al posto del classico “The End”.

George Clooney è bravo, è simpatico, è impegnato in tante belle cose; insomma, è un figo. Però la scelta dei soggetti e delle sceneggiature da dirigere non è esattamente il suo forte, almeno non sempre. Vabbè, almeno un difetto lo dovrà pur avere, no?

The Midnight Sky: Regia di George Clooney con George Clooney, Felicity Jones, Kyle Chandler, David Oyelowo, Tiffany Boone. Voto: 2,5/5

SOUL (piattaforma streaming: Disney Plus)

La Disney ci ha provato ad attendere l’apertura delle sale, ma nemmeno la sua Pixar ha potuto far questa magia, soccombendo alle regole per combattere l’attuale pandemia mondiale e adattandosi a far uscire Souldirettamente in streaming.

Già guardando chi è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, possiamo intuire cosa aspettarci prima della visione; Pete Docter ha scritto e diretto Monster & Co. (2001), Up (2009) e Inside Out (2015), ma ha anche contribuito a scrivere i primi due Toy Story (1995 e 1999) e WALL-E(2008). Insomma, non esattamente l’ultimo arrivato.

Caratteristica dei lavori della Pixar è da sempre una stratificazione della chiave di lettura adattabile al pubblico di ogni età il che, tradotto, significa che nessun genitore potrà mai dirsi annoiato dopo aver accompagnato i propri figli al cinema. Anzi, la Pixar ha proprio fatto fare un passo in avanti ai film di animazione e non stiamo parlando tanto di tecnica o di tecnologia, quanto di approccio focalizzato a raggiungere un target che prima non esisteva se non per un effetto nostalgia. Io me li ricordo i miei genitori che mi portavano in sala a vedere i cartoni Disney e sì, probabilmente in alcuni casi si divertivano anche loro, ma in tanti altri lo facevano solo per rendermi felice. E per farmi star zitto un paio d’ore scarse.

Le cose sono cambiate. Se i vari Toy Story affrontano i cambiamenti dovuti al trascorrere del tempo, Up riesce nell’intento di sferrare un pugno dritto nello stomaco già nei primi minuti di visione, parlando ancora di tempo e di una lacerante perdita; è con Inside Out, però, che le cose si complicano ulteriormente: da una parte ci sono i buffi e colorati personaggini per i più giovani, ma dall’altra gli adulti osservano sgomenti che trattasi delle voci all’interno della testa di ognuno di noi, delle emozioni che attraverso i pennelli digitali dei maghi della Pixar si animano davanti ai nostri occhi. Lo studio della psiche umana entra nel mondo dell’animazione facendosi soggetto e non mero complemento riuscendo, però, a conciliare ancora le due anime in modo lieve e accessibile a tutti.

Arriviamo ora a Soul. Pete Docter realizza un film di animazione solo per adulti, trasforma quella che un tempo sarebbe stata una sottotraccia nell’unica traccia leggibile, inaccessibile al mondo infantile.

Non fatevi ingannare dai pucciosi disegni dell’Ante Mondo, né dal paffuto gattone con le sue inevitabili gag: Soul è un film d’autore che parla del “senso della vita” con un tocco meno leggero di quello che ebbero nel 1983 i Monty Python nella loro opera più ambiziosa e lo fa utilizzando il jazz come espressione principe della musica dell’anima.

La spasmodica ricerca della scintilla che può dare un significato alla nostra vita è il filo conduttore di una pellicola realizzata tecnicamente in modo ineccepibile, con una New York spesso “fotografata” al sopraggiungere di un tramonto autunnale che fa venire voglia di acquistare un biglietto aereo per potersela godere di persona, ma la filosofia che permea il soggetto rischia di appesantire il risultato finale, con qualche piccolo momento di stanca ed altri che – senza scomodare Platone & Co. – si fanno eccessivamente ridondanti.

Sicuramente non è l’opera migliore della Pixar, ma il messaggio (che non spoilero) di Soul è valido e sacrosanto, soprattutto per coloro che nella propria vita hanno provato il peso della ricerca continua di un qualcosa in cui primeggiare a tutti i costi, schiacciati da una pressione sociale che non può portare a nulla di buono.

Cosa significa vivere? La risposta ve la può dare un film di animazione; incredibile, vero?

Soul – Regia di Pete Docter e Kemp Powers. Voto: 3/5

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