Il simbolo spinge le sue radici fin nelle più segrete profondità dell’anima, riesce a combinare gli elementi più diversi in un’impressione unitaria. Se le parole rendono finito l’infinito, i simboli portano lo spirito oltre i confini del finito, del divenire. Goethe si esprime a questo proposito in modo particolarmente felice: “II simbolismo trasforma il fenomeno in idea, l’idea in immagine, e ciò in modo che l’idea rimane nell’immagine sempre infinitamente attiva e irraggiungibile, e anche se espressa in tutte le lingue, rimane inesprimibile”.

La parola simbolo deriva dal verbo greco symballo e significa letteralmente mettere insieme. Ciò che “rimane insieme nel simbolo” sono coppie di opposti; anzitutto quella della coscienza e dell’inconscio e successivamente anche di tutte le altre qualità antitetiche ad esse collegate. Ne abbiamo discusso con lo psicologo, psicoterapeuta e antropologo Giovanni Frigo.

Lo psicologo, psicoterapeuta e
antropologo Giovanni Frigo

Dottor Frigo, all’essere umano oltre alla realtà fisica appartiene anche quella simbolica, alla quale deve dare espressione se vuole sollevarsi dalla mera esistenza pulsionale, a quella dellessere creativo. Nel 1923 il filosofo tedesco Cassirer parla di “Uomo simbolico”, definizione che considera l’essere umano per la sua specifica modalità di funzionare non solo nella dimensione della realtà fisica ma anche su di un piano simbolico. Cosa ne pensa?

«L’essere umano è in grado di dotare di significato simbolico le esperienze, costruendo un mondo culturale all’interno del quale muoversi e dal quale interagire con l’ambiente esterno. E’ da definirsi non tanto animal rationale ma bensì animal symbolicum. Questa riflessione nasce dall’assunto che l’uomo è dotato di una caratteristica specifica, la capacità di leggere e trasformare il piano del reale, del percepito attraverso i sensi, in simbolico, costruendo così un mondo interiore dotato di coordinate che vengono utilizzate per leggere la realtà esterna. Così ad esempio il sole non viene esperito solo attraverso il calore che sentiamo sulla pelle o la luminosità che colpisce il nostro occhio.

Nella nostra mente c’è un piano di funzionamento razionale che ha fornito la possibilità di descriverlo come una stella composta principalmente di idrogeno ed elio, ma c’è anche un piano di funzionamento simbolico per cui il sole diviene padre celeste, rappresentazione del divino, simbolo del potere del bene che sconfigge le tenebre, entra nei racconti mitici di una cultura, acquisisce una connotazione che non è meramente percettiva o razionale ma frutto di una costruzione simbolica.

Linguaggio, arte, religione sono costruzioni simboliche, ma è anche simbolico il piano su cui ci muoviamo, spesso inconsciamente, nella scelte importanti della nostra vita, come è simbolica l’espressione corporea dei disagi dell’animo, attraverso le malattie psicosomatiche. In generale potremmo dire che ogni specifica cultura si costruisce attorno a dei contenuti simbolici che le sono propri e che ogni specifica esistenza umana si muove all’interno di un proprio mondo individuale, costruito attorno ad associazioni simboliche che vengono utilizzate per codificare e interpretare la realtà esterna.

È vero che il mondo, sul piano oggettivo e reale, è lo stesso per tutti noi, ma è altrettanto vero che ciascuno lo legge e lo interpreta utilizzando le coordinate simboliche del suo mondo interiore, attribuendo così dei significati specifici differenti alla stessa esperienza. Per questi motivi l’espressione di Cassirer coglie nel segno, perché la mente simbolica è forse la caratteristica più specifica della nostra specie ed è grazie ad essa che l’essere umano ha creato innumerevoli civiltà e culture, che è stato capace di creare stupende opere d’arte e affascinanti mitologie, declinando l’umana esistenza in innumerevoli modalità di leggere e abitare il mondo.» 

Che cosa sia un simbolo o no dipende dall’atteggiamento della coscienza che lo osserva, ossia dal fatto che una persona abbia la possibilità e la capacità di guardare un oggetto, ad esempio un albero, non solo in quanto tale (e quindi come segno), ma anche come simbolo di qualcosa di ignoto. Pertanto è sempre possibile che per una persona lo stesso fatto o oggetto rappresenti un simbolo e per un altra un segno. Sappiamo, inoltre, che i simboli possono degenerare in segni così come i segni, in circostanze determinate, a seconda del contesto in cui si trovano o dell’atteggiamento della persona che li incontra, possono essere compresi come simboli. In questa dinamica, trova differenze tra il mondo dei simboli tradizionali e quelli della cultura moderna?

«Viviamo oggi in una società che saccheggia le immagini simboliche tradizionali, le inflaziona introducendole nel frenetico movimento consumistico che ci caratterizza, svuotandole spesso della forza evocativa di cui erano dotate. Il simbolo che è sacro per eccellenza perché rimanda ad un piano trascendente, che oltrepassa la realtà ordinaria, ha bisogno di essere avvicinato con un atteggiamento rispettoso. Rudolf Otto scriveva che il sacro è un mistero affascinante e tremendo allo stesso tempo. Quando si svuota un’immagine simbolica, essa perde la sua numinosità e diviene al massimo un segno, cioè un rimando concettuale culturalmente condiviso, come lo può essere un segnale stradale. Per questo l’inflazione nell’uso delle immagini simboliche tradizionali impoverisce la psiche dell’essere umano moderno che compensa questa perdita con la produzione di nuove immagini simboliche. Questo è un processo inevitabile se consideriamo che l’essere umano approccia la realtà anche attraverso la sua funzione simbolizzante. Utilizzando un’immagine dell’antropologo Carlo Tullio Altan, possiamo affermare che egli si muove all’interno di una foresta infinita di simboli. Quando guardiamo quindi alla dimensione sociale dobbiamo considerare che è all’opera una psiche collettiva che, se abbandona le immagini simboliche tradizionali, ne crea di nuove. Questo non è negativo in se perché il simbolo è dotato di energie creative che lo portano a rigenerarsi attraverso nuove immagini simboliche, il problema sussiste quando un lato oscuro del simbolo prende corpo attraverso immagini simboliche che hanno presa su una determinata società. Il simbolo della madre può declinarsi nell’immagine della Mater Matuta precristiana, madre benevola che tiene in grembo il figlio, come nella madre terrifica che divora la propria prole: sono due aspetti dello stesso simbolo. L’ascesa del nazismo in Germania è avvenuta attorno a nuove simbologie solari, evocative di antiche religioni indoeuropee, coagulate attorno alla svastica. Allo stesso tempo potremmo dire che le nuove forze rigenerative di una società, che rispondono al simbolo del rinnovamento ciclico attraverso morte e rigenerazione, possono assumere i connotati dell’immagine simbolica di una giovanissima Greta Thunberg che si oppone a vecchi politici incapaci di affrontare la crisi del cambiamento climatico mondiale, fintantoché questa immagine simbolica non venga divorata dalla bulimia dissacrante dei nostri tempi, come è avvenuto per immagini moderne, divenute altrettanto simboliche quali quella del Che Guevara o di Marylin Monroe.»  

Un manifesto con il volto di Greta Thunberg, foto Pixabay

Oggi è sempre più dilagante la tendenza a farsi imprimere “simboli” sul corpo, vissuto come il palcoscenico principale all’interno del quale l’individuo ricerca la propria individualità. Come spiega questo con un occhio psicologico e antropologico?

«Il tatuaggio è divenuto negli ultimi anni un fenomeno sociale interessante da osservare. Credo che le persone che hanno scelto di farsi tatuare il corpo siano oggi almeno il 15-20% della popolazione italiana a cui dobbiamo aggiungere altre tecniche di modificazione corporea quali piercing, allargamento dei lobi delle orecchie, scarificazioni, chirurgia estetica e così via, da leggere anch’esse nel loro contenuto simbolico. La ricerca identitaria oggi viene vissuta sul corpo e spesso non attraverso il corpo. C’è il bisogno di comunicare agli altri la propria individualità assieme ad un bisogno di costruzione di una propria identità personale, vissuto a volte più esteriormente che interiormente.

Risponde ad una tendenza alla superficialità che caratterizza la nostra società odierna: tutto scorre frenetico e non si ha il tempo di andare in profondità. I problemi vengono affrontati con slogan, le relazioni si consumano veloci nei social e un lungo percorso di sviluppo individuale può esaurirsi in frettolose immagini impresse sul corpo o in identità prese a prestito da altri.

Per quanto riguarda poi l’uso dei simboli, noi ne facciamo esperienza attraverso “immagini simboliche” che ne sono evocative ma sempre parziali. Così le immagini simboliche impresse nella pelle spesso rispondono semplicemente a fenomeni imitativi, di moda o puramente estetici. La farfalla, immagine simbolica di psiche, dell’anima che si libera dell’involucro vuoto del corpo-crisalide, può così ridursi ad imitazione della farfalla tatuatasi dalla show girl Belén Rodríguez.

Quando invece sono il risultato di una ricerca personale, le immagini simboliche divengono evocative di tutti gli attributi di significato che l’individuo e la società hanno collegato a quell’immagine e in questo caso possono evidenziare il profondo bisogno di simbolico che c’è nella nostra società iper-razionalizzante. A tal proposito vorrei citare uno scritto dello psichiatra svizzero Carl Gustav Jung che condivido pienamente:

«Il mondo si è disumanizzato attraverso l’acquisizione della dimensione scientifica. L’uomo è rimasto isolato dal cosmo. Non è più parte della natura e ha perso la sua partecipazione emotiva agli eventi naturali, che prima avevano per lui un significato simbolico. Il tuono non è più la voce di un dio, né il fulmine il suo strumento di vendetta. Nessun fiume nasconde uno spirito, nessun albero raffigura la vita di un uomo, nessun serpente incarna la saggezza e nessuna montagna ospita un demone. Le cose non gli parlano più ed egli non può parlare a pietre, sorgenti, piante e animali. Non ha più un’anima della foresta che gli permetta di identificarsi con un animale selvatico. La sua comunicazione immediata con la natura è scomparsa per sempre, e l’energia emotiva che essa generava è sprofondata nell’inconscio».

Sarebbe auspicabile che la riscoperta di immagini simboliche rispondesse al bisogno di nutrire con esse la nostra anima. Purtroppo spesso a questo bisogno si risponde con immagini simboliche che non trapassano lo spessore della nostra pelle.»  

Il simbolo è un’istanza mediatrice tra ciò che è nascosto e ciò che è manifesto. Appartiene a quel regno intermedio di “realtà sottile” che può essere espresso solo dal simbolo. Questa proprietà mediatrice può essere considerata come una delle creazioni più geniali e importanti dell’economia psichica. Quale ruolo hanno i simboli nel suo lavoro psicoterapeutico e nella sua vita privata?

«Difficilmente riesco ad immaginare un percorso psicoterapico che tralasci una lettura del mondo simbolico all’interno del quale il paziente si muove. La psicoterapia acquisisce valenza terapeutica quando il paziente ne esce, avendo ristrutturato non solo pattern comportamentali o modelli di pensiero, ma la rete di attribuzioni simboliche che li hanno strutturati. Nel momento stesso in cui abbiamo a che fare con il lato inconscio della psiche dell’essere umano dobbiamo necessariamente adottare un linguaggio simbolico perché l’inconscio parla attraverso i simboli. I sogni, “la via regia verso l’inconscio”, come li definiva Sigmund Freud, adottano un linguaggio simbolico e la loro interpretazione si muove su quel piano, così come sono da leggere tutte quelle manifestazioni comportamentali che denotano un conflitto inconscio quali dimenticanze, sbadataggini, lapsus. I disturbi fisici e le malattie hanno di frequente un contenuto simbolico che rimanda ad un conflitto interiore, così come è importante il linguaggio simbolico in molte terapie immaginative quali ipnosi o visualizzazioni più o meno guidate in stato di rilassamento. Anche approcci psicoterapeutici più specificatamente cognitivo-comportamentali non tralasciano la lettura sul contenuto e gli investimenti simbolici in certi atteggiamenti, comportamenti, modelli di pensiero, indagando, a volte implicitamente, sul piano di funzionamento simbolico della mente umana. Nella mia doppia professione di psicologo-psicoterapeuta e antropologo culturale mi muovo quotidianamente su di un piano simbolico: lo faccio in psicoterapia e lo faccio quando devo interpretare i contenuti simbolici specifici di una data cultura. Questo mi porta ad avere una forma mentis che conserva costantemente attiva la lettura simbolica della vita quotidiana. Abituarsi a leggere il contenuto simbolico nella vita quotidiano mi apre uno sguardo ad un piano ulteriore su cui si muove la mia esistenza. Mi fornisce una modalità di lettura e di interpretazione che arricchisce di significato il mio quotidiano e tiene aperto un dialogo costante con la parte inconscia della psiche, dalla quale cerco di farmi guidare nelle scelte importanti della vita. Questo risponde ad una visione antropologica dell’esistenza umana che è più teleologica che meccanicistica. Non riesco a credere che la nostra vita sia il frutto di una catena di casuali concatenazioni di cause-effetto ma vedo in ognuno di noi dei potenziali, dei talenti che rimandano ad un progetto esistenziale che vuole essere realizzato per dare un personale senso di pienezza alla vita.»

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