Ogni Stato pensa a rafforzare le proprie frontiere perdendo di vista la visione d’insieme. Ognuno conduce il proprio gioco strategico puntando a primeggiare sugli altri. No, non è Risiko. È il ritratto di un’Europa che si sta accartocciando su se stessa. Sempre più spaventata dal terrorismo, sta cercando di correre ai ripari attraverso misure di rafforzamento militare e di irrigidimento dei confini. Primus inter pares, la Francia: bissa le forze armate a protezione degli ingressi alle frontiere e chiede la revisione dello spazio Schengen.
A inquadrare la complessa situazione internazionale, l’analisi critica condotta da Giuseppe Terranova: esperto di Geografia delle migrazioni nello spazio euro-mediterraneo e docente di Geopolitica all’Unicusano di Roma.

Giuseppe Terranova

«Lo sfondo è quello di un mondo che cambia e Macron, meglio di tutti, ha inteso le problematicità di questo momento storico. Non possiamo più affidarci al sostegno militare degli Stati Uniti in seno alla politica estera. Niente sarà più com’è stato. L’Europa deve camminare sulle proprie gambe: ha bisogno di attivare un regime di difesa autonomo. Qui entra in gioco Schengen. Le questioni migratorie diventano conflittuali perché non si riesce ad avere un controllo comune delle frontiere esterne e di conseguenza non riusciamo a distinguere l’immigrato da rimpatriare col richiedente asilo. A questo punto, vari Stati che non sono direttamente esposti al flusso, trovano delle scuse per tirarsi indietro di fronte al problema. Il fardello rimane all’Italia. I possibili scenari sono due: fare un salto di qualità e proteggere la frontiera esterna europea (come indica Macron) per salvare Schengen o percorrere una via autonoma di regolamentazione. Ogni Stato si limita alla salvaguardia del proprio confine decretando il collasso dello Schengen e tagliando il nastro a un rinnovato sovranismo.»
La scomparsa di uno spazio unico segnerebbe il tramonto dell’ombrello europeo e, alcuni terreni fragili come l’Italia, finirebbero per diventare zolle da spartire tra potenze internazionali. Siamo imbrigliati in quello che viene definito ‘Paradosso di Schengen’: il confine italiano non è solo frontiera nazionale ma linea di
demarcazione di un più ampio insieme, l’Ue
. Così facendo si sovrappongono due spazi e la difficoltà di gestione cresce vertiginosamente.
«Evidente la necessità di un dispiegamento di forze a livello europeo, penso a Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera). Ma non possiamo farvi riferimento se nessuno è disposto a dare finanziamenti: ogni Stato è gelosamente legato alla gestione dell’ingresso degli stranieri. Sono terrorizzati al solo pensiero di poter perdere questa sovranità. Un attaccamento che potrebbe condurre a un cortocircuito.»
Tutta l’Europa è in allerta, le acque del Mediterraneo sembrano foriere di minacce senza sosta che, in confronto, i Sea Dogs della queen malpelo risultano amichevoli. Allora i vertici si riuniscono a Bruxelles: risale a pochi giorni fa la tavola rotonda anti-terrorismo. Però, una sedia è rimaste vuota: Italia fuori dalla discussione. Come la più permalosa tra le Gossip girl, Conte arriccia il naso al mancato invito.
«La vera anomalia è stata la presenza dell’Olanda non l’assenza dell’Italia. È stato un incontro tra la presidenza europea in carica e un Paese fiaccato dal problema sicurezza quale la Francia. Più ampio sarà il tavolo del 4 dicembre dove, i negoziati in corso sul patto migrazione e asilo, vedono in prima linea il nostro Paese. Traduco l’incontro come il tentativo della Merkel di non rimanere isolata, errore che fece nel 2015 quando indicò la Germania pronta ad accogliere tutti i rifugiati siriani. La sua intenzione è quella di fare quel salto di qualità per rafforzare una frontiera comune; quindi punta a un classico della politica: alleanza di peso con la Francia per convincere poi gli altri ad accodarsi. Niente di nuovo visto che, storicamente, per la Francia, la Germania è la moglie e l’Italia è l’amante.»
Necessità primaria è condurre un’operazione verità. Il nocciolo della questione non è aprire o chiudere, accogliere o respingere. Chi arriva a Lampedusa non è automaticamente un terrorista. Informare correttamente e informarsi è l’imperativo primario per non cadere nelle trappole del “riduzionismo”: niente di più pericoloso dell’equazione migrante=terrorista. «La verità, come sostiene Goffredo Buccini nel suo ultimo libro, è che in Italia vige una contrapposizione: Millenaristi versus Messianici. Chi è convinto che l’immigrato possa risolvere tutti i problemi, chi crede che l’immigrato sia la causa di tutti i problemi. La vera questione non è stabilire se un soggetto sia bianco o nero, giusto o sbagliato. Non funziona un punto di vista generale con cui si ragiona per schemi e categorie perché significa deresponsabilizzare l’immigrato. I flussi migratori sono talmente tanti e diversificati che usare il leitmotiv della chiusura/apertura risulta un tentativo semplicistico di liquidare una questione. Non dimentichiamo che le frange terroristiche sono formate da giovani di seconda e terza generazione, cioè nati in Europa come figli e/o nipoti di immigrati: sono cittadini europei. Soggetti che non si possono rimpatriare. Sarebbe più sensato essere onesti nel governare un fenomeno: ammettere, ad esempio, che alcuni migranti sono finti richiedenti asilo o che ci sono forme fallimentari di accoglienza in vari Paesi europei. Uno dei motivi per
cui proliferano problemi di matrice terrorista è una narrazione sbagliata, soprattutto in alcuni paesi come la Francia. Grava su questi giovani, che in ogni caso hanno le loro colpe e responsabilità soggettive quando sposano la causa terrorista, un carico di promesse che lo Stato non può rispettare: non è vero che siamo tutti uguali perché poi, i ruoli apicali delle istituzioni, sono occupati sempre dagli stessi cognomi. Perché quando il tuo cv indica un indirizzo delle banlieue, le chance di essere assunti crollano. Diverso il modello tedesco che ai nuovi arrivati e più in generale alle fasce sociali autoctone più deboli promette poco inducendoli a entrare in fabbrica in età liceale, ma garantisce uno stipendio che dà un senso al progetto migratorio. Sono in primis cittadini e, solo in seconda battuta, figli di immigrati. Succede, tuttavia, che frange minoritarie ma rumorose, delle seconde generazioni di immigrati, in balìa – per citare Olivier Roy- di un nichilismo assoluto trovino in varie forme di terrorismo conforto. Quel senso della vita e quelle risposte che non trovano negli spazi in cui vivono.»