La vittoria del democratico Joe Biden, nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti, consente di far tornare indietro le lancette degli orologi nelle relazioni fra l’Italia e gli Usa. Un tema che sta a cuore al nostro Paese è quello dei dazi sui prodotti agroalimentari: il food & wine italiano vale un giro d’affari di 4,5 miliardi di euro, nell’ambito di un interscambio che vede il nostro Paese godere di un saldo – nell’export verso il Nord America a stelle e strisce – favorevole.

I dazi Usa sulle importazioni di prodotti agroalimentari italiani sono rimasti invariati, dopo l’ultima revisione dello scorso agosto. Sono stati scongiurati gli aumenti – fino al 100% del valore – che sono stati in discussione per giorni negli States. Il timore, però, che la questione torni al centro dell’agenda di politica economica degli americani resta, visto il ruolo strategico che l’agroalimentare ricopre per il nostro Paese.

Secondo i dati Istat, nel 2019 l’export complessivo italiano negli Stati Uniti è stato pari a 45,5 miliardi di euro. Le importazioni sono state invece pari a circa 17 miliardi di euro, con un saldo a favore dell’Italia di 28,5 miliardi di euro. Da gennaio a luglio 2020, tutto l’export italiano negli Usa ha segnato un valore di quasi 24 miliardi di euro; mentre le importazioni in Italia dagli Stati Uniti sono state pari a poco più di 9 miliardi, con un saldo a nostro favore di 15 miliardi di euro.

E’ evidente che vi è uno squilibrio, peraltro storico, fra ciò che gli Stati Uniti comprano dall’Italia e ciò che noi acquistiamo dagli Usa.

L’agroalimentare ha segnato un export italiano negli Usa – nell’anno 2019 – di oltre 4,5 miliardi di euro (alimentari e bevande). Le importazioni dagli Stati Uniti di alimentari e bevande è stato invece, nel 2019, pari a circa 380 milioni di euro.

La presidenza di Joe Biden, a livello di relazioni fra Italia e Usa, può voler dire che si tornerà allo status quo che ha preceduto il governo Trump. Nello stesso tempo, però, è indubbio che la Casa Bianca chiederà all’Italia una posizione chiara nei confronti della Russia e della Cina. L’apertura verso Pechino, con la “Via della Seta”, e il rischio che il nostro Paese sia una testa di ponte per un allargamento degli interessi cinesi in Europa, allarma gli americani. L’Italia, per la sua posizione geografica, è infatti un alleato importante sia sul piano economico che su quello politico e militare, specie in uno scacchiere di continuo incerto quale è quello del Medio Oriente.

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Tipici prodotti italiani: pizza e vino. Foto Fallon Travels, Usplash

L’export agroalimentare italiano negli Stati Uniti

Non sarà possibile, per l’Italia, pensare di mantenere una posizione di forza nell’export agroalimentare verso gli Stati Uniti, senza dover concedere qualcosa all’alleato statunitense. Come ha rilevato a inizio estate Coldiretti, la lista dei prodotti su cui gli Usa voglio applicare i dazi «interessa i due terzi del valore dell’export agroalimentare e si estende tra l’altro a vino, olio e pasta Made in Italy, oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffe esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro».

Con un valore di 4,2 miliardi di euro su oltre 35 complessivi, gli Stati Uniti – rileva il Sole 24 Ore – sono il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari; e il terzo in assoluto dopo Germania e Francia. Il mercato statunitense incide quindi per il 12% sull’export agroalimentare dell’Italia.

Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States – secondo Coldiretti – con 1,5 miliardi di euro di giro d’affari. Le esportazioni di olio di oliva italiano negli Usa sono state pari a 420 milioni di euro. Rischia anche la pasta con 349 milioni di valore delle esportazioni. Un settore fino ad ora in crescita nel 2020 nonostante l’emergenza Coronavirus con un aumento del 10,3% nel primo quadrimestre del 2020, dice Coldiretti.

Quanto può pesare un’eventuale revisione delle tariffe Usa sul costo dei prodotti agroalimentari italiani negli Stati Uniti? Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano – è l’esempio portato da Coldiretti –una bottiglia di Prosecco, che oggi viene messa in vendita al dettaglio a 10 dollari (negli Stati Uniti) ne verrebbe a costare 15. Questo, osserva Coldiretti, comporterebbe una perdita di competitività dell’agroalimentare italiano sul mercato nordamericano.

La domanda, quindi, è su cosa farà Joe Biden sul fronte delle relazioni commerciali fra Stati Uniti e resto del mondo. E, per quello che ci riguarda, se vi saranno interventi nelle relazioni di import-export fra Usa e Italia, con particolare riguardo all’agroalimentare. L’elezione del nuovo presidente Usa cade a poco più di un anno dall’’entrata in vigore di tariffe aggiuntive del 25% su una lunga lista di prodotti importati dall’Italia e dall’Unione Europea, per iniziativa di Donald Trump, fa notare il sito web WineMag.

Secondo un’analisi del Gambero Rosso – in linea con altri osservatori – il presidente Biden proseguirà sulla linea economica di Obama, di cui è stato vice prima dell’arrivo di Trump. Si tornerà così a trattare con gli alleati europei, se non in vista di un trattato di libero scambio – fallito a suo tempo – di certo in una prospettiva di dialogo e collaborazione che con Trump non vi era.

Allo stesso tempo, però, il presidente Biden vuole intervenire a salvaguarda dei prodotti – anche agricoli e alimentari – Made in Usa. Questo per andare incontro alle difficoltà degli agricoltori e delle aziende statunitensi. Se quindi è auspicabile che non si ricorra ad altri dazi, molto vi sarà da discutere sia per l’Italia che per l’Unione Europea in sede di trattative commerciali.

Logica vuole, tuttavia, che la “questione commerciale” non sia distinta dalla questione politica e da quella delle alleanze internazionali, con i rapporti fra Italia e Russia e fra Italia e Cina. Non è pensabile, infatti, salvaguardare il nostro comparto agroalimentare – e le esportazioni miliardarie negli Stati Uniti – senza rispettare la volontà statunitense di un riequilibrio delle aperture italiane verso la Russia e, soprattutto, verso la Cina.

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