È difficile pensare a una tornata elettorale dall’esito più scontato di quella che si terrà in Veneto domenica 20 e lunedì 21 prossimi. Luca Zaia si avvia, infatti, a essere confermato per la terza volta governatore della sua regione e la sua unica preoccupazione, oggi, sembra quella di riuscire superare i consensi raccolti dal presidente della Bielorussia Lukashenko. Il suo principale competitor, quell’Arturo Lorenzoni scelto come vittima sacrificale destinata a schiantarsi contro la corazzata di Zaia, ha battuto un colpo nel momento in cui si è accasciato per un malore causato dal covid durante una diretta web, circostanza sfortunata ma che almeno ha consentito al candidato di dare un segnale concreto della sua esistenza. Zaia, con molto fair play, ha prontamente annunciato che per rispetto delle condizioni di salute di Lorenzoni rinuncerà a presenziare a trasmissioni elettorali. Tuttavia, al di là della cavalleria del gesto, l’impressione è che Zaia abbia anche buoni motivi utilitaristici per rinunciare a confronti elettorali. Infatti quale politica dovrebbe illustrare Zaia? Come ha cambiato il Veneto in 10 anni di governo? Ilvo Diamanti pochi giorni fa con un suo intervento spiegava in maniera piuttosto convincente come Zaia non governi il Veneto bensì lo amministri, rivestendo il ruolo del manager piuttosto che quello del politico. Ruolo che calza a pennello a questo scaltro navigatore della politica che ha la dote di sapersi sempre posizionare nella metà campo giusta, ma difficilmente si espone più del minimo indispensabile. Abilissimo a costruire la sua immagine, si è trovato nella fortunata situazione di essere un mestierante che amministra una regione dove va più o meno tutto bene e che ha costruito il suo mito sulla narrazione del “governatore che ha salvato il Veneto dalla pandemia” attraverso le quotidiane dirette dalla sede della protezione civile di Mestre. In questa narrazione, che ha visto i virologi retrocessi al ruolo di comparse, solo il governatore ha deciso la strategia dei tamponi a tappeto che ha consentito di limitare le conseguenze della diffusione del contagio. I suoi studi di veterinaria gli hanno fornito le skills per essere esperto anche di virus, dato che – come ha dichiarato durante un’intervista – i virus umani non sono poi così tanto diversi da quelli animali. Lasciamo alla sensibilità dei veneti discernere se essere assimilati ad animali da stalla sia lusinghiero o meno.

Praticamente ogni tema è stato usato da Zaia per alimentare il proprio mito. Ha perfino sostenuto che fu lui, quando faceva il PR per i locali notturni dell’est del Veneto, a portare il marketing nelle discoteche. Se fossimo in un film di Fantozzi ora uscirebbe fuori la signorina Silvani con la celebre battuta “Ah, anche esperto di marketing?!”.

Il candidato del centrosinistra alle regionali Arturo Lorenzoni

Esiti elettorali così scontati spesso hanno la controindicazione di diminuire la partecipazione al voto da parte di un elettorato che considera già acquisito il risultato. Cosa rimane allora di interessante in questa tornata elettorale per i cittadini veronesi? Essenzialmente tre cose.  In primo luogo, ci darà la misura della validità del progetto Tosiano imperniato sulla candidatura del fido Alberto Bozza nelle liste di Forza Italia. Qualora l’ex assessore di Tosi venisse letto nel parlamentino regionale, e magari contestualmente qualche esponente di questa amministrazione parimenti candidato non ce la dovesse fare, sarebbe indiscutibilmente una vittoria di Tosi. Se però la corsa di Bozza verso Venezia fosse a vuoto, non v’è dubbio che l’esito costituirebbe una vera e propria battuta d’arresto del progetto Tosiano di ritornare sindaco nella nostra città nel 2020. Le conte possono essere prove di forza o di debolezza, dipende dai numeri che usciranno dalle urne. Se il tentativo dovesse fallire, dovrà essere archiviato nella bacheca già piuttosto nutrita delle prove di forza tentate e fallite da parte dell’ex sindaco della nostra città. Altro argomento di interesse in questa tornata elettorale saranno le conseguenze che avrà in seno a Fratelli d’Italia, il partito affluente che con la sua crescita continua degli ultimi mesi sta minacciando la leadership nel centrodestra fino ad oggi saldamente in mano della Lega di Salvini. Molti sono i pezzi da 90 veronesi che si sono candidati nella lista di FdI ed è abbastanza chiaro che chi uscirà vincitore dalla conta dei voti avrà poi un peso importante in uno dei partiti che potrebbe diventare centrale negli equilibri del centrodestra nazionale. Ultimo motivo di interesse delle elezioni regionali venete è il derby – sottotraccia ma sentitissimo – tra la Lega Salvini premier e Lista Zaia. La sensazione che si ricava guardando le liste delle due formazioni è che salvo qualche eccezione si sia puntato su candidature “leggere” in termini di consensi personali, in maniera tale da far risaltare il brand di partito. La stessa Lista Zaia, a parte una macchina da voti come il consigliere uscente Stefano Valdegamberi, non pare annoverare pezzi da 90 in termini di pacchetti di preferenze personali. Tuttavia è ragionevole pensare come attratti dal brand “Zaia”, i voti di lista possano arrivare numerosi, consentendo in tal modo a diversi candidati di entrare a Palazzo Ferro Fini anche con un numero limitato di preferenze. Circostanza questa che irrita oltremodo esponenti storici della Lega che sono stati candidati nella lista di partito, i quali – nel caso in cui la Lega raccolga meno voti della lista del governatore – dovranno giocarsi l’ingresso a Palazzo Ferro Fini all’ultima preferenza raccattata sul territorio.

Zaia e Salvini, insieme

Ma al di là delle affermazioni di circostanza dei vertici della Lega che in questi giorni si stanno gettando secchiate di acqua sul fuoco delle rivalità interne, un distacco percentuale importante tra Lega e Lista Zaia in favore di quest’ultima sarebbe una implicita sconfessione delle politiche nazionali della Lega e della svolta nazionalista che è stata impressa al movimento da Matteo Salvini. Per avere un quadro più completo dovremmo unire dei pezzi di puzzle provenienti anche dal resto della penisola. Fateci caso: in questi giorni gli esponenti di tutti i partiti, sia di maggioranza sia di opposizione, si stanno affannando a ripetere che le elezioni regionali non saranno un test di tenuta del governo. Questo perché gli esiti non sono affatto scontati per nessuno. La vittoria a portata di mano nelle Marche oltre a quella scontata in Veneto non basterà al CDX per intestarsi la vittoria, perché troppo “leggero” politicamente è il peso della regione adriatica che verrà quasi certamente strappata al CSX. Bisognerà, piuttosto, guardare al risultato della Puglia, dove l’esito è meno scontato e soprattutto, qualora prevalesse candidato di centrodestra Fitto, difficilmente Salvini potrebbe intestarsi in solitaria la vittoria, per la semplice ragione che in Puglia i voti veri li ha Fitto stesso. Fondamentale sarà il risultato in Toscana: se la regione rimarrà una roccaforte rossa nonostante lo scarso aplomb del candidato del centrosinistra, Salvini dovrà ammettere di aver accusato il colpo. Al contrario, nel caso di vittoria del CDX, sarà la Lega a intestarsi il risultato, se non per il fatto che la candidata Ceccardo è una sua emanazione. In ogni caso occhi puntati sul risultato del Veneto, ove una forte affermazione della Lista Zaia a scapito della Lega suonerà come un indiscutibile campanello di allarme per la leadership salviniana.