Forse è perché in origine era la sede del Foro romano e, oggi, una delle mete obbligatorie per i turisti che visitano Verona, fatto sta che Piazza Erbe continua a tenere impegnati i progetti della politica scaligera. Lo sa bene Bepino Olivieri, rappresentante di Confcommercio per la circoscrizione centro storico e proprietario dell’hotel Aurora, che si affaccia proprio sulla piazza più antica della città. È lui l’uomo che raccoglie le voci dei commercianti del centro e anche di coloro che popolano il toloneo con i loro banchi, noti ai veronesi come piassaroti (ne parleremo martedì prossimo, 21 gennaio, in un evento del ciclo “Succede a Verona”, organizzato da ilNazionale, nda) . E proprio i piassaroti sono stati per molto tempo il bersaglio perfetto della politica e dell’opinione pubblica, che a un certo punto ha cominciato a immaginare una piazza completamente liberata da ogni attività commerciale.

Sono trent’anni che Olivieri vede da vicino le trasformazioni di questo luogo e che si confronta sia con la sua clientela di turisti, sia con le realtà economiche. Ha visto mutare molto la fisionomia dei frequentatori abituali, ricorda bene il passato, come ad esempio «la Tina che preparava e vendeva i carciofi. Alle 4 del mattino era ai magazzini generali per scegliere la merce, d’inverno pelava gli uccellini e d’estate aveva le fette di anguria. Ma poi Verona è diventata la Bangkok italiana, la piazza ostaggio del consumo e dello spaccio, qualche banco è stato dato alle fiamme, perché allora erano ancora rivestiti in iuta. Fino al sequestro Dozier non ci fu verso di rimettere ordine e da lì si decise che ci volevano altre strutture per proteggere la merce. Così comparvero quegli orrendi gabbiotti verdi, che restavano notte e giorno». Fu quindi con l’amministrazione Sironi che si decise di cambiare verso.

Olivieri, in questi tre decenni resta al centro la questione della fruibilità della piazza e se sia il caso di svuotarla completamente…
«Guardi, credo che alla base ci sia stato negli anni uno screditamento fatto a danno dei piassaroti da parte soprattutto dei media, che hanno creato prima un antagonismo da parte dell’opinione pubblica, poi cavalcato dalla politica nel tentativo di raccogliere voti. Fare questo mestiere invece è un grande sacrificio, si è sempre esposti al caldo e al freddo anche quando non c’è nessuno. Sinceramente mi chiedo come molti di loro riescano a tirare avanti. Hanno dei costi più bassi di un negozio, ma sono sicuro che la contropartita non la vorrebbe nessuno. E senza di loro la piazza perderebbe la sua identità.»

Non ritiene che la piazza liberata e ammirata nella sua intera bellezza sarebbe un vero spettacolo?
«Lo è, per qualche ora. Poi ci si accorge, come capita ad esempio nelle domeniche in cui dev’essere sgombra, che è senza vita. Gli stessi turisti restano stupiti nel vederla vuota, cercano proprio i banchi, gli ombrelloni, come parte del folclore cittadino. Una città è bella quando è viva e c’è commercio, spoglia diventa invece un cimitero.»

Il cambio di rotta c’è stato con l’amministrazione di Michela Sironi e con l’allora Assessore al commercio Alberto Benetti. Che apporto ha dato il regolamento approvato allora?  
«L’idea di liberare la piazza è stata una rivoluzione, che però non ha tenuto conto delle necessità di questi commercianti. Tra l’altro tutte le forze politiche, da destra a sinistra, erano a favore dello sgombero. Però ecco, sebbene Benetti sia uno dei pochi uomini veronesi dotato di solida formazione politica, in quel caso ha toppato alla grande. Ricordo degli scontri piuttosto antipatici con i piassaroti, che allora non avevano una rappresentanza di categoria unita. Però non si vollero ascoltare le loro ragioni: i proprietari di trenta banchi non accettarono gli spostamenti e lasciarono la concessione, anche perché per molti si trattava di fare investimenti importanti e di cambiare settore merceologico. Alla fine, in piazza da quaranta rimasero trenta banchetti, ma ben il 40 per cento di questi dopo pochi anni cedette l’attività. Così sono subentrati commercianti cinesi e bangladesi, i primi proprietari oggi di sei banchi, i secondi di otto.»  

L’ingresso di proprietari provenienti da altri Paesi che conseguenze ha avuto?
«Adesso è solo un primo passo, ma incide su alcuni fattori, dall’esposizione della merce, che non sempre rispetta le regole previste dalla normativa oppure è semplicemente eccessiva, alla tipicità dell’offerta. Intendiamoci: un commerciante vende ciò che il mercato richiede, però ci vorrebbe un aggiustamento della proposta.»

Molti veronesi vorrebbero che fosse una piazza dedicata ai prodotti tipici, al posto di articoli che si trovano in tutti i mercati rionali…
«Sarebbe bello, ma si sono mai chiesti se con la tipicità si può sostenere un’attività di questo tipo? Oltretutto, a parte il vino, i formaggi e alcuni prodotti dolciari, cos’abbiamo da offrire? E i veronesi verrebbero in Piazza delle Erbe a comprare questi prodotti? La realtà di oggi è molto diversa da quella di un tempo, in cui appunto si vendeva frutta e verdura. Anni fa gli stessi ristoratori acquistavano le materie prime qui, gli abitanti del centro vi facevano la spesa. Ora il centro storico non è più lo stesso sul piano demografico e ci si rifornisce altrove con altri prezzi. L’immagine che vediamo nei quadri dei pittori del passato è molto romantica, ma non torna più.»

Quanto incide il turismo mordi e fuggi su questi cambiamenti?
«Molto, orienta proprio la tipologia dei prodotti da vendere. Ne hanno fatto le spese anche i banchi che vendevano bomboloni e patatine fritte: sarebbero richiesti, quelle erano licenze con cui si lavorava bene, però siccome dava fastidio l’odore, questo esercizio è stato fortemente ridotto. In compenso, Piazza Gonella, distante pochi minuti a piedi, è diventata una friggitoria. Si vede che lì va bene.»

Che Piazza Erbe si immagina?
«Vorrei un luogo che interessi i veronesi, che non sia solo un ritrovo per il venerdì sera. La ztl è stata una svolta incisiva, perché se un tempo arrivare in auto era possibile, ora non c’è nemmeno un percorso fattibile. Occorre perciò fare degli interventi mirati, come facemmo anni fa con le aperture straordinarie fino alle 23 e tanti eventi di strada, con artisti e musicisti. Peccato che non si riesca a reperire le risorse necessarie per riproporre un programma simile. E mettere d’accordo tutti i commercianti, non solo i piassaroti, intorno a un progetto privato non è affatto semplice.»

Bepino Olivieri alla reception dell’hotel Aurora, con sullo sfondo una riproduzione di
Piazza Erbe di Athos Faccincani

Cosa chiede per i banchetti all’amministrazione Sboarina?
«Innanzitutto di definire un regolamento chiaro. Siamo già al secondo anno di esercizio in deroga, la concessione per questi commercianti non è confermata. Altrettanto chiedo per l’organizzazione degli sgomberi nella sera del sabato. Inizialmente era previsto lo spostamento nel tardo pomeriggio, ma sarebbe stato troppo pericoloso per la presenza delle persone nella piazza. Poi si conciliò portando alle 20 l’ora di inizio manovre di trasporto, cosa che non va altrettanto bene. Chiedo che si stabilisca, una volta per tutte, che la piazza sia liberata a partire dalla mezzanotte, è troppo pericoloso muovere i banchi quando ci sono ancora persone per strada. Poi, che mettano a posto la questione merceologica, con qualche aggiustamento e regole chiare su come disporre la merce anche in altezza, perché la Soprintendenza richiede che la piazza sia visibile da un lato all’altro, senza tendoni o merci che ostacolano la vista. Inoltre servirebbero due domeniche in più da utilizzare durante l’anno, rispetto alle venti attualmente previste, magari pianificandole in modo coerente con i maggiori eventi cittadini, compresi i concerti in Arena. Aggiungo che da tempo sollecito la presenza di un vigile, che un paio di volte a settimana controlli il rispetto delle regole di esposizione dei prodotti o dell’uso dei tendaggi. So che si preferisce mettere le telecamere, ma questa soluzione sarebbe un bene per tutti, anche per i turisti. Infine, sarebbe ora di ripensare alla struttura del banco, che ormai ha vent’anni ed è di difficile e costosa manutenzione.»   

Ma la domenica è proprio il giorno in cui i banchi non dovrebbero esserci, per il regolamento…
«Guardi, dall’idea che si liberi la piazza non si torna più indietro, ma va bene così. Però è pur vero che la domenica è il giorno in cui si può vendere di più e soprattutto in cui il Comune cerca di attirare maggiormente i cittadini. Mi sembra un controsenso che proprio in quel giorno non ci sia vita in piazza.»

La Soprintendenza è sempre stata d’accordo con la presenza dei banchi?
«Non ho mai percepito ostracismo, anzi, gli ombrelloni ne favoriscono la fruizione, la rendono dinamica e viva. Lo stesso vale con i plateatici: il soprintendente Vincenzo Tinè a metà dicembre ci ha detto di non volere tendoni e verande fissati al suolo, mentre quelli mobili sono accettati.»   

Teme che ci sia di nuovo da parte del Comune una posizione rigida nei confronti dei banchetti?
«Mi preoccupa che si guardi con superficialità la realtà di questo commercio. Se le regole saranno pensate senza comprendere i bisogni reali, credo che ci sarà una ulteriore fuga dalla piazza da parte dei titolari storici. E allora è facile che la maggioranza delle attività sarà di proprietà straniera. A quel punto si cambierà musica e sarà gioco facile accusare queste persone di non rappresentare la “tradizione”.»